Tredici condanne, quattro assoluzioni. Cinque anni e due mesi di reclusione a
Carlo De Benedetti e al fratello
Franco Debenedetti, un anno e undici mesi all'ex ministro Corrado Passera, indennizzi (provvisori) alle parti civili per quasi due milioni di euro. Si è chiuso così a Ivrea (Torino) il processo per le morti da amianto fra gli ex lavoratori della Olivetti. La giudice
Elena Stoppini ha, nella sostanza, accolto l'impostazione della pubblica accusa: i vertici aziendali, per tutti gli anni Ottanta e anche in seguito, trascurarono i problemi legati alla presenza di sostanze nocive e intervennero in ritardo o in modo insufficiente.
Carlo De Benedetti, chiamato in causa come amministratore delegato e presidente dal 1978 al 1996, è stato riconosciuto responsabile (a titolo colposo e non doloso) di sette decessi e di due casi di lesioni. Ci sarà una coda perché il giudice ha ordinato la trasmissione delle carte alla procura di Ivrea in relazione alla morte di altre due persone. La replica dell'Ingegnere non si fa attendere:
"Sono stupito e molto amareggiato per la decisione del tribunale di Ivrea di accogliere le richieste manifestamente infondate dell'accusa. Sono stato condannato per reati che non ho commesso. Sono vicino alle famiglie dei lavoratori coinvolti ma ribadisco ancora una volta che durante la mia gestione l'Olivetti ha sempre tenuto nella massima considerazione la salute e la sicurezza in ogni luogo di lavoro". De Benedetti sottolinea che la gestione diretta di questi aspetti (
"e con me era stato implementato") era stata decentralizzata con un ampio e articolato sistema di deleghe. "
I servizi interni preposti alla sicurezza del personale e alla manutenzione degli stabili non mi hanno mai segnalato situazioni allarmanti o anche solamente anomale in quanto, come emerso in dibattimento, i ripetuti e costanti monitoraggi ambientali eseguiti in azienda hanno sempre riscontrato valori al di sotto delle soglie previste dalle normative all'epoca vigenti e in linea anche con quelle entrate in vigore successivamente". L'ex ministro
Corrado Passera è stato chiamato in causa in qualità di amministratore delegato dal 1992 al 1996.
"A me - commenta - non è mai stata notizia di rischi legati all'amianto, altrimenti avrei affrontato la questione con le dovute misure". Il suo avvocato,
Guido Carlo Alleva, parla di
"sentenza profondamente ingiusta: non c'è nemmeno la prova che durante quei quattro anni il personale sia entrato in contatto con l'asbesto". I condannati sono top manager e dirigenti degli anni Ottanta. Le parti civili (familiari delle vittime, enti, associazioni, sindacati patrocinate dagli avvocati Laura D'Amico e Roberto Lamacchia) hanno ottenuto il diritto a chiedere i danni in un procedimento separato. Il giudice ha però ordinato il pagamento immediato di una provvisionale alle persone fisiche (855 mila euro in tutto) e all'Inail (993 mila euro) da versare "in solido" con Telecom Italia, citata come responsabile civile. Fra gli assolti figurano l'imprenditore
Roberto Colaninno, imputato per un solo caso di lesioni, l'ottantacinquenne
Camillo Olivetti, l'unico componente della storica famiglia fondatrice, e
Onofrio Bono, responsabile del servizio di prevenzione fra il 1996 e il 1998:
"C'erano molte ragioni per assolvere" dichiara il suo legale,
Carlo Mussa. Le difese annunciano valanghe di ricorsi in appello. Nel processo di secondo grado - spiegano - dovranno essere valutati meglio i documenti (recuperati nell'archivio storico dell'Olivetti) sul decentramento delle responsabilità attraverso il meccanismo delle deleghe.
"E si dovrà prendere atto che, a differenza di quanto sostiene la procura, nei cicli di lavorazione non si usava talco contaminato da asbesto". Per il momento i pm che hanno sostenuto l'accusa esprimono una
"soddisfazione relativa, dato che siamo di fronte all'ennesima tragedia dell'amianto. Quelle morti si potevano e si dovevano evitare".
Olivetti e Ivrea ascesa e declino
Una sentenza che "fa chiarezza" ma che "non cancella la storia della Olivetti". E' il sindaco di Ivrea,
Carlo Della Pepa, a dare voce all'opinione che corre fra suoi concittadini: è vero, c'era l'amianto, ci sono stati dei morti e adesso ci sono pure le condanne, ma quella che hanno processato non è l'Olivetti dei vecchi dirigenti, l'Olivetti dei bei tempi che aveva portato lavoro, benessere e notorietà. E' "un'altra" Olivetti.
Il sindaco Carlo Della Pepa
Della Pepa parla pochi minuti dopo la lettura del dispositivo con cui un giudice inflitto cinque anni e due mesi a Carlo De Benedetti. Ha seguito l'udienza in un'aula molto grande eppure semivuota: nessun assalto di pubblico, nessuna protesta di parenti, niente bandiere, niente applausi.
"Ma non è esatto - sottolinea -
dire che Ivrea è stata disattenta. Il Comune è costituiti parte civile. E i cittadini hanno seguito e discusso la vicenda all'interno delle organizzazioni sindacali e delle istituzioni". Anche i pubblici ministeri, nel corso del processo, avevano tracciato una cesura fra le due Olivetti. Da una parte l'impresa di Adriano Olivetti, creatrice di macchine per scrivere vendute in tutto il mondo, modello di "fabbrica umanista" dove il lavoratore veniva prima di ogni altra cosa, le paghe erano più alte, il profitto andava di pari passo con la solidarietà sociale e l'operaio poteva ritrovarsi a camminare fianco a fianco con l'artista, il poeta e lo scrittore. Dall'altra, l'azienda degli anni Ottanta, quella dei finanzieri, che trascurò la salute e la sicurezza dei propri dipendenti. Una lettura che aveva fatto indignare le difese ("frasi denigratorie") ma che ha trovato il sindaco d'accordo. "
Ogni decennio ha le sue problematiche. Chissà, forse in passato il mondo era più semplice e si faceva più attenzione". Le difese hanno contestato questa visione:
"La filosofia dell'azienda non è mai cambiata - ha detto l'avvocato di
De Benedetti, Tomaso Pisapia -
e i criteri di centralità e di protezione dei dipendenti non sono mai venuti meno". Anche l'Ingegnere, nel commento diffuso dopo la sentenza, ha voluto sottolineare questo aspetto: "L'ampia documentazione prodotta in dibattimento sull'articolato sistema di deleghe vigente in Olivetti e sul completo e complesso sistema di tutela della sicurezza e salute dei lavoratori, da me voluto e implementato fin dall'inizio della mia gestione (il 1978 - ndr) dimostra che non ho commesso i reati oggetto del processo".
L’inchiesta e le vittime
L’inchiesta dei pm
di Ivrea, disegna, per la storica fabbrica di macchine per scrivere fondata nel 1908 da Camillo Olivetti e poi diventata un’industria di elettronica e informatica, un panorama di violazioni nelle norme in materia di sicurezza. Il procuratore di Ivrea,
Giuseppe Ferrando, in questi mesi ha sempre parlato di “carenze nella prevenzione”. La manutenzione non era accurata, le fibre si disperdevano nell’ambiente e i lavoratori, privi di adeguate informazioni, non venivano dotati di mezzi di protezione personale sufficienti. I magistrati mettono l’accento soprattutto sulla questione ritardi. Nel 1974 l’azienda formò una Commissione permanente e nel 1977 elaborò un documento sull’uso dell’amianto che però non faceva cenno all’”amianto strutturale”. Il talco contaminato venne sostituito solo nel 1986 e per il locale mensa di via Jervis, dove l’amianto era presente in “materiale friabile”, fino al 1988 non si adottarono “misure igieniche che consentissero ai lavoratori di mangiare, bere e sostare senza rischio di contaminazione”. Non si ammalarono soltanto operai, elettricisti, addetti alla verniciatura o ai trattamenti termici: c’è anche il caso (lesioni colpose) di Bruna Luigia Perello, colpita da un mesotelioma “insanabile”. La donna impiegata amministrativa a fine carriera, lavorava al Centro Studi Olivetti e l’amianto c’era anche lì, nascosto nell’intonaco.
Le vittime
Sono:
Antonio Bergandi, Maria Bretto, Marcello Costanzo, Aldo Enrico, Emilio Gansin, Ganio Mego, Antonio Merlo, Domenico Rabbione, Vittore Risso, Francesco Stratta, Caterina Turino, Aldo Vallino, Silvio Vignuta, Luigi Mariscotti.
Bruna Luigi Perello
Pierangelo Bovio Ferassa
Ancora in vita (foto sotto) Bruna Luigia Perello, Pierangelo Bovio Ferassa.
De Benedetti, tessera del Pd “numero 1”?
Non è mai sceso ufficialmente in politica e la storia dell’iscrizione al Pd con la tessera numero 1 è stata da lui stesso definita una leggenda. Eppure Carlo De Benedetti non ha mai fatto mancare i suoi giudizi taglienti su personaggi e scelte dei vari governi e nell’immaginario collettivo è considerato l’eterno avversario, forse il principale, di
Silvio Berlusconi: da un lato il Lodo Mondadori, che lo ha visto contrapposto al Cavaliere in una lunga disputa giudiziaria, dall’altro l’avventura editoriale con La Repubblica, accusata per anni da Forza Italia di essere il vero partito d’opposizione.
PD, partito democratico
De Benedetti è questo, ma anche molto altro. Durante cinquanta degli ottanta anni che ha compiuto il 14 novembre scorso, ha segnato la storia imprenditoriale italiana, iscrivendosi tra gli uomini d’affari più influenti del Paese. L’Ingegnere, come è chiamato per il suo titolo di studio, non è identificabile con un solo settore, perchè è stato l’Olivetti, la telefonia mobile con Omnitel quando questa era ancora avanguardia, ma anche l’industria tradizionale con la componentistica auto e quella dell’era internet con le varie attività avviate negli anni Novanta fino all’ingresso nell’energia. L’avventura editoriale è centrale nella sua vita, tanto che nel 2009, quando decide di lasciare tutte le cariche delle sue imprese, consegnandole in mano ai figli, mantiene comunque un ruolo, anche formale, nel Gruppo Espresso e assicura che quell’attività non sarà dismessa almeno fino a quando rimarrà in vita. Torinese, è naturalizzato svizzero: oltreconfine si trasferisce con la famiglia durante le leggi razziali (il padre era ebreo) e, quando decide di prendere la seconda cittadinanza, è accusato di farlo per ragioni fiscali, ma la circostanza è da lui sempre negata. Il debutto professionale avviene nel 1959 nell’azienda paterna, la Compagnia Italiana Tubi Metallici Flessibili. Impresa valorizzata fino all’acquisizione nel 1972 della Gilardini, che De Benedetti guida fino al ’76 come presidente e amministratore delegato. Proprio in quell’anno diventa amministratore delegato della Fiat anche grazie all’appoggio di Umberto Agnelli. Una esperienza di soli quattro mesi, un rapido divorzio che sorprende e attira su di lui ancora di piu’ l’attenzione del mondo economico. Con la vendita della sua quota in Fiat, avuta in cambio del conferimento della Gilardini nel gruppo torinese, emerge quello che sara’ poi il cuore finanziario del suo impero, la Cir (Compagnie Industriali Riunite), di cui assume il controllo nel novembre del 1976. Gli investimenti della compagnia si diversificano rapidamente: ad esempio con la Sasib e l’Euromobiliare, una delle grandi finanziarie italiane. In quegli anni l’Ingegnere lega il suo destino a quello dell’Olivetti, una delle imprese italiane piu’ conosciute nel mondo, diventandone nel 1983 presidente e amministratore delegato. Non tutte le sue iniziative hanno successo: entra in Buitoni-Perugina e contratta nel 1985 con Romano Prodi l’acquisto dall’Iri del gruppo alimentare Sme. L’affare viene bloccato dalle forze politiche e sfuma. Guai arrivano anche per il rapido passaggio nel Banco Ambrosiano di Calvi. De Benedetti apporta capitali e viene nominato vicepresidente nel novembre 1981: dopo pochi mesi cede la sua quota ed esce. Anni dopo questo passaggio gli sara’ imputato in sede giudiziaria, dopo il crack del vecchio Ambrosiano. Altro epico scontro è quello legato alla guerra di Segrate per il controllo della Mondadori, scoppiata nel 1991 e spiegatasi anche nelle aule dei tribunali. Un conflitto che porta al riconoscimento del maxi-risarcimento di 500 milioni di euro alla Cir. Da quella guerra nasce la spartizione che segna la storia dell’editoria italiana con il Gruppo Espresso nelle mani di De Benedetti e la Mondadori nell’orbita di Berlusconi.
Non si è mai presentato in aula ma si è fatto intervistare da Cazzullo
Un gran lavoro, quello della Procura a Ivrea. In questi mesi, nell’aula magna del liceo Gramsci, sono sfilati decine di indagati. Tra gli altri
Pierangelo Tarizzo, Filippo Demonte, ma anche
Luigi Pescarmona, uno dei massimi dirigenti dell’epoca. I “non so”, i “non ricordo”, com’era facile da prevedersi, si sono sprecati. Non hanno ricordato nulla loro e i big, tanto per marcare la differenza, neanche si sono presentati. Carlo De Benedetti a Ivrea nessuno lo ha visto, neanche per prendere un caffè o per dare un’occhiata all’azienda che era stata per anni la sua prima casa.
apple
Non ha mai trovato il tempo di sedersi davanti ai pm Francesca Traverso e Laura Longo, ma nel novembre del 2015, avanzò qualche ora per un’intervista con il sicuramente più accomodante
Aldo Cazzullo, giornalista del
Corriere della Sera. E lo fece semplicemente per ribadire la sua estraneità ai morti e agli ammalati. Perchè “non tutti hanno idea di cosa significhi governare un gruppo di 70 mila dipendenti”. E poi sapete che c’è? C’è che secondo quanto si dice nell’indagine (che evidentemente
De Benedetti ha letto decine di volte) l’amianto era anche negli uffici dove ha lavorato lui per 18 anni. “
Se lo avessi saputo, o ne avessi conosciuto la pericolosità … – aveva sottolineato
De Benedetti a
Cazzullo –
non crede che l’avrei fatto togliere?”. Fin qui la difesa specifica, ma c’era dell’altro su cui discutere e dibattere. Il crollo di un sogno che era l’azienda. L’abbandono di un progetto che oggi è anche mito… Il mito di Adriano, insomma. Anche su questo un processo ci starebbe bene e bene si farebbe a farlo. Peccato che anche su questo l’Ingegnere, bontà sua, non abbia nulla da recriminare o da rimproverarsi. Capace solo di farsi dei bei complimenti raccontando come, grazie a lui, Olivetti creò valore con Omnitel poi venduta per 14.500 miliardi di lire a
Mannesmann. Bravo, bene, bis... Sia chiaro a tutti dunque che
Carlo De Benedetti non ha mai sbagliato. Mai! Neanche quando si presentò da
Antonio Di Pietro confidandogli che anche lui (porca la miseriaccia) qualche tangente l’aveva “sganciata” e che si fece pure una giornata in gattabuia salutata (buon per lui) come “una botta di culo e di insegnamento…”. No! Anche concentrandosi di errori non gliene viene in mente uno… Neanche quella volta con quel giovanotto che gli propose di investire in una piccola azienda americana. Era la Apple di
Steve Jobs. “
Sì! Ero a Cupertino. Erano le 7 di sera. Ero esausto per le riunioni e per il fuso. Mi accompagnarono in un garage dove c’erano due capelloni con i jeans stracciati che lavoravano a un mini-computer: erano Wozniak e Jobs. Steve mi propose di rilevare il 20% della sua società per 30 milioni di dollari. Me ne andai…”. E sarà anche che
De Benedetti vive sereno la sua vecchiaia, però oggi quella quota varrebbe 100 miliardi di euro e forse a Ivrea ci sarebbe oggi tutta un’altra storia da raccontare e tutta un’altra Italia in cui lavorare. Forse… Chissà! Il famoso fiuto di Carlo De Benedetti...
Assolti
Camillo Olivetti, Roberto Colaninno, Silvio Preve, Onofrio Bono
Condannati
Carlo De Benedetti 5 anni e 2 mesi
Franco De Benedetti 5 anni e 2 mesi
Corrado Passera 1 anno e 11 mesi
Renzo Alzati 1 anno e 11 mesi
Giuseppe Calogero 2 anni e 2 mesi
Filippo De Monte 1 anno e 8 mesi
Roberto Frattini 1 anno e 8 mesi
Luigi Gandi 4 anni e 2 mesi,
Manlio Marini 4 anni e 8 mesi
Anacleto Parziali 1 anno
Luigi Pistelli 1 anno e 8 mesi
Pierangelo Tarizzo 1 anno e 11 mesi
Paolo Smirne 2 anni e 8 mesi.
Le richieste della Procura
Quindici le richieste di condanna (su 17) formulate dai pubblici ministeri. Per Carlo e Franco De Benedetti, rispettivamente 6 anni e 8 mesi e 6 anni e 4 mesi. Per Corrado Passera, 3 anni e 6 mesi. Tre anni e quattro mesi, invece, per Camillo Olivetti. E poi Renzo Alzati (2 anni e 2 mesi), Giuseppe Calogero (2 anni e 6 mesi), Filippo De Monte (1 anno), Roberto Frattini (2 anni), Luigi Gandi (3 anni e 8 mesi), Manlio Marini (4 anni), Anacleto Parziali (8 mesi), Luigi Pistelli (2 anni), Paolo Smirne (2 anni e 8 mesi), Pierangelo Tarizzo ( 2 anni e 8 mesi) e Silvio Preve (2 anni).