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ALICE SUPERIORE. L’affondamento del Nereide

ALICE SUPERIORE. L’affondamento del Nereide

Nel gruppo “Giulio Allevi” dell’Associazione nazionale marinai d’Italia di Ivrea, fondato nel 1948, viene ricordato, tra i numerosi caduti nella guerra sul mare del secolo scorso, un solo caduto della Guerra del 1915-1918 e cioè Giacomo Cravetto, classe 1895, nativo di Alice Superiore, centro montano della Val Chiusella (Torino), torpediniere elettricista, medaglia di bronzo al valor militare “alla memoria” scomparso a bordo del regio sommergibile “Nereide”. Fotografia e medaglia sono conservate gelosamente dal nipote in Valchiusella ancora oggi, Remo Cravetto. Perì tutto l’equipaggio composto da 20 persone.

Il sommergibile venne centrato in pieno dal secondo siluro lanciato dal sommergibile austroungarico U5 e affondò ad una quota di -28 metri,  a 250 metri dalla costa dell’isola di Pelagosa nel Mare Adriatico.

Oggi l’isola – un tempo italiana, poi austro-ungarica, quindi jugoslava e oggi croata – si chiama Palagruža e dista 24 miglia dall’Italia e 75 miglia dalla Croazia. Questo piccolissimo arcipelago, totalmente estraneo al turismo di massa anche per via della difficoltà di approdo a causa delle scogliere a picco. Proprio in queste acque avvenne il breve e feroce combattimento che determinò la morte dell’intero equipaggio, comandato dal capitano di corvetta, il quarantaduenne Carlo Del Greco, di Firenze del regio sommergibile “Nereide”. L’11 luglio 1915 era stato occupato l’isolotto di Pelagosa per diverse ragioni militari, compresa quella di costruirvi una piccola base di appoggio e rifornimento per i sommergibili e le siluranti che operavano nella zona inferiore dell’arcipelago dalmata. Per scongiurare il rischio di un bombardamento dell’isola da parte di navi austro-ungariche, si era disposto che un sommergibile stazionasse  nella zona; infatti ciò si verificò il 23 luglio, quando dopo i primi tiri d’artiglieria, le navi nemiche fecero dietrofront perché era apparso all’improvviso un sommergibile italiano.

Il rischio che il sommergibile italiano fosse a sua volta intercettato da un equivalente nemico era noto e previsto dal comando: già il comandante di fregata, il capo flottiglia Ernesto Giovannini (nativo di Piacenza, morì pochi giorno dopo, il 17 agosto 1915 a 43 anni affondando con il suo sommergibile “Jalea”), dal comando di Brindisi, sottolineava nelle consegne ai signori ufficiali che il pericolo più grave che il sommergibile può correre è un attacco di sorpresa da parte di un sommergibile avversario immerso. Deve pertanto  richiedere alla stazione di vedetta un’accurata vigilanza, specialmente sotto tale rapporto perché essa è in condizioni favorevoli per farlo, sia per l’elevazione sul mare (90 metri, n.d.a.) e sia per la chiarezza delle acque circostanti. È buona precauzione altresì non rimanere durante il giorno troppo a lungo alla superficie e nello stesso posto.

La consegna venne aggiornata per le rotte da tenere al ritorno (da Bari a Barletta) il 30 luglio, avendo rinunciato all’agguato da portare ai Canali di Zuri, ma venne tenuto invariato il rischio. Il servizio a Pelagosa durava al massimo 36 ore e 54 nei casi eccezionali. I comandanti dei sommergibili potevano fare escursioni verso Le Curzolane e le Tremiti ma dopo l’attacco in forze del nemico all’isola, vennero vietate. Generalmente i sommergibili giungevano all’alba, restavano immersi fino alle 6 o alle 7 di mattina e il secondo giorno si immergevano intorno alle 3 o alle 3,30. Era stato improvvisato sotto l’isola, a Zadlo, una boa d’ormeggio che facilitava l’immersione in caso di emergenza senza ricorrere al salpo delle proprie ancore, mollando semplicemente una cima. Quel giorno, il 5 agosto, all’alba tra le 4:30 e le 5.00, giunse il “Nereide”.

Non portava nessuna comunicazione ufficiale destinata al presidio dell’isola, né ordinaria, né urgente e si era andato subito ad ormeggiare troppo velocemente e imprudentemente a Zadlo, sotto gli occhi allibiti del sottotenente di vascello Giancarlo Vallauri che dall’isola osservava sorpreso la scena a quell’ora, in piena visibilità e con il servizio di vedetta ridotto.

Non è da escludere che la manovra infelice sia stata determinata da un’avaria determinatasi nella traversata caratterizzata dal “mare agitatissimo”. Appena pochi minuti dopo l’ormeggio venne mollato e il comandante diede l’ordine di immersione rapida sul posto. Lo scafo stava scomparendo tra i flutti e così anche la torretta non si vedeva più in superficie, quando un boato precedette il repentino innalzamento di una enorme colonna d’acqua sopra il “Nereide” che scomparve del tutto.

Il comandante Del Greco appena effettuata la manovra d’ormeggio aveva scorto il sommergibile nemico in agguato, sospeso l’ormeggio, ordinato l’immersione e l’armo dei siluri. Il primo rapporto venne compilato dal sottotenente di vascello Alberto Da Zara, comandante il reparto a presidio dell’isola: egli descriveva l’arrivo del sommergibile avvenuto senza che vi fossero scambiati segnali di riconoscimento né alcun altro segnale e poiché il sommergibile si dirigeva all’ormeggio il nostromo del presidio con un battellino andò incontro ad esso e per ordine di Del Greco, lo aiutò ad ormeggiarsi. Poco dopo lo si vide mollare però l’ormeggio e manovrare per allontanarsi iniziando l’immersione. Il mare era agitato con forte vento di maestro e, fra le creste delle onde, non si vedeva dall’alto il periscopio del sommergibile nemico che doveva invece già essere stato avvistato dal “Nereide”.

Poco dopo si è vista la scia di un siluro proveniente da libeccio e diretto per passare di prua al “Nereide”, poi una scia di siluro diretto dal “Nereide” verso il largo la quale ultima non si può affermare se dovuta ad un siluro lanciato dal “Nereide” ovvero ad uno scarto del precedente siluro nemico. Subito dopo si è vista la scia di un secondo siluro diretto contro il Nereide il quale aveva messo in moto con prora a libeccio ed era immerso, tranne la parte più alta della torretta. Questo siluro ha colpito il nostro sommergibile in pieno sollevando un’alta colonna di acqua nera e spumosa. Erano le 5,30. Subito dopo si è visto il periscopio del sommergibile nemico che da sud si avvicinava verso l’isola e lo si è lasciato avvicinare finché giunto a circa 500 metri dagli scogli, ha invertito la rotta per sud. In questo istante gli è stato sparato un colpo di cannone da 76 mm. Che è andato leggermente lungo. Allora il sommergibile nemico si è immerso. Intanto sul luogo giungevano i soccorsi: Immediatamente dopo l’esplosione un battello del presidio si è recato sul luogo dell’affondamento che è a circa 250 metri dalla spiaggia di Zadlo per sud-sud-est. Quivi galleggiava la boa telefonica e non si vedevano tracce d’olio. Recatosi sulla boa un ufficiale con un apparecchio telefonico (…) si è provato a chiamare. Durante la chiamata il campanello suonava ma non si è avuta nessuna risposta, malgrado si sia chiamato ripetutamente ed a lungo, sia con i campanelli sia con la voce. Sul luogo ove trovavasi la boa, sebbene ridossata dal maestrale, il mare è abbastanza mosso e non si può vedere il fondo. Solo nel pomeriggio è cominciata a venire a galla della nafta. Si è tentato di ripetere la chiamata telefonica, ma il mare ancora più mosso e la forte corrente hanno impedito la manovra.

Il 10 agosto con il mare calmo venne calato un palombaro allo scopo di procedere all’ispezione dello scafo del “Nereide”: la poppa era completamente staccata e girata, tutti i siluri erano nei tubi, quindi il sommergibile non era riuscito a lanciare. Gli accumulatori di poppa erano disseminati intorno, il locale dei motori elettrici (colpito in pieno a dritta dal siluro) era completamente distrutto. La morte dell’equipaggio doveva essere stata rapida perché i compartimenti centrali erano in comunicazione. Il rimanente dello scafo poggiava sul fianco sinistro.

Dopo la guerra, la regia Marina acquisì le carte delle basi navali austroungariche tra cui la relazione dell’imperial-regio tenente di vascello Georg Von Trapp : il 5 agosto alle ore 4,20 antimeridiane diressi per 60° di bussola in immersione entrando nella baia sud di Pelagosa Grande (…) Avvicinandomi alla costa osservai un albero radiotelegrafico in legno tra san Michele e il fanale (…) quando vidi improvvisamente, proprio sotto la costa, una bandiera da guerra italiana; potei allora distinguere un sommergibile che sembrava ormeggiato sugli scogli, ed emergeva appena da essi. Nello stesso tempo osservai che dei marinai accorrevano ad esso per armarlo. (…) L’U5 si trovava sulla accostata verso dritta e misi perciò tutta barra a dritta ed a tutta forza descrissi, a 14 metri di profondità, un cerchio per venire nella rotta di lancio. Alle 5,16 emersi con il periscopio, vidi il sommergibile nemico circa 20° a sinistra venirmi incontro con un angolo acuto ed accostare a dritta verso l’U5. Il battello si stava immergendo e non si vedeva più che un paio di persone sulla torretta e il timone superiore di direzione fuori acqua. Cambiai  barra e alle 5,18 lanciai a distanza di 200 metri un siluro, supponendo di 4 miglia la velocità del nemico.. Vidi il siluro passare di prora, perciò lanciai un secondo siluro direttamente contro il battello (…). Questo siluro colpì; la esplosione che osservai fu fortemente sentita nel battello. Dopo che una colonna d’acqua ricadde non fu più possibile vedere il sommergibile; al suo posto vi era sulla superficie una zona circolare liscia (…). Alle 5,42 andai via alla profondità di 14 metri con rotta S. E. Fu avvertita distintamente l’esplosione di un proietto.

Il sommergibile “Nereide” era stato impostato presso il regio Arsenale di Venezia nell’agosto 1911, varato il 12 luglio 1913 e entrato in servizio il 20 dicembre del medesimo anno con un equipaggio di 19 uomini composto da 2 ufficiali e 17 tra sottufficiali e truppa. Era lungo 40,96 metri con una profondità operativa di 40 metri. Era spinto con due eliche, in emersione da 2 motori diesel della fabbrica svizzera “Sulzer” da 600 cavalli mentre per la navigazione in immersione disponeva di 2 motori elettrici Ansaldo da 320 cavalli. Viaggiava a 8 nodi sott’acqua e  superava i 13 in superficie. Aveva un autonomia di 1000 miglia nautiche a 10 nodi in emersione e 64 in immersione. Era armato con 3 tubi lanciasiluri da 450 mm. a prua, immersi, un tubo lanciasiluri in coperta, brandeggiabile da 450 mm. Ma la tomba del canavesano Giacomo Cravetto e dei suoi commilitoni non doveva conoscere ancora la pace: nel 1972 la Marina jugoslavia, su pressioni del governo italiano, con 24 subacquei jugoslavi e una troupe subacquea della RAI, raggiunse il relitto e con una laboriosa operazione i due tronconi, dapprima separati completamente con la fiamma ossidrica, vennero portati in superficie con dei galleggianti. Il relitto fu ispezionato e furono recuperati 10 scheletri, alcuni dei quali ancora in branda e vestiti con l’uniforme. Gli altri corpi erano rimasti distrutti dall’esplosione e altri ancora fuoriusciti dallo squarcio. I resti, con molti oggetti personali, furono recuperati e portati al Sacrario Militare di Brindisi con gli onori militari. Nel frattempo il relitto venne portato in località sconosciuta, fatto saltare con i suoi siluri ancora funzionanti e inabissato definitivamente. Ma se il sommergibile portava 19 uomini d’equipaggio, perché morirono in 20? Perché a bordo c’era anche un civile,  l’operaio congegnatore meccanico Guido Benzone classe 1888 di Venezia. Georg Von Trapp, eroe di guerra austro-ungarico nel mar Adriatico con il record di 9 scontri navali, 11 navi mercantili affondate per 45.669 tonnellate, silurò e affondò 2 navi da guerra, l’incrociatore corazzato francese Léon Gambetta (12,600 tonnellate) e il sottomarino italiano Nereide (225 tonnellate).

A Vienna ricevette la Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare di Maria Teresa.  Paradossalmente alla fine della guerra si trovò d’ufficio con la cittadinanza italiana essendo nato a Zara. Rifiutato l’invito di Adolf Hitler a diventare una figura di vertice negli U-Boat della rinata Kriegsmarine  nazista, emigrò negli Stati Uniti e si trovò con la famiglia di dieci figli in ristrettezze economiche. Si inventò il ruolo di capofamiglia del coro famigliare (costituito con l’impulso della seconda moglie) e affrontarono diverse tournèe di successo in giro per gli U.S.A., la cui storia venne narrata prima dal cimema austriaco con Die Trapp-Familie del regista Wolfgang Liebeneiner nel 1956, poi negli U.S.A. con il musical intitolato The sound of music (1959) di Rodgers e Hammerstein che fu poi trasposto nella versione cinematografica del regista Robert Wise a Hollywood, con Julie Andrews e Christopher Plummer nella parte di Georg Von Trapp. La versione italiana ebbe il titolo di: ”Tutti insieme appassionatamente”. La pellicola vinse 5 premi Oscar nel 1966. Del povero Giacomo Cravetto restano le immagini lugubri del documentario Rai.

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