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L'intervista

"Ho conosciuto Thomas Sankara": storia di Eddy, dal Burkina Faso al Canavese

Oggi Edmond Traorè, per gli amici Eddy, è consigliere comunale a Feletto, ma la sua storia inizia in Africa

"Ho conosciuto Sankara quand'ero bambino": storia di Eddy, dal Burkina Faso al Canavese

Edmond Benewinde Traorè ci risponde a telefono mentre è a casa coi figli. Trova un posto per fermarsi e iniziamo a chiacchierare.  Gli amici lo chiamano Eddy, e lui si fa chiamare così di buon grado. Oggi Eddy fa il consigliere comunale a Feletto, ma la sua storia non comincia in Canavese.

Classe 1975, nato il 21 giugno, Traorè cresce in una famiglia di diciotto fratelli e sorelle. Vive in Burkina Faso fino al 2006, quando è costretto a lasciare il paese con un visto turistico per motivi politici. Nel Paese africano, all’epoca, imperversava infatti la dittatura di Blaise Compaorè.

Una dittatura a cui Eddy, assieme a tanti amici e compagni, si era opposto fin dal primo momento. Fin da quando, cioè, Compaorè, col sostegno dei governi francese e statunitense, rovesciò il 15 ottobre del 1987 il governo del presidente marxista Thomas Sankara dopo averlo brutalmente ucciso. All’epoca Eddy aveva solo 12 anni, ma porta impresso dentro di sé il ricordo di quella figura carismatica, passato alla storia come il Che Guevara africano.

Thomas Sankara

L'infanzia in Burkina Faso e l'incontro con Sankara

Se gli si chiede di raccontare il Burkina Faso, infatti, Eddy comincia proprio da da Sankara. “Ho ancora in mente il ricordo di quando lo incontrai il 2 ottobre 1987. Sankara era venuto a fare una visita a Tenkodogo e io ero tra i Pionieers. Spettava a noi il compito di accoglierlo”. Neanche due settimane dopo, Sankara sarebbe stato ucciso, e assieme a lui il suo governo.

L’organizzazione dei Pioneers of Revolution era il movimento giovanile fondato da Sankara quando salì al governo nel 1983. Basco giallo, fazzoletto rosso al collo e divisa bianca e nera, i bambini e gli adolescenti che rientravano nel movimento accoglievano a braccia aperte il loro presidente ovunque si presentasse.

Tra questi c’era Edmond. “Sankara - ci racconta - teneva molto ai bambini, e diceva sempre che il futuro eravamo noi”. E infatti, tra le tante misure prese dal governo di Sankara c’erano quelle a favore dell’infanzia. Sankara, infatti, si adoperò per contrastare pratiche barbare come la mutilazione genitale femminile e i matrimoni forzati.

Inoltre organizzò una campagna di alfabetizzazione nazionale, e circa 2,5 milioni di bambini furono vaccinati contro la meningite, la febbre gialla e il morbillo. “Quando l’ho incontrato di persona ho visto in lui una figura semplice, umile, che ci guardava con grande amore e che ci parlava con la franchezza della verità” ricorda Eddy.

I Pioneers of Revolution

Una verità chiara, espressa in termini altrettanto chiari: “Ci diceva - prosegue Traorè - di credere nella rivoluzione che stava compiendo, e di parlarne anche quando saremmo tornati a casa. Ci chiedeva di parlarne anche con le nostre madri, perché credeva molto nell’emancipazione delle donne. Donò la sua vita per il Burkina Faso, anche se sapeva che non sarebbe durato molto perché le grandi potenze mondiali erano contro di lui”.

L'opposizione al governo di Blaise Compaorè e la decisione di emigrare

Eddy descrive bene la sensazione che provò quando Sankara fu ucciso. Era molto piccolo, ma era cresciuto all’ombra di quella figura carismatica, che lo aveva profondamente colpito. “Sentimmo che il nostro avvenire era stato tagliato, e abbiamo così iniziato a lottare contro il nuovo governo. Pensammo addirittura di lottare contro Compaorè creando un partito che gli facesse opposizione - racconta ancora Eddy -. Anche a me era stato proposto di candidarmi come deputato. Poi non lo feci più. I nostri avversari avevano tanti soldi e il supporto dell’Occidente. Purtroppo in Burkina Faso non c’era nessuna democrazia”.

In tanti, nel corso degli anni, sono rimasti uccisi o sono finiti in carcere. “Tanti, invece, scelsero come me di lasciare il Paese, soprattutto perché le cose diventavano sempre più difficili negli anni 2000, oppure si rifugiarono nel silenzio per paura di essere perseguitati”. Eddy lasciò il suo Paese a malincuore: “Il Burkina Faso è un bellissimo paese, che mi ha dato tantissimo, lì avevo il mio lavoro e la mia vita”.

Così, visto turistico in mano, arrivò a Milano nel 2006. Si sentiva perso, piombato in una nazione di cui non conosceva la lingua e dove non aveva amici. Così si rivolse a un conoscente della Costa d’Avorio. “Mi disse che a Napoli c’era una comunità di cittadini del Burkina Faso, e così mi convinse. Poco dopo ero a Pianura, un quartiere di Napoli, dove incontrai tanti burkinabè”.

"Napoli mi è rimasta nel cuore"

Gli inizi, per Eddy, non furono facili. “Mi sembrava di essere passato da un inferno a un altro inferno - ci racconta - perché inizialmente dormivo nelle case abbandonate. Quella vita mi ha fatto riflettere tanto, perché era una vita veramente sofferta”. Fortunatamente, giorno dopo giorno, Eddy riuscì a mettersi in carreggiata.

“Ho iniziato a lavorare come muratore; poi un giorno incontrai una persona che iniziò a parlarmi della Chiesa. Io iniziai a frequentarla. La Chiesa, in quel periodo, tramite la Caritas aiutava tante persone. E così anche io decisi di mettere in piedi un’associazione”.

Eddy Traorè a Napoli

Con la nuova associazione, Eddy e i suoi compagni iniziarono ad andare nelle scuole a parlare di migrazioni e di pregiudizi: “Il nostro obiettivo era rimuovere i sentimenti di paura e di pregiudizio che le persone provavano nei confronti degli stranieri. Iniziammo, per esempio, ad organizzare corsi di francese per italiani, e le docenti italiane che erano nella nostra associazione organizzavano invece dei corsi di italiano per stranieri”.

Il bilancio di quell’esperienza è più che positivo: “Sono stato benissimo a Napoli, è una città che mi è rimasta nel cuore”. Eddy lasciò definitivamente i suoi amici partenopei nel 2012, quando migrò verso il Piemonte. Prima a Ciconio, poi a Rivarolo e infine a Feletto.

L'arrivo in Canavese

In Canavese Eddy ci è arrivato su segnalazione di un cugino, che l’aveva informato della possibilità di trovare un posto di lavoro come operaio metalmeccanico. Oggi, oltre a svolgere quel lavoro e a fare il consigliere comunale, Eddy è mediatore culturale e segretario dell’associazione burkinabè di Torino.

“Come ho poi deciso di candidarmi a Feletto? Bella domanda!” sorride quando glielo si chiede. “Abitavo a Rivarolo ma conoscevo una famiglia di Feletto, quella di Enzo Errichiello. Enzo è una persona strepitosa, che mi ha ospitato per un mese quando ne avevo bisogno. Ancora oggi io lo chiamo papà e i miei figli lo chiamano nonno. Giusto oggi [il 19 marzo, giorno dell’intervista, ndr] gli ho fatto gli auguri!”.

Poco dopo, Eddy decise di trasferirsi direttamente a Feletto. Qui, con la moglie, mette su famiglia. “A Feletto ho cominciato a frequentare la messa la domenica e ho iniziato a conoscere le persone del posto” ci racconta. Evidentemente, la personalità di Eddy non è passata inosservata ai felettesi.

“Ciò che mi ha toccato di più è stata la reazione della comunità quando ho organizzato la festa di battesimo per uno dei miei figli - ci dice -. La gente di Feletto in quell’occasione mi fece un grande onore. Organizzammo una festa multietnica e vennero duecento persone, sembrava quasi un matrimonio!”.

Una grande festa multiculturale, dunque, in cui “abbiamo portato un po’ di cultura africana tramite il cibo, la musica e i vestiti. Pian piano mi sono sentito sempre di più un cittadino di Feletto”. Un sentimento di appartenenza amplificato dalle parole del Vescovo Emerito di Pinerolo Pier Giorgio Debernardi, originario proprio di Feletto.

“Lui era stato per anni in Burkina Faso, dove fece del bene alla comunità locale - ci dice Eddy -. Un giorno mi disse: ‘Dio ci ha fatto fare uno scambio: tu vivi nella mia terra e io vado nella tua, e abbiamo una missione’. Ecco, vorrei approfittare di questa intervista per ringraziarlo per tutto ciò che ha fatto per il Burkina Faso”.

Tutto l’amore ricevuto dalla comunità, però, Eddy ha voluto restituirlo. “Quando mi proposero di candidarmi ero un po’ spaventato, ma mi sono detto che questo paese mi aveva dato tanto e quindi anche io potevo dare altrettanto”. E così, nel 2021 è cominciata la sua avventura.

Se gli si chiede cosa pensa quando assiste in tv a notizie quali quella della strage di migranti di Cutro, consumatasi nelle scorse settimane al largo delle coste calabresi, la sua risposta è decisa: “Nessun essere umano prenderebbe un rischio del genere se avesse la scelta di fare altrimenti. Mi dispiace che la politica preferisca strumentalizzare certi temi sulla pelle della gente. L’Italia non è un paese razzista, e gli italiani sono un popolo speciale e dalla grandissima sensibilità. Per questo penso che non debbano farsi ingannare da questa politica”.

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