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Gino Pistoni, il Beato partigiano: 81 anni dopo il suo sacrificio, la memoria resiste tra le valli di Gressoney

Il 25 luglio la Santa Messa a Tour d’Hereraz con il Vescovo di Ivrea Daniele Salera, il ricordo al cippo e il pranzo comunitario a Gressoney. Il giorno seguente a Issime l'omaggio ai caduti della Battaglia del Lys con ANPI Mont Rose e ANPI Ivrea

Gino Pistoni, il Beato partigiano: 81 anni dopo il suo sacrificio, la memoria resiste tra le valli di Gressoney

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«Offro la mia vita per l’Azione Cattolica e per l’Italia. Viva Cristo Re!»
Scrisse questo, Gino Pistoni, con il suo stesso sangue. Lo scrisse mentre moriva dissanguato in un prato della Valle di Gressoney, colpito da una scheggia di mortaio mentre soccorreva un soldato ferito, disarmato, in mezzo al fuoco incrociato di una guerra fratricida. Aveva vent’anni. Non portava armi. Portava con sé solo una fede incrollabile e la scelta, radicale e definitiva, di rimanere uomo fino in fondo.

Era il 25 luglio del 1944. Da allora, ogni anno, chi ha avuto il privilegio di conoscerlo – o di incontrarlo attraverso il racconto, la preghiera, lo studio – si ritrova là, tra le montagne dove cadde, per ricordare. E quest’anno saranno ottantuno.

Venerdì 25 luglio 2025, alle ore 10, nella chiesa di Tour d’Hereraz, si terrà una Santa Messa presieduta dal Vescovo di Ivrea, Monsignor Daniele Salera. Dopo la celebrazione, come da tradizione, ci si sposterà al cippo sul luogo della sua morte, nel punto esatto dove Gino si inginocchiò per soccorrere chi era stato appena ferito. Lo fece senza pensarci, come avrebbe fatto un fratello. Lo fece senza odio. Lo fece come un cristiano. E per questo fu colpito a morte.

Ma la sua morte, per tutti noi, è ancora una lezione di vita.

Gino Pistoni, nato a Ivrea nel 1924, era cresciuto tra le mura del Collegio San Giuseppe, in un ambiente permeato da spiritualità e impegno sociale. Aveva scelto di aderire all’Azione Cattolica, diventandone uno dei giovani più appassionati, tanto da essere ammirato per la sua dedizione e il suo carisma. Quando la guerra bussò alla porta anche di quei ragazzi cresciuti nei banchi delle scuole religiose, Gino fu arruolato nella Guardia Nazionale Repubblicana. Ma nel giugno del 1944 disertò. Scelse i monti, scelse la Resistenza. Scelse i partigiani, ma non le armi. Non sparò mai. Fu staffetta, portò messaggi, aiutò i feriti. Fu servo della pace in tempo di guerra.

E fu proprio questa scelta a renderlo diverso. A renderlo scomodo, anche. Ma indimenticabile.

“Ginass”, così lo chiamavano gli amici, diventerà con ogni probabilità un Beato. La Causa di Beatificazione, avviata nel 1995 dalla Diocesi di Ivrea, è tuttora in corso presso la Congregazione per le Cause dei Santi. Ma per chi lo conosce, per chi ne legge la testimonianza, Gino è già Santo. Non un santo da icona o da processione, ma un santo partigiano, vero, incarnato, moderno. Il santo che mancava. Il santo della Resistenza.

Al termine della cerimonia, chi vorrà potrà condividere un momento di convivialità presso la Casa Alpina Gino Pistoni di Gressoney Saint Jean, alle ore 12.30. Per partecipare al pranzo è necessario prenotare entro martedì 22 luglio, chiamando Mariarosa al 3471661911 o Rosa al 3479372858.

E il ricordo non si fermerà lì. Sabato 26 luglio, alle ore 11, a Issime, si svolgerà una commemorazione organizzata dall’ANPI Mont Rose e dall’ANPI di Ivrea, dedicata a tutti i partigiani caduti nella Battaglia del Lys. Anche quella fu una battaglia aspra, feroce, come tante di quel tempo. Ma fu anche una battaglia che portò libertà. Libertà a un’intera valle. Libertà che oggi sembra scontata, ma che allora si conquistava con la vita.

Gino Pistoni ci ricorda questo: che la libertà non è un diritto regalato. È un dovere scelto. È una responsabilità da incarnare. È un atto d’amore.

E oggi, in un tempo che fa fatica a distinguere tra eroi veri e idoli da copertina, tra martiri e vittime, tra fede e fanatismo, la figura di Gino torna a parlarci. E a chiedere che non dimentichiamo. Che non smettiamo di credere. Che non smettiamo di servire. Che non smettiamo di soccorrere, anche quando farlo ci costa tutto.

Gino non morì perché sparava. Morì perché amava.
E in quel sangue versato, che scrisse parole eterne su una tela militare, batte ancora il cuore giovane di un’Italia che resiste.

asdf

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