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18 Ottobre 2025 - 17:33
Vi è un luogo, nel cuore di Torino, dove la curiosità si mescola al disagio. In via dell'Arcivescovado 9 ha aperto il Serial Killer Museum, nuova tappa di un progetto già sperimentato a Firenze. Un luogo che non espone oggetti, ma ossessioni: un viaggio immersivo dentro le storie di chi ha oltrepassato il confine dell’umano.
La visita si apre con un omaggio a Cesare Lombroso, padre della criminologia moderna, che proprio a Torino cercò di decifrare i segni del male nei tratti del volto. È il preludio scientifico a un percorso che non giudica, ma indaga.Da qui inizia la discesa.
Cesare Lombroso e le sue teorie sull’origine biologica del crimine. Le sue ricerche, condotte a Torino, aprono idealmente il percorso del Serial Killer Museum.
Nel buio delle sale, la voce dell'attore e doppiatore italiano Giancarlo De Angeli - profonda, misurata, familiare - accompagna i visitatori in una sequenza di racconti che si muovono tra realtà e allucinazione. Le luci si affievoliscono, il suono si fa distante, e le figure emergono dalle ombre come presenze in attesa.
Dietro ogni vetrina si manifesta un frammento di orrore: Ed Gein, il Macellaio di Plainfield, che ispirò Psycho e Il silenzio degli innocenti; Charles Manson, profeta della follia collettiva, con la svastica incisa sulla fronte come manifesto del suo culto; John Wayne Gacy, il Killer Clown che intratteneva i bambini prima di seppellirli sotto casa; Jeffrey Dahmer, il Mostro di Milwaukee, osservato nel riflesso metallico della sua ossessione. Accanto a loro, Albert Fish, il Vampiro di Brooklyn, e Richard Ramirez, il Night Stalker, che trasformò la notte di Los Angeles in un territorio di caccia.
L’orrore non ha nazionalità: la storia europea trova spazio nella figura della contessa Erzsébet Báthory, la Dama del sangue ungherese, e in quella di Leonarda Cianciulli, la Saponificatrice di Correggio, che trasformava le sue vittime in ingredienti di riti domestici. Poi arriva Aileen Wuornos, l’Assassina dell’autostrada americana, volto inquieto di una disperazione femminile senza redenzione, e il colombiano Luis Alfredo Garavito, La Bestia, il cui nome basta a suggerire l’abisso.
Ogni sala alterna realtà e messa in scena, con figure in cera, installazioni e audio che ricostruiscono voci e ambienti. La visita dura circa 45 minuti e si sviluppa come un podcast vivente, disponibile in italiano, inglese e spagnolo. Non c’è spettacolo, ma immersione; non c’è morbosità, ma analisi.
E poi c’è Torino, che osserva, misura, tenta di capire. Città di razionalità e mistero, di scienza e superstizione, che da sempre vive in bilico tra la luce dei suoi portici e l’ombra delle sue leggende.
Qui la paura è composta, incastonata in teche, raccontata con voce ferma. È un’esperienza che non spettacolarizza, ma interroga. Chi esce da quelle sale non porta via solo immagini, ma domande sul confine tra mostruosità e umanità, sulla sottile linea che separa l’osservatore dal soggetto osservato e su quanto, ancora oggi, il male continui a somigliare terribilmente all’uomo.
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