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21 Giugno 2016 - 11:17
Raccontano che ieri, quando anche Milano sembrava in bilico e Roma e Torino perse, Matteo Renzi fosse sul punto di perdere le staffe come quasi mai gli succede.
La tenuta di Milano ha invece 'salvato' il Pd e probabilmente evitato che il leader dem decidesse di azzerare tutto nel partito. A parte il commissariamento di Napoli, Renzi non chiederà le dimissioni di chi, da Orfini al segretario piemontese, è responsabile delle sconfitte più pesanti. Nè ha intenzione di andare alla guerra con la minoranza, pronta a chiedere un "cambio di passo" al Pd e al governo. Anche perchè il referendum tra 3 mesi richiede nervi saldi e tutti gli sforzi, più che sulla rottamazione, sulla creazione di una macchina organizzativa sul territorio che al momento risulta molto debole.
E' anche per anticipare le accuse della sinistra, che giovedì anticiperà, rispetto alla direzione di venerdì, l'analisi del voto in una riunione di corrente, che oggi il premier coglie l'occasione di una conferenza stampa con lo chef stellato Massimo Bottura per fare un parziale mea culpa. Ammette la durezza delle sconfitte e, pur negando qualsiasi collegamento con il governo, riconosce che ha vinto "chi ha meglio interpretato il cambiamento". Per questo, a suo avviso, sia al Pd sia al governo bisogna "accelerare", fare di più e meglio.
Nella riunione del consiglio dei ministri, a quanto si apprende, il premier afferma che il Pd deve essere "orgoglioso" delle riforme fatte, a partire dal jobs act fino alla riforma costituzionale, e ha chiesto ai ministri "più grinta" per i prossimi mesi, anche nel rivendicare il lavoro fatto.
Cambiamento, però, non vuol dire rottamazione almeno fino al regolamento di conti finale e definitivo del congresso, che comincerà a novembre. Sui territori si avvierà un processo, dai tempi medio-lunghi, di ricambio della classe dirigente per cercare risorse nuove. Ma a livello nazionale, a parte il rinnovo ed il rilancio della segreteria, da qualche mese un pò appannata, non ci saranno rivoluzioni. "La minoranza, anche se glielo chiedessimo, non entrerebbe mai nè alla segreteria nè al governo, puntano solo alla spallata al congresso", spiegano ai vertici del Pd.
Se Renzi tiene il governo al riparo del risultato, Roberto Speranza e Gianni Cuperlo chiedono una correzione di rotta nelle politiche di governo, guardando più al sociale. Una critica che arriva anche da alcuni esponenti della maggioranza, come Cesare Damiano, torinese e fedelissimo di Piero Fassino. Domani parlerà anche Pier Luigi Bersani e l'elenco degli errori del segretario si annuncia lungo. Ma a parte qualche pasdaran, come il bersaniano Davide Zoggia, è difficile che Bersani possa chiedere al leader dem di dimettersi da segretario. La richiesta della minoranza resta la modifica dell'Italicum con l'inserimento delle preferenze e del premio alla coalizione e non alla lista.
"Non è all'ordine del giorno" chiarisce il premier rinviando a dopo il referendum ogni valutazione vera sulla necessità di cambiare la legge elettorale.
Renzi è però disposto a ricucire dentro il partito, non vuole scontro e nemmeno se lo può permettere perchè un Pd diviso può solo indebolire le chance di vittoria nella sfida referendaria.
Si capirà solo nei prossimi giorni quanto la minoranza vuole veramente affondare il coltello. "Speranza e Cuperlo non sembrano veramente convinti ad andare giù duro, vediamo Bersani ma se il clima resta civile potremmo anche venire incontro alla minoranza e venerdì annunciare l'avvio della stesura del regolamento del congresso che in questo modo potrebbe concludersi a gennaio-febbraio 2017", è l'apertura che arriva dai vertici del partito.
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