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23 Ottobre 2023 - 16:31
Non c'è fine alle ingiustizie che Francesca (il nome è di fantasia) è costretta a vivere da oltre un anno.
Angherie e dispetti subiti non da parte dell’uomo che credeva di amare, come spesso accade. Ma del vicino di casa, figlio della coppia che per anni le ha affittato l’abitazione in cui vive. Anzi, viveva.
Sabato 14 ottobre Francesca è stata sbattuta fuori casa a calci e schiaffoni, costretta a scappare in ciabatte e con i soli abiti che indossava. Si è dovuti arrivare a tanto nonostante tutti sapessero dell'assurda situazione in cui era costretta a vivere.
Sapeva tutto il Comune, e sapevano tutto anche servizi sociali e il Consorzio In.Rete. Eppure nessuno è riuscito a muovere neppure un dito per lei. Tra una promessa e l'altra, tra un intoppo burocratico e l'altro, per questa donna che continuava a chiedere aiuto dicendo di essere in pericolo, non è stata trovata nessuna soluzione.
E neppure dopo che è stata sbattuta fuori casa in malo modo, senza la possibilità di poter tornare a prendere le proprie cose, la soluzione è arrivata.
Non essendo una profuga e non avendo subito un regolare sfratto esecutivo, non le viene riconosciuto lo stato di emergenza abitativa. Ciò, però, significa soltanto che non ha diritto ad una casa di edilizia pubblica. Quelle dell'Atc, per intenderci.
Una soluzione per aiutare Francesca è quella di darle uno degli appartamenti che i Comuni tengono per situazioni al limite come la sua. Ma anche qui continuano a nascere problemi su problemi.
Prima manca il bando e poi il regolamento e poi l'agibilità della casa. Ed è così anche oggi che non sa dove sbattere la testa.
Da ormai dieci giorni Francesca e i suoi cagnolini sono in mezzo ad una strada. Passa da un bed&breakfast all'altro pagato da chi cerca di aiutarla come può. Ma questa vita di misericordia non può certo essere una soluzione. E prima o poi Francesca rischia davvero di ritrovarsi a vivere in un'automobile.
"E' assurdo che si sia arrivati a tanto - tuona la presidente del consorzio In.Rete Ellade Peller -. La situazione di questa donna è nota da mesi. La segnalazione al suo comune di residenza è stata fatta più di un anno fa. E in tutto questo tempo possibile che non siano riusciti a trovare una soluzione? In questi casi il Consorzio è di supporto, ma a muoversi dev'essere il Comune che però non è stato affatto d'aiuto".
LA PRESIDENTE DEL CONSORZIO IN.RETE ELLADE PELLER
Dopo l'aggressione subita da Francesca è scattata l'emergenza nell'emergenza e a prendere in mano la situazione è stato proprio il Consorzio: "C'è un assistente sociale che se ne sta occupando e grazie alla collaborazione con un altro Comune, forse, la soluzione l'abbiamo trovata. In così pochi giorni, però, è difficilissimo riuscire a risolvere una questione che un Comune neppure in un anno è riuscito ad affrontare e chiudere. Ma ce la stiamo mettendo davvero tutta".
A voler intervenire in aiuto di Francesca ora c'è anche la Casa delle Donne che vorrebbe fare qualcosa, ma non sa da che parte partire.
La verità è che in questa nostra società così attenta a tutti i guai, ce n’è uno che non si è in grado di gestire. Quello per l’appunto delle donne che finiscono in “strada”. Per gli uomini se non altro a Ivrea c’è la Caritas. C’è un posto in cui dormire e un pasto caldo. Per le donne non c’è nulla, solo la “commiserazione”.
“Sono disperata, mai avrei pensato di fare una simile fine - racconta Francesca ripercorrendo i terribili momenti in cui è stata cacciata da casa -. Quell'uomo grande e grosso è salito in casa, ha iniziato a prendermi a calci e schiaffoni. Era inarrestabile. Sono dovuta scappare via così com’ero vestita, in infradito e pantaloncini, riuscendo a portare via soltanto i mie amati cani, due bassotti di 15 e 13 anni. Mentre scappavo, lui buttava giù dal balcone tutto ciò che trovava. Distruggendo tutto”.
Quello di sabato 14 ottobre è solo l’ultimo atto di prepotenza da parte di quest’uomo che, insieme alla sorella, ha ereditato dagli anziani genitori la casa in cui Francesca viveva con i suoi genitori.
A giugno di un anno fa, la mamma di Francesca muore improvvisamente per un’ischemia cerebrale: “Aveva 84 anni ed è sempre stata in buona salute. Mai una malattia. Quella mattina, si è accasciata e mi è morta tra le braccia”.
Il padre è morto alcuni anni prima. Francesca continua a vivere lì in quella casa da sola, con i suoi due cani.
“Da quel momento in poi mi sono domandata a chi dovessi pagare l’affitto - racconta -. Il contratto era stato stipulato tra due persone morte, nei confronti di una persona morta. Ho parlato con il figlio per chiedere di regolarizzare la cosa e dopo tante rassicurazioni sul rinnovo del contratto, ha tagliato corto dicendomi di continuare a pagare a lui i 250 euro pattuiti, senza troppe formalità”.
Ma Francesca, che vive percependo il reddito di cittadinanza, di quel contratto ha bisogno: “Senza contratto di locazione il mio assegno è sceso da 750 a 500 euro mensili. Ho provato a spiegargli che se mi avesse rinnovato il contratto, i 250 euro del reddito sarebbero stati girati direttamente sul suo conto e me sarebbero spettati i restanti 500. Ma lui non ha voluto ascoltare ragioni”.
Per regolarizzare la situazione, la donna si rivolge anche al sindacato degli inquilini. Cerca di fare qualcosa, ma l’uomo sembra proprio non volerci sentire.
Inizia così una serie di dispetti che presto diventano vere e proprie angherie.
“Una bella mattina, ha portato via con un carrattrezzi l’auto di mio padre parcheggiata in cortile. Da quando era morto era rimasta lì, senza assicurazione perché io non la usavo. Ma era in un luogo recintato e al sicuro. Lui invece l’ha portata in piazza a Chiaverano e poi ha chiamato la vigilessa dicendo che c’era un’auto parcheggiata priva di assicurazione. Sono dovuta intervenire subito per farla rottamare”.
Alcuni giorni dopo, mentre è fuori con la sua auto, il vicino le mette un bel lucchetto al cancello: “Mi ha tolto l’accesso al passo carraio di cui avevo legittimamente diritto d’accesso. Io ho subito sette interventi all’intestino e non posso portare pesi. Neppure la busta della spesa. Per questo per me era importante poter parcheggiare dentro. Gli ho fatto scrivere da un avvocato chiedendo di togliere il lucchetto o di darmi la chiave. Ma non è servito a nulla. Così, per portare su la spesa ho iniziato ad aiutarmi con un montacarichi che aveva fatto mettere mio padre”.
Scattano così altre ripercussioni. Una bella mattina, l’uomo le chiude il contatore dell’acqua e le fa trovare sopra il tombino, un pallet carico di termosifoni di ghisa.
Chiama anche i carabinieri che vanno, ma le dicono di non poter far nulla.
Francesca non demorde e, agganciando al solito montacarichi i termosifoni, inizia a trascinarli via uno ad uno. Lui perde completamente le staffe e inizia ad inveire contro la donna che chiama ancora i carabinieri che arrivano con l’intenzione di parlare con quel vicino di casa.
E’ sabato mattina e lui non si fa trovare. Ma appena i militari vanno via, sale con l’intenzione di sbattere fuori Francesca da quella casa.
“Era una furia, ha iniziato a prendermi a calci e schiaffi. Sono corsa via mentre lui buttava tutto all’aria, spaccava tutto”.
Dopo l'aggressione Francesca sta male e va in Pronto Soccorso. Qui, a causa delle contusioni riportate, viene dimessa con una prognosi di dieci giorni. Con il referto Francesca ha sporto denuncia ai carabinieri che hanno raccolto le dichiarazioni della donna come integrazione di quanto già denunciato il 23 giugno scorso.
Ora bisognerà aspettare l'intervento del magistrato. Solo l'autorità giudiziaria, a questo punto, potrà costringere l'uomo a far rientrare in casa Francesca almeno riprendersi le sue cose.
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