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Il fotografo di Ivrea che racconta la vita "senza parole"

In Sala Santa Marta, un incontro tra fotografia, umanità e denuncia sociale con Giorgio Terruzzi

Maurizio Gjivovich porta a Ivrea il suo “Viaggio imperfetto”

Maurizio Gjivovich porta a Ivrea il suo “Viaggio imperfetto”

Dettagli evento

Sarà Ivrea ad accogliere sabato 25 ottobre 2025, alle ore 17, nella suggestiva Sala Santa Marta, la presentazione del libro fotografico “Un viaggio imperfetto” di Maurizio Gjivovich. L’evento, promosso dall’associazione Nuovi Equilibri Sociali, vedrà la partecipazione del giornalista e scrittore Giorgio Terruzzi, che dialogherà con il fotografo in un incontro dove arte e impegno civile si fondono in un’unica, intensa narrazione.

“Quando abbiamo visto gli scatti di Maurizio, rappresentati in questo progetto, abbiamo subito sentito la necessità di presentarlo al pubblico”, raccontano gli organizzatori. “Il lavoro di Gjivovich è conosciuto da molti — a Ivrea forse da tutti — ma abbiamo sentito il forte bisogno di dare alle sue immagini una voce, di ascoltarle raccontare e di poter sfogliare dal vivo le pagine di questo libro”.

Dentro Un viaggio imperfetto c’è l’essere umano, con le sue fatiche, il dolore, la dignità. Ci sono i volti, gli sguardi, i gesti che raccontano la sopravvivenza e la speranza nei luoghi di confine, nei campi profughi, nei margini del mondo. “Abbiamo trovato nelle sue fotografie le stesse ingiustizie contro cui lottiamo ogni giorno, ma anche la fierezza negli occhi delle donne, degli uomini e dei bambini che vivono dietro l’obiettivo”, proseguono. “Quelle immagini ci sono sembrate così vicine alla nostra realtà vissuta che non potevamo far altro che partecipare alla loro divulgazione.”

Per l’associazione Nuovi Equilibri Sociali, che da anni si impegna nel promuovere cultura, solidarietà e partecipazione tra Ivrea e Biella, l’arte non è solo espressione estetica, ma parte di un percorso di cambiamento. “Crediamo che Maurizio, con il suo lavoro, faccia parte del sentiero che abbiamo intrapreso”, spiegano ancora. “L’arte può essere un modo per guardare il mondo, ma anche per cambiarlo.”

Il dialogo tra Gjivovich e Terruzzi promette di essere intenso, intimo e profondo. Da una parte un fotografo capace di raccontare il dolore e la bellezza del mondo con uno sguardo umano, mai compiacente; dall’altra, un giornalista abituato a scavare tra le pieghe delle storie, capace di restituire con le parole ciò che l’immagine suggerisce e trattiene.

Il libro “Un viaggio imperfetto” sarà disponibile per l’acquisto direttamente in sala, in un pomeriggio che si annuncia non solo come una presentazione, ma come un’esperienza condivisa di riflessione e consapevolezza.

La grafica dell’evento è curata da Andrea Lancellotti, mentre l’organizzazione porta la firma del gruppo Nuovi Equilibri Sociali Ivrea–Biella, che rinnova così il proprio impegno nel portare in città momenti di cultura capaci di scuotere coscienze e costruire ponti tra le persone.

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Il fotografo eporediese che attraversa il mondo con la macchina fotografica come bussola morale

C’è chi fotografa per fermare un momento, e chi fotografa per restituire un senso. Maurizio Gjivovich, nato a Ivrea il 22 maggio 1975, appartiene a questa seconda, rarissima categoria. Nei suoi scatti non c’è mai compiacimento, ma una ricerca continua di umanità. La sua è una fotografia che nasce dal rispetto, dalla vicinanza, dalla consapevolezza che ogni volto racchiude una storia che merita di essere raccontata.

Dopo aver mosso i primi passi negli studi torinesi come assistente di fotografia, Gjivovich sceglie di seguire la propria inquietudine e di trasformarla in linguaggio. Comincia così un viaggio che non ha mai smesso di compiere, con la macchina fotografica come strumento di conoscenza e testimonianza. Non gli interessa l’estetica perfetta, ma ciò che rimane quando la luce cala e resta soltanto la verità.

Negli anni ha attraversato la Bosnia, il Kosovo, la Palestina, lo Sri Lanka, e più di recente le frontiere d’Europa e i campi che ospitano i profughi della guerra in Ucraina. Ovunque sia andato, ha scelto di guardare il mondo dal basso, dallo stesso punto di vista di chi soffre. Perché il dolore, nelle sue fotografie, non è mai spettacolo ma racconto. È l’incontro con l’altro, con la sua fragilità e la sua forza.

Le sue immagini sono apparse su La Repubblica, L’Espresso, su piattaforme internazionali come LensCulture e Getty Images, e hanno fatto il giro di mostre e festival fotografici in Italia e all’estero. Nel 2008 ha ricevuto il Premio TAU Visual, riconoscimento assegnato ai migliori autori della fotografia italiana, ma il suo percorso non è mai stato una corsa ai premi: è un cammino, costante e coerente, alla ricerca del senso più profondo dell’esistenza.

Il suo stile è inconfondibile. Ama il bianco e nero, che usa non per nostalgia ma per essenzialità: elimina il superfluo, scava nell’emozione, lascia emergere la luce interiore. In ogni suo lavoro, il soggetto è sempre l’essere umano — con la sua dignità, le sue contraddizioni, la sua forza silenziosa. Nei suoi scatti si percepisce la fiducia reciproca tra chi fotografa e chi si lascia fotografare: uno sguardo che non ruba, ma accoglie.

A Ivrea, dove vive e lavora, Gjivovich gestisce anche il suo studio fotografico in via Torino 389, punto d’incontro per chi cerca un approccio autentico e narrativo alla fotografia. È membro della WPA – Wedding Photojournalist Association, e anche nei lavori più intimi e quotidiani — ritratti, matrimoni, eventi — mantiene la stessa tensione narrativa che caratterizza i suoi reportage: raccontare la vita così com’è, senza scenografie né pose.

In tutti i suoi progetti emerge una poetica coerente e profonda: l’essere umano come centro del mondo, come misura di tutto. Gjivovich non costruisce immagini, le ascolta. Le sue fotografie non cercano l’effetto, ma la verità. Spesso restano in silenzio, come chi ha visto troppo e sa che non servono parole.

Con i suoi lavori più recenti, Gjivovich continua a indagare il tema della fragilità umana e della speranza, della resistenza e della rinascita. Nei suoi reportage si alternano il dolore e la bellezza, la miseria e la fierezza, la paura e la luce. È in questo equilibrio imperfetto che si riconosce la sua firma: uno sguardo che non giudica, ma comprende.

Maurizio Gjivovich è oggi uno dei testimoni più autentici di un modo di fare fotografia che non separa mai l’arte dalla coscienza. Ogni suo scatto è un piccolo atto politico, un frammento di verità consegnato alla memoria collettiva. E ogni volta che preme il pulsante dell’otturatore, lo fa per ricordarci che, anche nei luoghi più bui, l’umanità non smette mai di farsi luce.

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