'Le paure vere che avverto nella mia vita, quelle non le racconto, che sono metafisiche, trascendentali, inspiegabili, legate alla mia anima'', confessa Dario Argento, ospite di CourmayeurNoir Festival, parlando della sua autobiografia intitolata ''Paura'' (Einaudi), ''titolo scelto dall'editore, che io avrei voluto trovarne un altro''. Così la sua dichiarazione di assoluta sincerità, viene subito un po' messa in crisi, anche se ribadisce di aver raccontato i suoi amori, odi, vendette, lo star male e le gioie, ''senza nascondere nulla, per correggere le cose approssimative e spesso sbagliate scritte da altri sul mio conto''. Un'autobiografia che parte da quando era bambino, con la mamma, Elda Luxardo, grande fotografa delle dive del tempo, e il padre, che si occupa di cinema, gli trasmette al passione e lo aiuterà a debuttare entrando nella produzione del suo primo film, ''L'uccello dalle piume di cristallo'', nel 1970, giusto 45 anni fa. Ma il suo più vivido ricordo cinematografico, quello che lega al proprio futuro destino, è la visone da ragazzino, una sera in montagna, del ''Fantasma dell'opera'', che ''rivisto da grande mi ha un po' deluso, ma non ha scalfito in me quell'indelebile prima impressione''. Un film che fa il paio, nella sua formazione, con la scoperta nella biblioteca di casa dei racconti di Edgar Allan Poe e la rivelazione di ciò che di misterioso, e pauroso, si cela dietro la realtà, infine della ''Interpretazione ei sogni'' di Freud, che considera un maestro assoluto, anche lui per quel che impara a farci capire della parte nascosta di noi stessi. Quanto alla paura, aggiunge:''amando la solitudine e i posti isolati, potrei avere ben altre e più concrete paure, che invece non ho mai conosciuto. Se qualcosa mi inquieta sono le presenze impalpabili, le ossessioni per i luoghi, scale, palazzi che tornano nei miei film in modo angoscioso assieme a tanti corridoi, a ricordo del timore che avevo da piccolo a attraversare al buio quello lungo di casa, per andare a letto''. E così parla di un'altro suo maestro, Michelangelo Antonioni, ''capace di rendere, raccontando un'architettura, una sensazione ansiosa di spaesamento, che anche io ho cercato di sfruttare''. E si pensi alle piazze metafisiche torinesi di ''Profondo rosso'', alle scale ritorte dei palazzi liberty, alle finestre scolpite, di questo film rivoluzionario anche per l'uso che vi fu fatto della musica, protagonista totale, e non più sottofondo, appositamente composta dai Goblin, ''ogni sera, assieme, pensando al girato e quel che avremmo girato la mattina dopo''. Poi il regista ricorda i personaggi incontrati, da Hitchcock, visto mangiare in silenzio a una grande tavolata di gente vociante, alle attrici di un tempo cercate per i suoi film, Clara Calamai, Alida Valli, Olga Villi e, ''scoperta a New York ubriaca fradicia dalla mattina alla sera, la diva di Fritz Lang Joan Bennett''. E ancora George Romero, ''il mio fratellino con cui ho fatto tre film'' e Stephen King che voleva portasse sullo schermo uno dei suoi libri, prima ''Le vergini di Salem'', poi ''L'ombra dello scorpione'', ''ma nonostante la sua fiducia, io non ci sono riuscito''. Dice che il suo lavoro, i suoi film onirici e profondamente inquietanti, si basano su due cose innanzitutto, ''gli inganni della percezione visiva e poi quelli della memoria, che ci tradisce, ricostruisce e modifica i ricordi secondo la nostra personalità e inconscio''. Quindi aggiunge, e chissà se parla anche dei suoi ricordi e della sua autobiografia, ''il testimone oculare e la persona meno attendibile''. Infine annuncia il suo prossimo film, ''Sandman'', tratto dal fumetto Usa l'Uomo di sabbia, che girerà quest'estate e avrà tra i protagonisti il cantante Iggy Pop ''che ha una gran bella personalità''.
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