I volti sconvolti sono quelli della paura, dell'angoscia e soprattutto della fretta. Negli occhi di Salah e Damia, Abil, Afrah, Amin, della piccola Leila, c'è la voglia di andare, di arrivare senza perdere tempo, senza dormire, senza mangiare, per trovare presto un rifugio sicuro. La famiglia siriana è ospitata nel centro ex Sagrini della Diocesi di Fermo, messo a disposizione dalla Curia già prima dell'appello di papa Francesco ad accogliere i profughi ricorda mons. Vincenzo Albanesi. Ma Salah e i suoi familiari resteranno nella cittadina marchigiana solo pochi giorni, sono diretti in Belgio. In tutto sono sei, e non vogliono essere fotografati: Salah, papà di Afrah, 7 anni, Amin, 5 e Leila che di anni ne ha due, la moglie Damia, e la mamma di lei, Abil. Non chiedono nulla, solo una tregua dalla stanchezza. Non hanno voglia di parlare, sono esausti. I volti bruciati dal sole, lo sguardo profondo di chi, in un viaggio interminabile, ha visto tutto, troppo, compresa la guerra. La loro storia è la stessa di tante altre famiglie in cerca di pace, di un luogo dove stare. A raccontarla è Salah, attraverso la referente del centro di accoglienza Laura Censi, perché loro parlano solo arabo. "Arriviamo dal centro della Siria, avevamo una casa e un lavoro. Io sono un libero professionista, ma nella mia città facevo il commerciante. Ci siamo sposati con Damia otto anni fa, poi sono nati i tre bambini, stavamo bene, prima... Siamo scappati da un paese in guerra, dove non si può più vivere, portando via quello che potevamo. Il viaggio è lungo, e abbiamo preso solo il necessario. Siamo partiti di notte diretti verso la costa. Poi il mare, tanto mare. In tasca i soldi per il viaggio, un pò di cibo e basta. Siamo sbarcati in Sicilia, in un viaggio impossibile da raccontare''. Salah piange, ma si riprende subito. ''Andiamo in Belgio, là ho dei parenti che mi aspettano. Siamo arrivati con un barcone, temevamo di non farcela''. La voce si spezza, ma l'uomo si fa forza, mentre la manina di Leila gli stringe un ginocchio: ''sembra passato tanto tempo, vogliamo continuare. Dobbiamo continuare". Quando Leila è arrivata qui sembrava disidratata, era piena di sonno ma non riusciva ad addormentarsi. ''Non volevano neanche fare una doccia, non avevano un biberon, niente'' dicono gli operatori del centro. ''Quando li abbiamo presi, i due bambini più grandi non volevano chiudere gli occhi perché avevano paura di essere abbandonati''. I bimbi non ridono, non giocano, nascondono il viso tre le mani della mamma. Lei, Damia - dovrebbe avere circa 25 anni - indossa ancora un abito tradizionale blu scuro, come pure sua madre, che però ha il volto coperto da un copricapo da cui spuntano solo gli occhi profondi e vivi, che dicono più di tante parole. A Fermo, in questa struttura che ospita 20 persone, famiglie, donne e ragazzi richiedenti asilo, Salah e il suo mondo resteranno due o tre giorni, forse meno. Le porte dell'ex Sagrini sono aperte, altri arriveranno.
Migranti, lo sforzo italiano
Non è vero, come sostiene l'Unione Europea, che l'Italia non identifica i migranti che sbarcano sulle coste. Lo sforzo della Polizia è enorme e, dall'inizio dell'anno, ha consentito di prendere le impronte e dunque identificare senza ombra di dubbio 61.166 persone su un totale di 93.540 migranti entrati illegalmente. Dei 32.374 non identificati la maggior parte sono eritrei e siriani, che notoriamente oppongono ogni resistenza possibile per evitare l'assunzione delle impronte. Ma si può fare di più, dunque, il capo della Polizia, Alessandro Pansa sta pensando a proporre modifiche legislative, una tra le quali il trattenimento del migrante che rifiuta di sottoporsi al rilevamento delle impronte digitali fino a un massimo di 30 giorni. In una lettera al rappresentante permanente d'Italia presso l'Unione europea, Stefano Sannino, che l'ha inviata al direttore generale per gli Affari Interni e l'immigrazione Ue Matthias Ruete, Pansa risponde ai rilievi avanzati dall'Unione europea all'Italia e sottolinea "gli enormi sforzi compiuti dalla polizia italiana per pervenire al rilevamento sistematico delle impronte agli stranieri che sbarcano, rispettando i diritti umani ed evitando forme di coazione". "Questo - dice Pansa - è il problema di fondo che incontriamo nella gestione degli sbarchi". E ricorda come, ad esempio, gli eritrei (25.657 arrivati dall'inizio dell'anno), e i siriani(5.495) si oppongono al rilevamento delle impronte per timore di dover rimanere nel Paese che li ha identificati, secondo quanto prevede il trattato di Dublino. Per arrivare all'identificazione di tutti i migranti che arrivano sulle nostre coste Pansa, sta valutando, dunque, di proporre un allungamento dei tempi di trattenimento fino ad arrivare al rilevamento forzoso delle impronte. Le ipotesi potrebbero essere tre: estensione della durata del trattenimento per l'identificazione dalle attuali 12-24 ore fino a 7 giorni; previsione del rilevamento forzoso delle impronte digitali; e previsione del trattenimento fino a 30 giorni del migrante che rifiuta di sottoporsi al rilevamento delle impronte.
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