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07 Febbraio 2025 - 18:42
Ottant’anni sono passati, eppure il gelo di quella notte non si è sciolto.
29 gennaio 1945: una baita, una fiamma, uomini che speravano di vedere ancora l’alba e che invece incontrarono il fuoco e il piombo. 2
9 gennaio 2025: le fiaccole brillano, i volti si illuminano di una luce che non è solo quella del fuoco, ma della memoria. Le voci si alzano nel buio, i canti si intrecciano con il silenzio del bosco, un sussurro collettivo che racconta il coraggio, il sacrificio, il dolore. Il vento freddo porta con sé le parole di chi ha vissuto, le urla di chi ha sofferto, il silenzio di chi non è più tornato.
"La neve copriva tutto, ma non poteva coprire la paura, né la speranza...". Il Comando della VII Divisione, 76° Brigata Garibaldi aveva trovato rifugio a Lace, ignaro che l’inferno sarebbe arrivato nel cuore della notte.
Prima la sentinella, il "chi va là", gli spari, il mitra che risponde. Poi le ombre tra gli alberi, il crepitio sinistro delle fiamme che avvolgono la baita. I passi pesanti nella neve, il gelo che entra nelle ossa. La resa. Il sogno di uno scambio di prigionieri, la speranza spezzata, il destino già scritto. L'odore della cenere, il calore delle fiamme che consumano la legna, le urla spezzate nel buio.
Francesca Brizzolara, con la sua voce vibrante, ha riportato tutto questo nel presente, rievocando i frammenti di quella notte. Le testimonianze si intrecciano ai canti, alle lacrime silenziose di chi ascolta.
La fiaccolata percorre il perimetro della baita, le fiamme ondeggiano nel vento freddo, evocando la tragedia di ottant’anni fa.
Mario Beiletti, presidente dell’ANPI di Ivrea, e Pierangelo Favario, presidente dell’ANPI biellese, non hanno usato mezzi termini: "Gli eredi di quel fascismo siedono oggi al governo. Sapremo noi riconoscere il momento di dire BASTA?"
Il fuoco delle fiaccole non è solo simbolico, è un richiamo. È un grido. È la testimonianza di una promessa rinnovata: non dimenticheremo mai.
I Caduti risuonano nel buio. Dante, Abbondanza, Riccio, Pirata, Franchestein, Martin, Battisti, Mak, Bandiera, Testarin, Ugo, Basso. Non sono solo nomi. Sono vite. Sono scelte. Sono esempi. Sono storia. Singificano libertà.
Il masso di Lace, quello portato dalla Valle d’Aosta per accogliere i loro nomi, è lì a ricordarlo. La baita è stata ridotta in cenere, ma la memoria ha preso radici, resistendo al tempo, alle intemperie, all’oblio.
Il freddo punge la pelle, ma il vin brulé scalda le mani e i cuori. La cena al ristorante Ca’ d’Jolanda è un momento di respiro, di parole scambiate a bassa voce, di sguardi che si riconoscono in un’unica certezza: non dimenticheremo.
Si brindano i valori della Resistenza, si raccontano le storie tramandate dai padri e dai nonni, si stringono le mani in un’intesa silenziosa. Nessuno dimentica. Nessuno vuole dimenticare.
E poi, la proiezione del docufilm "Per disgraziate circostanze, Lace 29-30 gennaio 1945".
Volti, voci, storie che si riaffacciano dal passato per chiedere di essere ascoltate ancora, per ricordare che la libertà non è stata un dono, ma un sacrificio. La sala è silenziosa, gli occhi lucidi, le mani strette nei pugni. Quando il film finisce, nessuno parla subito. Il peso della storia è ancora nell’aria. Qualcuno si alza, lentamente, si guarda attorno, cerca negli sguardi altrui la stessa emozione che sente nel petto.
Non si tratta di retorica. Non è un rito vuoto. Ogni anno, a Lace, si rinnova un impegno. La memoria è un dovere. La libertà, una responsabilità. Quando l’ultima fiaccola si spegne, quando l’ultimo canto si dissolve nell’aria, resta solo il silenzio della montagna. Un silenzio che parla, che racconta, che non dimentica. Lace non dimentica. E nemmeno noi.
I CADUTI DI LACE
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