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Il partigiano
18 Agosto 2023 - 19:40
Giuseppe Cassinelli
"Sono sempre stato uno a cui non piacciono i soprusi" diceva Giuseppe Cassinelli in un'intervista all'Anpi del 2019. Conosciuto come "partigiano Beppe", Cassinelli se n'è andato oggi all'età di 97 anni. Originario di Castagnole Lanze, in provincia di Asti, Cassinelli era tesserato onorario all'Anpi di Chivasso dopo che la sezione di San Benigno, a cui apparteneva, aveva chiuso.
"Il suo ricordo e il suo esempio di uomo, partigiano e di antifascista combattente per la libertà e la giustizia sociale, saranno sempre nei cuori di tanti che lo hanno conosciuto, apprezzato e gli sono stati amici. I giovani studenti soprattutto, ai quali guardava con trepidazione per il loro futuro" ha scritto il presidente del sodalizio chivassese, Vinicio Milani, su Facebook.
Cassinelli era nato il 6 febbraio del 1926. A 14 anni, due anni dopo la morte della madre, decise di scappare di casa verso Torino. "Mio padre si mise a fare il cretino su per le Langhe - raccontava all'Anpi - e portava le donne a casa... io ho resistito due anni, poi me ne sono andato".
Il post di ricordo di Milani
A Torino, Cassinelli si mise a lavorare in un grande panificio. "Sono stato lì fino ai 18 anni, quando sono diventato partigiano". A quell'età, insieme ad altri amici decise di prendere il treno da Porta Nuova per Aosta, per sfuggire alla chiamata dell’Alto Comando Tesdesco che ordinava ai nati del 1° semestre del 1926 di presentarsi per essere inviati a lavorare nelle fabbriche tedesche.
"Sul treno - raccontava "Beppe" - trovammo uno che ci chiese dove volevamo andare. Ci disse che se volevamo andare coi partigiani dovevamo scendere a Hone Bard. Lì dovevamo dire che ci mandava Sergio".
Giuseppe Cassinelli nella sua abitazione
Sceso a Hone Bard, giunse il giorno successivo, dopo un lunghissimo cammino per le mulattiere valdostane, al comando partigiano di Champorcher e alla sera ebbe come primo incarico, la guardia alla salma di un partigiano morto a causa di un errore di un altro combattente nel maneggiare un'arma.
Stava muovendo i suoi primi passi nel Corpo Volontari della Libertà di Aosta, VII Divisione Giustizia e Libertà “Pietro Ferreira” Brigata Carlo Cattaneo, dove successivamente assunse il grado di Comandante di squadra. Operò con la sua Brigata nel biellese e nel vercellese. Tornato a Torino dopo la Liberazione, partì nuovamente per unirsi alle truppe d’occupazione alleate sui confini dell’Austria.
All'Anpi, Cassinelli aveva raccontato per filo e per segno la sua esperienza di partigiano. Lo aveva fatto proprio ai microfoni di Vinicio Milani che, assieme a Giancarlo Tagliati, ad Antonio Viola e a Gabriele Franchino avevano curato il progetto di un archivio pubblico contenente interviste video alle ultime partigiane e partigiani viventi.
L'obiettivo era "dare forma ad un memoriale vivo e condiviso, e al tempo stesso di fornire un'importante documentazione ai ricercatori e un moderno strumento di conoscenza storica e democratica alle nuove generazioni" come ha scritto qualche ora fa Milani su Facebook.
"Che la guerra sarebbe finita l'ho saputo un mese prima: avevamo dei contatti radio con gli Alleati e avevo saputo che appena sarebbe finito l'inverno del '44 sarebbero venuti su" raccontava a Milani e agli altri Cassinelli. Il giorno della Liberazione, lui e la sua squadra erano venuti giù verso Borgofranco di Ivrea, dove c'erano ancora i tedeschi.
"Una donna di Nomaglio - raccontava il combattente - ci disse che i tedeschi stavano andando via, e così andammo a fare un posto di blocco lì: i tedeschi che c'erano lì dissero che fino all'una avrebbero presidiato il paese. Poi saremmo potuti entrare".
E dopo la Liberazione? "Dopo la guerra c'era un grande entusiasmo - proseguiva il partigiano -. Poi le cose sono cambiate, ma c'era sempre la speranza che la gente capisse che avevamo fatto qualcosa per tutti". E invece "quando ci sono state le votazioni [nel '46] abbiamo visto che c'erano ancora tante persone che avevano votato per la monarchia...".
Umberto II, ultimo Re d'Italia
All'epoca, infatti, furono in 10 milioni, soprattutto nel Meridione, a chiedere che in Italia tornasse a governare il Re. Dopo la guerra, Vittorio Emanuele III aveva lasciato il trono al figlio, Umberto II, vista la grave compromissione che il sovrano aveva avuto col fascismo a partire dall'ottobre del 1922, quando incaricò Mussolini di formare un governo in seguito alla Marcia su Roma.
Eppure vinse la Repubblica, anche se solo con 2 milioni di voti di scarto. E da lì cominciò la vita democratica dell'Italia dopo vent'anni di dittatura.
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