AGGIORNAMENTI
Cerca
Mazzè
06 Febbraio 2024 - 13:07
Castello di Mazzè: una gemma architettonica dell'epoca medievale, immersa nel cuore del Canavese.
Qual è il destino del castello di Mazzè, imponente guardiano le cui torri si ergono maestose nel cielo del canavese?
Vi siete mai chiesti perché, negli ultimi anni, i suoi cancelli sono chiusi al pubblico? È un interrogativo che ha sollecitato la nostra curiosità.
La risposta giace, inaspettatamente, tra le pieghe di un mondo che cambia, toccato dal Covid e dalle tensioni geopolitiche tra Russia e Ucraina.
Cosa c'entrano il Covid e la Russia?
La chiave di questo enigma è nelle mani del russo Mikyel Lyubchenko, un facoltoso miliardario di San Pietroburgo che nel 2012 lo acquistò dagli eredi dell'ex parlamentare leghista Pier Corrado Salino. Pare che Lyubchenko abbia speso una cifra che si aggira sui 3milioni di euro, in omaggio alla bellissima moglie Irina, conquistata dal fascino del Canavese. Dopo aver sistemato il castello ed essersi stabilita lì, nel cruciale anno 2020, la famiglia fu costretta a lasciare l'Italia a causa del Covid e, a seguito delle tensioni internazionali provocate dalla guerra in Ucraina, non è più stata in grado di farvi ritorno.
Non potendo visitare personalmente il castello, ci siamo affidati a Renato Gassino, pilastro della Pro Loco di Mazzé ed ex assessore comunale. Renato, che di solito è affiancato dai volontari del Punto Informativo Pro Loco, situato nella pittoresca piazza Camino e Prola, è diventato la nostra voce narrante. Non perdetevi i risvolti storici del castello di Mazzè, incastonato in un territorio (riconosciuto Comune Turistico dal 2021) di panorami mozzafiato e ricco di racconti. Ci auguriamo che presto i Lyubchenko possano far ritorno e rendere nuovamente accessibile al pubblico il maniero e il suo museo delle torture.
Renato Gassino, pilastro della Pro Loco di Mazzé ed ex assessore comunale.
“La storia del castello di Mazzè è un tessuto ricamato di gloria e decadenza – ha esordito Renato - intrecciato con le vicissitudini del tempo e della politica. Si tratta di un gioiello architettonico realizzato tra il 1313 e il 1430 ad opera dei Conti del Canavese divenuti poi Conti Valperga di Mazzè, casata estinta nel 1840”. Gassino ci ha poi racconta di due castelli: il più antico e nascosto, testimone dell'antica casata Valperga, e il più imponente, un rifacimento in stile medievale voluto ad inizio ‘900 da Eugenio Giulio Maria Brunetta d'Usseaux, italiano che ha segnato la storia del Comitato Olimpico Internazionale. “La visione di Brunetta – ha spiegato Renato – venne impreziosita dal contributo dell'architetto Giuseppe Velati Bellini, che portò il castello a una nuova vita”.
Già allora, il maniero aveva un legame con la Russia: “Figlio di una famiglia aristocratica torinese, Brunetta aveva sposato una contessa russa Ekaterina Aleksandrovna Zejffart, imparentata con la famiglia degli zar – ha raccontato Gassino - che possedeva grandi tenute in Ucraina ma che scomparve prematuramente. Questa unione portò Brunetta a ereditare vasti possedimenti in Ucraina, persi con la rivoluzione russa del 1917. Circolano voci che lo vedono terminare i suoi giorni in miseria, segnando così un drammatico capovolgimento di fortuna”, ha svelato infine il nostro narratore.
Dopo la scomparsa del conte Eugenio Brunetta d’Usseaux, il castello attraversò un periodo turbolento. Breve fu il dominio dei Ghelfi, noti produttori torinesi della bicicletta Frejus, prima che la proprietà passasse a Morano. Renato ricorda perfettamente gli anni dal 1975 al 1980, “un'epoca di ambiziosi progetti di riqualificazione sotto il sindaco Roberto Piatti, un uomo lungimirante. Allora, il maniero venne acquistato dal dottor Alberto Morano, rinomato notaio di Torino. Rammento ancora – ha confessato Renato – le nottate passate e rivedere il piano urbanistico per giungere alla perfezione”. Tuttavia, il piano fallì: “Venimmo a scoprire dell'arresto di Morano dai giornali. Fu una doccia fredda - ha commentato l’ex assessore – che segnò una svolta: il castello fu abbandonato, subì danni e saccheggi, lasciando dietro di sé promesse infrante”.
Nel 1978 il castello, gravemente compromesso, venne rilevato dall’ex parlamentare leghista Pier Corrado Salino di Cavaglià, scomparso nel 2011. Dopo i restauri, grazie anche ai finanziamenti dello Stato, nel 1981 il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali decretò che il Castello di Mazzè era sotto la tutela dello Stato. Dal 1986 il castello venne così aperto al pubblico per convenzione con lo Stato del 23 dicembre 1981, nei giorni feriali e festivi alle comitive e alle visite scolastiche.
Una prospettiva di come appare oggi il castello di Mazzè.
“Da quel ‘periodo d'oro’ – ha fatto rilevare opportunamente Renato - la Pro Loco si è fatta promotrice dell'accoglienza turistica, aprendo le porte del maniero e del suo museo a flussi continui di visitatori, arricchendo così la vita culturale e sociale di Mazzè. Da allora, il castello è diventato il cuore pulsante della comunità”.
Furono ospiti del maniero: Francesco I re di Francia, Vittorio Emanuele II re d’Italia, Cavour, lo Zar Nicola II di Russia (nella foto), Mussolini e innumerevoli altre personalità.
Infine, nel 2012, la famiglia Lyubchenko acquistò il castello di Mazzè dagli eredi Salino: un dono di Mikyel alla consorte Irina, che si era innamorata del Canavese e, in particolare, di quella magione in cui venne ospitato lo Zar Nicola II.
“La notizia aveva colti tutti di sorpresa – ha dichiarato Renato Gassino - Sotto la gestione di Irina, il castello si era trasformato in un museo privato, aprendo anche le visite al museo delle torture. I biglietti venivano venduti con tanto di permesso della SIAE e con noi volontari della Pro Loco aveva un buon rapporto”.
La collezione del museo, principalmente proveniente dalla Spagna e altre parti d'Europa, include strumenti di tortura e gigantografie che illustrano il loro uso. Queste esibizioni mirano a educare il pubblico e le scuole sulla brutalità storica dell'uomo, servendo da avvertimento contro le tirannie che hanno impiegato il terrore per sottomettere le società attraverso i secoli.
“E poi il calvario – ha affermato amaramente Gassino - il Covid e la guerra tra Russia e Ucraina hanno fatto sì che i proprietari lasciassero l'Italia. Ora il castello sembra un gigante addormentato. Nonostante la proprietà non rientri tra i beni congelati dal Ministero dell'Economia, il suo futuro è incerto. Alcune voci dicono che sia stato messo in vendita per conto dei Lyubchenko, ma non vi è alcuna certezza”.
“Ora è abitato solo dai custodi, che vi risiedono di notte. Spero tanto – ha concluso il portavoce della Pro Loco, anima della comunità – che possa esserci una nuova alba per il castello di Mazzè. È una speranza condivisa da tutti noi affinché il simbolo del paese possa rivivere, non solo nei ricordi. Sarebbe fantastico se, oltre a fungere da polo d'attrazione turistica, potesse essere adibito ad ospitare altri eventi, similmente a quanto già avviene per gli edifici storici di Villa Occhetto e Villa La Torretta”. Il castello si appresta a scrivere un nuovo capitolo della storia, in attesa di una rinascita che ne permetta la restituzione alla comunità e al mondo intero, trasformandolo in un crocevia di incontro, storia e bellezza.
Edicola digitale
I più letti
LA VOCE DEL CANAVESE
Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.