Vecchie e nuove mafie, dall'estremo sud fino a gran parte del nord. La Relazione 2014 della Direzione nazionale Antimafia illustrata oggi mostra un quadro inquietante, anche se il procuratore nazionale Antimafia Franco Roberti parla di un bilancio "moderatamente ottimista" perchè, spiega, "sono calati i delitti dovuti alla criminalità, c'è stato un incremento delle misure di prevenzione ed il patrimonio sequestrato è ingentissimo, la cooperazione internazionale è migliorata". In Sicilia Cosa Nostra - nonostante sia stata fortemente colpita da indagini e arresti da parte delle forze dell'ordine - anche nel 2014 ha continuato a dimostrare una "costante vitalità" nelle varie parti del territorio siciliano nelle quali è presente, a cominciare dal Distretto di Palermo. Il procuratore Roberti considera una "priorità assoluta" l'arresto del latitante Matteo Messina Denaro; nella Relazione la Dna chiede poi sanzioni più rigorose contro i mafiosi che tornano a delinquere. La 'ndrangheta è descritta invece come un'organizzazione unitaria, ramificata a livello internazionale ma con la testa pensante nella provincia di Reggio Calabria, che grazie al suo potere economico ha la capacità di essere interlocutore per la politica. Nel porto di Gioia Tauro "gli 'ndranghetisti riescono a godere di ampi, continui, inesauribili, appoggi interni: il Porto è divenuto la vera porta d'ingresso della cocaina in Italia", scrivono gli investigatori. Ma se allarmante è il persistere della situazione criminale al sud, ancora più inquietante è il quadro al nord. L'indagine Aemilia della Dda di Bologna "ha consentito di accertare la esistenza di un potere criminale di matrice 'ndranghetista, la cui espansione si è appurato andare al di là di ogni pessimistica previsione, con coinvolgimenti di apparati politici, economici ed istituzionali". Così, una regione un tempo orgogliosamente indicata come modello di sana amministrazione e invidiata per l'elevato livello medio di vita dei suoi abitanti, oggi "può ben definirsi 'Terra di mafia' nel senso pieno della espressione", afferma la Direzione nazionale Antimafia. A Milano predominano organizzazioni criminali di origine calabrese a discapito di altre compagini associative, come quella di origine siciliana. Nel Veneto, i rischi di infiltrazione della criminalità organizzata, italiana e straniera, nel tessuto produttivo veneto risultano essere molto alti, "attesa l'elevata appetibilità economica della regione, a fronte di una ancora insufficiente presa di coscienza da parte delle strutture amministrative e sociali, a cui spetterebbe l'adozione di più consapevoli strumenti di contrasto preventivo". E a questo fosco quadro non si sottrae il centro Italia. "Le indagini e i processi, assai numerosi, trattati negli ultimi anni dalla Dda dimostrano che" la tratta degli esseri umani, "forma moderna di schiavitù, è abbastanza diffusa nel territorio toscano". E a Roma l'inchiesta su Mafia Capitale ha messo in evidenza, relativamente a ciò che ha riguardato la passata amministrazione, uno spaccato delle istituzioni romane "davvero sconfortante e preoccupante". Secondo i magistrati della Dna, l'organizzazione capeggiata dal presunto boss di Mafia Roma, Massimo Carminati, "oltre alle condotte tipicamente criminali dell'usura e delle estorsioni, ha realizzato una sistematica infiltrazione del tessuto imprenditoriale attraverso l'elargizione di favori e delle istituzioni locali attraverso un diffuso sistema corruttivo".
Parla Rosy Bindi
La corruzione, che in Italia "è un fenomeno di sistema", "assolutamente dilagante perché mai efficacemente contrastata e combattuta ma anzi per troppo tempo tollerata e giustificata" e sul cui fronte vi è stato un "deciso arretramento quando sono state assicurate ampie prospettive di impunità per il falso in bilancio"; la tratta dei clandestini, "che può alimentare il terrorismo internazionale"; i silenzi della Chiesa fino a Papa Francesco. Sono i tre punti forti contenuti nelle parole del procuratore nazionale Antimafia, Franco Roberti, che oggi al Senato - con la presidente della Commissione parlamentare Antimafia Rosy Bindi - ha presentato la Relazione 2014 della Dna. L'attacco frontale è alla corruzione, "tacitamente accettata, non considerata un reato grave. Per questo la mafia se ne è servita". L'allarme, nelle parole del procuratore - che ha chiesto anche di poter disporre dei servizi centralizzati di polizia giudiziaria per i suoi poteri sull'antiterrorismo - è poi ai "fenomeni migratori, che possono costituire un serbatoio per il terrorismo internazionale" e su cui si stanno elaborando nuove direttive. C'è stato poi un attacco frontale ai silenzi passati della Chiesa: "E' stato ammazzato don Diana, poi don Puglisi: le reazioni sono state pari a zero. Siamo dovuti arrivare al 2009 per iniziare a parlarne timidamente. Ora finalmente si è mosso qualcosa e Papa Francesco ha scomunicato i mafiosi ma per decenni la Chiesa avrebbe potuto fare, parlare, ma non ha fatto nulla". Il presidente della Commissione Antimafia, Rosy Bindi, ha sottolineato proprio il cambio di passo impresso da Papa Francesco, "il Papa - ha detto - ha reso ragione a chi ha resistito al potere mafioso". E sulla corruzione ha sostenuto che "lottarla significa anche lottare la mafia. Noi paghiamo il prezzo di un sistema che si è rilassato, basta pensare alla prescrizione". Ma - ha fatto notare Bindi - la sensibilità su questi temi "va aumentando. Le iniziative del Governo non sono perfette, bisognerebbe essere meno incerti sui reati finanziari, per esempio, ma il tempo è favorevole" per intervenire su una serie di aspetti. La relazione 2014 della Dna esamina tutte le forme della criminalità: da Cosa Nostra che continua ad essere vitale nonostante sia stata decapitata in Sicilia, alla 'ndrangheta calabrese, più forte a Milano della criminalità siciliana, a Gioia Tauro, porta d'ingresso della droga in Italia. E non tralascia nemmeno il cosiddetto "Protocollo fantasma", che riguarda notizie di reato a carico di ignoti, che avrebbero spiato alcuni magistrati, impegnati in delicate attività di indagine. "L'efficienza della giustizia è un bene per i cittadini non un privilegio di qualcuno in particolare. E' giusto che il capo dello Stato, con la sua autorità, lo ricordi", ha detto il procuratore Roberti, riferendosi alle parole di Mattarella di oggi sulla giustizia. Alla politica il procuratore Antimafia chiede di modificare i termini della prescrizione, intervenire sul processo penale "oggi maledettamente lungo", prevedere attenuanti per chi collabora per i reati di corruzione e introdurre le figure degli agenti provocatori, riformare l'Agenzia per i beni sequestrati e confiscati. "Le parole del procuratore sull'Agenzia sono un ulteriore sprone ad andare avanti", osserva il Pd Davide Mattiello, relatore di tutti i testi di riforma del Codice antimafia sulle misure di prevenzione e dell'Agenzia. Ma i parlamentari Cinque Stelle, pur lodando la relazione di Roberti "di ampio respiro, precisa e dettagliata", lamentano che il procuratore Antimafia abbia "dimenticato la parola politica".
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