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27 Marzo 2025 - 16:25
foto Unicef
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Data di inizio 28.03.2025 - 00:00
Data di fine 28.03.2025 - 00:00
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Cadigia Perini, Mario Beiletti, Ivo Pescarin, Franco Giorgio, Pierangelo Monti e tanti, tanti altri....
Non si sono mai fermati. Non per il freddo, né per le ferie estive, né per la disillusione che spesso afferra chi prova a cambiare il mondo con la sola forza delle parole e della presenza civile. Da 161 settimane consecutive, ogni sabato pomeriggio, un gruppo di cittadine e cittadini di Ivrea si ritrova in piazza Ottinetti per chiedere "Pace". Tutto è cominciato nel febbraio del 2022, all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina. Da allora, settimana dopo settimana, quel presidio è diventato un appuntamento fisso, una voce ostinata che non si rassegna al rumore delle bombe.
Questa volta, però, l’appuntamento cambia giorno: non sabato, ma venerdì 28 marzo 2025 alle ore 18, sempre in piazza Ottinetti. Cambia il giorno, non lo spirito. Il messaggio è chiaro, scandito con fermezza: “Ora basta! Stop genocidio”.
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Il riferimento, esplicito e urgente, è alla situazione in Palestina, dove la guerra in corso tra Israele e Hamas ha superato i limiti dell’orrore e sta assumendo, secondo sempre più analisti e organizzazioni internazionali, le caratteristiche di una vera e propria pulizia etnica. Gaza è devastata: oltre 50.000 morti (tra cui più di 15.000 bambini), un milione di sfollati, ospedali distrutti, scuole bombardate, e l’accesso a cibo e acqua ridotto al minimo, quando non del tutto bloccato. Il 90% della popolazione è stata costretta a fuggire da case ormai sbriciolate sotto i colpi dell’artiglieria israeliana.
Le ultime settimane hanno aggravato ulteriormente una crisi già disumana: il 18 marzo, un attacco a sorpresa dell’esercito israeliano ha causato oltre 400 morti in un solo giorno, il bilancio più grave da inizio conflitto.
L’UNICEF parla di “condizioni di vita insostenibili” per milioni di bambini, privati di tutto, compresa la speranza. E nel silenzio assordante della comunità internazionale, cresce l’ombra di una tragedia senza ritorno.
Anche la Cisgiordania è sotto assedio. L’“Operazione Muro di Ferro” ha provocato decine di morti, demolizioni di abitazioni, incursioni notturne nei villaggi, e lo sfollamento forzato di oltre 44.000 persone. Secondo le Nazioni Unite, è il più grave dislocamento forzato dal 1967. Giornalisti e osservatori parlano apertamente di “gazaficazione” della Cisgiordania, ovvero l’applicazione delle stesse tattiche di assedio e violenza sistematica impiegate a Gaza.
È per questo che il presidio di Ivrea continua, e rilancia. Non è una manifestazione estemporanea, non è l’indignazione dell’ultima ora. È resistenza civile. È umanità. È l’ostinazione di chi crede che la pace non sia solo una parola scritta sui cartelloni, ma un dovere quotidiano.
Il volantino diffuso in questi giorni dai promotori — il Comitato Ivrea per la Palestina e il Presidio per la Pace di Ivrea — contiene simboli forti: la bandiera palestinese, una figura avvolta nei colori del dolore e della dignità. Il messaggio è un invito alla coscienza: “Troviamoci in piazza. Per la Palestina. Per l’umanità.”
Chi si troverà in piazza venerdì 28 marzo non risolverà certo la guerra, ma sceglierà da che parte stare. E non è poco. In un tempo in cui l’indifferenza è la norma, resistere con coerenza per 161 settimane è già una forma di rivoluzione.
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