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30 Luglio 2025 - 15:01
Ivrea non dimentica. E ogni 29 luglio, da 81 anni, si ritrova nella piazza che porta il nome di Ferruccio Nazionale, giovane operaio e partigiano della 76ª Brigata Garibaldi, impiccato dai fascisti nel 1944, per ribadire che la memoria è resistenza, che il sacrificio non è mai vano, e che la libertà, quella vera, va onorata ogni giorno.
Martedì 29 luglio 2025, come sempre, un nutrito gruppo di cittadini antifascisti ha partecipato alla cerimonia promossa dall’Anpi di Ivrea, alla presenza del sindaco Matteo Chiantore, del presidente del consiglio Luca Spitale, del presidente provinciale dell’Anpi di Biella Gianni Chiorino, di numerose delegazioni territoriali tra cui quelle dell’Alto Canavese e di Biella, del MIR con Pierangelo Monti, e della narratrice Laura Chiono.
Accanto a tutti, le parole di chi non smette di testimoniare. In prima fila, come sempre, il presidente dell’Anpi di Ivrea Mario Beiletti, che ha aperto la commemorazione con un pensiero commosso a Luciano Guala, storico compagno recentemente scomparso, che tante volte su quella piazza aveva raccontato la storia di Ferruccio.
Lo ha fatto ancora una volta, idealmente, attraverso le sue parole: “Aveva tentato con le armi di colpire la Decima”, recitava il cartello appeso al collo del cadavere, lasciato a penzolare per ore nel centro della città, sotto gli occhi della popolazione costretta ad assistere in silenzio, nella paura. Era il 29 luglio 1944.
Ferruccio Nazionale, classe 1922, nato a Biella da una famiglia operaia trasferitasi a Ivrea in cerca di lavoro, aveva scelto di combattere. Non con le parole, ma con le armi. Entrato nella 76ª Brigata Garibaldi, guidata da Oreste Ferrari (Tin) e Attilio Tempia (Bandiera I), era diventato una spina nel fianco dei fascisti e dei nazisti nelle valli del Canavese. Il suo nome di battaglia era “Carmela”. Quello che si muoveva tra le valli e le colline eporediesi era un esercito di giovani, figli del popolo, che avevano deciso di non accettare il giogo della dittatura, di non chinare la testa davanti all’occupazione tedesca e al collaborazionismo vile della Repubblica di Salò.
In quelle settimane l’obiettivo della Brigata era chiaro: eliminare don Augusto Bianco, cappellano militare della Decima MAS, figura chiave del regime nell’area. Il 29 luglio 1944, Ferruccio tentò di lanciargli una bomba. Ma fu bloccato prima di poterla innescare. Venne immediatamente arrestato, pestato a sangue, trascinato in caserma e sottoposto a torture disumane. I marò della compagnia “O”, la più brutale della Decima, gli cavarono gli occhi, gli tagliarono la lingua. Era praticamente già morto quando lo impiccarono, lasciandolo esposto come monito per chiunque osasse anche solo pensare alla Resistenza.
Ma non funzionò. Anzi. Ogni 29 luglio la città si ritrova lì, sotto quel totem ornato da una corona curata con cura e amore da Rita Munari, per dire che la violenza non ha mai vinto. Che Ferruccio vive, come vivono i suoi ideali. E che se oggi esiste una Costituzione repubblicana, democratica, fondata sul lavoro, è anche grazie a lui.
A lui, e a tutti i partigiani che hanno sacrificato la loro giovinezza per il bene comune.
Lo ha ricordato l’Anpi, con parole nette, coraggiose, che non si nascondono dietro la retorica: “Abbiamo un debito inestinguibile nei confronti di Ferruccio e degli altri Martiri partigiani. La Costituzione che ci hanno lasciato si fonda su cinque pilastri: Giustizia, Libertà, Solidarietà, Pace, Democrazia. E oggi, proprio oggi, questi valori sono sotto attacco”.
Non è mancato il riferimento all’attualità politica, e a quel revisionismo strisciante che, sotto mentite spoglie, tenta di infiltrarsi nella scuola, nella cultura, nella narrazione pubblica.
“Oggi al governo siedono gli eredi di Salò. Vogliono riscrivere la storia. Ma non possiamo permetterlo. E non lo permetteremo”.
Un passaggio importante è stato dedicato anche al presente, a quello che accade ora, lontano e vicino.
“La guerra in Ucraina, il genocidio a Gaza. Il mondo brucia e l’Europa spende 800 miliardi in armi, invece di investirli nel Welfare. Si rinuncia alla diplomazia, si sceglie la forza. E si tradisce lo spirito dell’articolo 11 della nostra Costituzione, che ripudia la guerra”.
Parole vere, nude, crude per ridare un senso a una memoria che, anno dopo anno, rischia di essere svilita, neutralizzata, dimenticata. Ma Ivrea non dimentica. E l’Anpi ha chiuso il suo intervento con un richiamo che è anche una promessa: “Ci attendono giorni di rinnovato impegno per combattere una destra che si incista in tutti i gangli del potere. Occorre unire le forze progressiste, superare differenze, risentimenti, per fronteggiare questo periodo nero. Noi siamo pronti, nel nome di Ferruccio. Viva la Resistenza”.
Poi, come ogni anno, la memoria si è trasformata in condivisione. Al Castello di Albiano, più di quaranta persone hanno partecipato alla pastasciutta antifascista, in omaggio ai fratelli Cervi. Non è un rituale, non è folclore: è un modo per dire che il pane, la pasta, la vita quotidiana sono beni conquistati. E che se oggi li abbiamo, è perché qualcuno – come Ferruccio – ha lottato perché potessimo mangiarli in pace, senza dover abbassare la testa.
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