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20 Luglio 2023 - 22:24
Mentre all'università di Bologna sperano di riabbracciare presto Patrick Zaki, all'università del Piemonte Orientale disperano per le sorti di Ahmadreza Djalali, medico e ricercatore dell'ateneo, condannato a morte in Iran perché considerato una spia.
Dalla Conferenza dei rettori delle Università italiane è arrivato un appello per la sua liberazione.
Djalali, 51 anni, iraniano naturalizzato svedese, era stato arrestato nell'aprile del 2016, mentre si trovava nel suo Paese d'origine, su invito dell'università di Teheran e dell'università di Shiraz, per tenere dei seminari.
L'ordine di carcerazione, senza un vero e proprio mandato, era arrivato direttamente dal Ministero dell'Intelligence e della Sicurezza, per l'accusa di spionaggio e di collaborazione con Israele e il Mossad.
Nel 2017 Djalali era stato condannato alla pena capitale dalla Corte rivoluzionaria dopo un'udienza alla quale era stato impedito al suo avvocato di assistere. L'esecuzione era stata temporaneamente sospesa.
Il 24 maggio 2022 era stato respinto l'ultimo appello dei suoi legali.
Nei giorni scorsi un'agenzia di stampa privata di Teheran, la Mehr News Agency, ha battuto la notizia che sarebbe nuovamente imminente l'esecuzione per impiccagione.
Da qui un nuovo appello di Amnesty International per la sua liberazione, a cui fa seguito quello dei rettori italiani, che "applaudono l'epilogo atteso da anni per Patrick Zaki", auspicano "risultati analoghi per il caso di Giulio Regeni, ancora in attesa di una risposta chiarificatrice" e sollecitano una soluzione per il ricercatore di Upo.
Ahmadreza Djalali è un grande esperto di medicina d'emergenza e ha condotto numerose ricerche in Europa.
Ha vissuto a Novara dal 2012 alla fine del 2015, lavorando al Centro di Ricerca Interdipartimentale in Medicina di Emergenza e dei Disastri ed informatica applicata alla didattica e alla pratica Medica (Cremedim), che fa parte dell'Università del Piemonte Orientale.
Prima dell'arresto si era trasferito con la moglie Vida e i due figli a Stoccolma.
Nei mesi scorsi proprio da Novara era partita la mobilitazione sul suo caso.
Una serie di incontri a cui ha partecipato l'amico e collega del medico iraniano-svedese, Luca Ragazzoni, che in uno di questi momenti, a marzo, sottolineò come Djalali "abbia subito un processo-farsa con accuse infondate e una confessione estorta con la tortura e poi trasmessa in televisione".
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