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Il Canavese riscopre la sua anima: la bellezza si coltiva tra le vigne

Venerdì 23 maggio il Teatro Giacosa ospiterà un evento che mette radici nel paesaggio e guarda lontano: “Coltivare la bellezza. Modelli per lo sviluppo del territorio”

Ivrea, si coltiva la bellezza tra vigneti, cultura e futuro: al Giacosa un seminario per ripensare il territorio

Ivrea, si coltiva la bellezza tra vigneti, cultura e futuro: al Giacosa un seminario per ripensare il territorio

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C’è un momento in cui un territorio sente il bisogno di fermarsi, guardarsi allo specchio, e domandarsi chi è davvero. Non cosa produce, non quanto rende, ma chi è. E cosa vuole diventare. Questo momento, per il Canavese, ha una data: venerdì 23 maggio 2025, alle ore 10, al Teatro Giacosa di Ivrea. È lì che andrà in scena non una semplice conferenza, ma un vero e proprio atto d’amore per la terra: il seminario pubblico dal titolo “Coltivare la bellezza. Modelli per lo sviluppo del territorio”.

Non è un evento come tanti. È un intreccio di storie, visioni, identità. È il tentativo coraggioso di raccontare il paesaggio non più come uno sfondo da cartolina, ma come un organismo vivo, in evoluzione, fatto di mani che lavorano, di generazioni che si parlano attraverso i filari, di stagioni che si rincorrono tra le viti. È un palinsesto culturale, lo definiscono, ma prima ancora è una promessa: quella di restituire profondità, dignità, anima a un territorio che troppo spesso si è lasciato raccontare solo dai numeri e dai bandi.

L’iniziativa nasce dalla volontà congiunta dell’Enoteca Regionale dei Vini della Provincia di Torino, del Consiglio Grande della Credenza Vinicola di Caluso e del Canavese e del Consorzio “Arduino” per la tutela dei vini Docg e Doc. Ma dietro c’è molto di più: c’è un pensiero lungo, c’è la collaborazione del think tank Canavese2030, c’è il sostegno della Camera di Commercio, c’è l’anima di un territorio che cerca se stesso e vuole riscoprirsi. Perché il Canavese, come ha detto senza giri di parole Corrado Scapino, presidente dell’Enoteca, “è stato fin troppo al servizio dei soli Canavesani. È ora che si apra. Che diventi di tutti”.

Durante il seminario si parlerà di paesaggio come bene comune, di viticoltura come linguaggio identitario, di bellezza come valore da custodire, coltivare e condividere. Si andrà oltre la superficie. Oltre l’estetica. Perché la vera bellezza non è una fotografia ben scattata al tramonto. È una visione. È la capacità di generare appartenenza, armonia, memoria. È rispetto per le eredità materiali e immateriali. È cura. È futuro.

A guidare il confronto sarà Danilo Poggio, volto noto del giornalismo piemontese. A parlare, saranno voci autorevoli, ma soprattutto voci appassionate: urbanisti, artisti, architetti, amministratori, vignaioli. Gente che alla parola “territorio” non dà una definizione, ma una direzione. C’è chi racconterà la vite come atto culturale, chi mostrerà come un vigneto possa diventare un museo a cielo aperto, chi parlerà dei terrazzamenti viticoli del Mombarone come di un patrimonio che non si misura in ettari, ma in storie. E poi ci sarà chi, come la sindaca di Caluso, Mariuccia Cena, porterà la voce di quelle comunità che non hanno mai smesso di credere nella bellezza come scelta politica, come strumento di coesione sociale, come leva per restare, e non per fuggire.

Ci sarà spazio anche per un altro tipo di bellezza: quella che si scopre camminando. Il seminario punterà infatti i riflettori sulle nuove prospettive del turismo esperienziale. Quel turismo lento che non attraversa, ma abita. Che non consuma, ma ascolta. Che si ferma, fa domande, entra nelle cantine, partecipa ai riti, annusa, tocca, ascolta le storie. Un turismo che diventa incontro. E che trasforma la visita in relazione.

Il paesaggio canavesano non è solo un’eredità da contemplare. È una sfida da raccogliere. Come ha spiegato Cristina Natoli, architetto ed esperta di paesaggi colturali, “coltivare il paesaggio significa investire nella qualità dei territori come risorsa collettiva”. Significa, in fondo, credere che esista ancora un’altra economia possibile: quella della bellezza, della lentezza, della profondità.

L’incontro si concluderà con un confronto attivo con il pubblico. Un gesto semplice, ma potente: perché la bellezza, se è davvero tale, non si predica dall’alto. Si costruisce insieme, passo dopo passo, vendemmia dopo vendemmia, parola dopo parola. E se coltivare la vite è un mestiere antico, coltivare la bellezza è oggi un’urgenza civile.

Ivrea, con questo seminario, prova a dirlo con forza: noi ci siamo. E vogliamo essere non solo custodi del nostro paesaggio, ma anche narratori, innovatori, sognatori. Perché il Canavese non è solo terra da lavorare. È terra da amare.

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