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8 Marzo
08 Marzo 2024 - 14:44
Silvia Grua con il casco in sella alla sua bicicletta
Com’è sua tradizione, il CAI di Cuorgnè ha celebrato la Festa della Donna con una serata insieme di svago e di approfondimento, invitando una sportiva distintasi in una grande impresa a parlare di sé e delle proprie esperienze in un incontro presso l’ex-chiesa della Trinità.
Nel corso degli anni si sono succedute le protagoniste di avventure memorabili, dalla partecipazione al Tor des Géants alla traversata dell’Antartide in solitaria, al giro del mondo in bicicletta. L’ospite dell’incontro di giovedì 7 marzo ha compiuto gesta meno clamorose ma ancora più importanti: la sua vera impresa è quella di aver continuato ad impegnarsi nello sport pur dovendo combattere contro un avversario ben più temibile del freddo, della fatica, delle avversità orografiche o atmosferiche.
Questo nemico è il cancro.
Silvia Grua è l’atleta cui è stata dedicata la serata: scalatrice dapprima, poi ciclista, poi entrambe le cose insieme. La sua vicenda l’ha raccontata nel libro “I colori della salita – Ho sorriso alla vita pedalando fino al tetto del mondo” e l’ha riassunta con grande semplicità ed immediatezza di fronte ad un pubblico attento ed emozionato.
Silvia Grua ospite del Cai di Cuorgnè
Basterebbero due numeri per indicare l’intensità della sua battaglia: 12 interventi chirurgici e 7 anni di chemioterapia.
Quel che le ha permesso di affrontare le avversità senza lasciarsi abbattere è stato sicuramente il suo carattere forte e determinato unito alla passione per lo sport e per la natura ma anche ad una fantasia vivace e ad una grande capacità di abbandonarsi ai sogni.
“Sono nata a Villareggia -ha esordito - un piccolo paese del Basso Canavese con meno di 1.000 abitanti. Ero una bambina molto tranquilla ma crescendo cominciai a provare un desiderio sempre più intenso di scoprire il mondo intorno a me, di esplorarlo: prima le colline alle mie spalle - che mi affascinavano con i diversi colori che assumevano a seconda delle stagioni – poi le montagne. Mi iscrissi ad una corsa podistica e capii che era questo che volevo fare. Salire sempre più in alto, su cime sempre più difficili, attratta dall’azzurro del cielo, che mi sembrava quasi di poter toccare con un dito”.
Dopo una manifestazione in bicicletta
Tutto questo s’interrompe bruscamente.
“La vita è imprevedibile e a 34 anni, con una busta in mano dopo una serie di controlli, mi ritrovo a che fare con la parola <Cancro> , quella parola che tutti pensano di non dover mai incontrare. Mi sentivo come un palloncino che sfugge dalle mani di un bambino”. Inizia il percorso delle cure e la passione per la natura ed i suoi colori l’aiuta.
“Cercavo ovunque l’azzurro, per me molto importante perché era il colore degli occhi di mio padre, che era stato colpito da un ictus a 64 anni di età rimanendo completamente paralizzato.
Grazie alla forza di volontà e ad un percorso di fisioterapia personalizzato era però riuscito a recuperare l’uso di un braccio: uno solo ma con quello riusciva a fare tutto. Il suo esempio mi dava la forza di lottare
Grazie alla forza di volontà e ad un percorso di fisioterapia personalizzato era però riuscito a recuperare l’uso di un braccio: uno solo ma con quello riusciva a fare tutto. Il suo esempio mi dava la forza di lottare”.
Lo sport le aveva insegnato una regola preziosa: muovere un passo dopo l’altro, chilometro dopo chilometro: “Facevo il conto alla rovescia, contando i mesi che mi mancavano per arrivare al traguardo. La mia felicità, quando arrivai alla fine del percorso, purtroppo durò poco ed appena due mesi dopo mi ritrovai alle prese con una parola che non conoscevo: recidiva”.
A questo punto, com’è normale, fu presa dallo scoraggiamento: “Si trattava di rincominciare tutto da capo ma ora il percorso lo conoscevo e non ero pronta a ripeterlo, non volevo fare più nulla. Ci sono però nella vita degli incontri magici . Stavolta si trattava di un medico che, toltosi letteralmente il camice, venne a sedersi con me sulle scale dell’ospedale. Mi disse di raccontargli i colori che vedevo sulle montagne e dopo un’ora, accorgendosi che ero più tranquilla, mi disse che quei colori avrei potuto ritrovarli: <Non butti via tutto!”>. Così intrapresi nuovamente quella strada difficile perché i miei sogni mi aspettavano”.
La capacità di Silvia Grua di trasfigurare la realtà è notevole: “Nel verde dei camici chirurgici vedevo il verde intenso dei pascoli. Nell’azzurro dei pavimenti di linoleum della sala in cui mi sottoponevo alle flebo vedevo il cielo. Nel rosso delle fiale che mi avevano fatto perdere questi ricci vedevo il rosso scarlatto dei fiori che crescono fra i sassi a 2300 metri di altezza”.
In montagna
La magia di incontri giusti al momento giusto si è ripetuta altre volte: è avvenuto con la bicicletta e poi con il suo compagno di lavoro e di vita.
“Questa malattia mi ha tolto tanto, come donna e come sportiva, ma ho sempre avuto in serbo un Piano B o C… In realtà sarò arrivata almeno alla lettera N! Non potevo più indossare le scarpe da montagna perché le mie giunture, troppo danneggiate, non reggevano lo sforzo e così, a 38 anni, mi comprai una bicicletta di terza mano: non ero mai andata in bici, non sapevo se mi potesse piacere ma, appena allacciati i pedali, mi accorsi della sua magia”.
Oltre agli <incontri magici>, Silvia Grua ha anche un cassetto <magico>: quello in cui conserva tutta la documentazione medica insieme ad una Carta dei Sentieri Alpini riguardante l’Alta Via Canavesana. “Quando apro il cassetto, per prima cosa vedo le montagne: quelle sulle quali sono salita e quelle che devo ancora conquistare. Voglio andare lì! Qui entra in gioco un secondo <momento magico>: durante una competizione ho conosciuto il mio compagno di sport e di vita. Gli ho detto della malattia e del mio rimpianto per le montagne ed ha esclamato: <Perché non ci andiamo?>. In 6 giorni, con in spalla uno zaino pesante 10 kg, siamo andati da La Thuile a Champocher e mi accorgevo che ad ogni tappa scaricavo un po’ del mio fardello. Non avevo un cronometro, dei tempi da rispettare, e mentre procedevo le montagne mi cullavano”.
Silvia Grua
Le traversie non sono terminate: nell’ottobre 2021 Silvia affronta il suo 12° intervento chirurgico ma prima, all’inizio di settembre, i due si cimentano in una gara davvero particolare, che lei aveva ideato durante la pandemia, nel periodo in cui ci si poteva muovere in bicicletta solo nel territorio del proprio comune: percorrere in bici un numero di metri pari a quelli dell’Everest. Facendo avanti e indietro per 27 volte la strada di Broglina, che da Bollengo risale la serra fino a Magnano, percorrono 8.912 chilometri in 18 ore ed 11 minuti. “La cosa più bella è stata la folla accorsa per vederci partire o arrivare e che ha risposto generosamente alla raccolta fondi: ha donato 14.000 euro, tutti versati all’associazione SAMCO che assiste i malati oncologici e le loro famiglie.”.
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