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Renato Chabod, il gigante che parlava con le montagne. A Ivrea una mostra per riscoprirlo

Una giornata tra arte e memoria per ricordare il senatore-alpinista che ha scalato le montagne e la storia, con una mostra dei suoi quadri e una conferenza dedicata alle sue imprese

Renato Chabod

Renato Chabod

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Giovedì 10 aprile, Ivrea apre le porte a una delle sue memorie più luminose e complesse: quella di Renato Chabod. Nella Sala Santa Marta, dalle 10 alle 23 con orario continuato, sarà possibile visitare una mostra dei suoi quadri, organizzata in occasione del 150° anniversario della fondazione del CAI di Ivrea, oggi presieduto da Laura Principe. È un’occasione che va ben oltre la semplice celebrazione pittorica: è il tentativo, doveroso e urgente, di riportare al centro della scena una figura che ha dato moltissimo a questo territorio e a questo Paese, senza mai chiedere nulla in cambio, se non forse il silenzio e la libertà delle sue vette.

A trentacinque anni dalla sua morte, avvenuta nel 1990, Renato Chabod è ancora lì, sospeso tra la leggenda e la dimenticanza, come quelle cime innevate che sembrano lontane finché non le guardi davvero. Eppure, in Valle d’Aosta e a Ivrea — la città dove scelse di vivere dopo il matrimonio con Dina Chabod, donna silenziosa e imprescindibile nella sua parabola umana — c’è ancora chi lo ricorda con emozione. Avvocato, partigiano, politico, artista, scrittore, alpinista, Renato Chabod è stato molte vite in una sola. Un uomo dalla presenza fisica imponente, ma dal tratto umano umile e acuto, capace di attraversare la storia del Novecento con una dignità che oggi, nel tempo delle dichiarazioni roboanti e delle biografie costruite a tavolino, commuove.

Nato ad Aosta nel 1909, Chabod perse il padre a soli nove anni, vittima dell’influenza spagnola. A crescere lui e i fratelli fu la madre Giuseppina Baratono, che seppe trasmettergli non solo rigore e valori profondi, ma anche una sensibilità artistica che lo accompagnerà per tutta la vita. A tredici anni dipinge il suo primo quadro, oggi gelosamente conservato dalla figlia Valeria. Sarà solo il primo passo di un lungo viaggio attraverso le forme e i colori, che lo porterà a partecipare a collettive importanti, come quella del 1948 a Saint-Vincent dove fu selezionato insieme a Mus, Péaquin, Gaspard, Berthod e Nex tra i più rappresentativi pittori valdostani. La pittura, per lui, non era mai esercizio estetico, ma una forma di immersione e riflessione sul paesaggio montano. Le sue tele, molte delle quali dedicate alle Alpi e in particolare alle sue care vette valdostane, sono specchi del suo sguardo di alpinista: non decorazioni, ma visioni interiori, esperienze vissute, pareti scalate anche con il pennello.

Renato Chabod ha fatto parte del mondo accademico, scrivendo saggi, articoli e libri. Ma la sua forza, quella vera, stava nella capacità di essere sempre sul crinale: tra la riflessione e l’azione, tra l’amore per la cultura e l’impegno civile. Durante la Seconda guerra mondiale fu attivo nella Resistenza in Valle d’Aosta e contribuì alla stesura della Dichiarazione di Chivasso, che riconosceva le autonomie locali e i diritti delle minoranze linguistiche. Fu eletto senatore della Repubblica nel 1958, mantenendo il seggio per due legislature e diventando anche vicepresidente del Senato, unico valdostano a ricoprire tale carica. Sempre coerente, sempre autonomo, mai allineato alle convenienze di partito.

Ma Renato Chabod è anche l’uomo delle scalate. Non solo quelle metaforiche, ma quelle vere, con gli scarponi ai piedi e la corda in spalla. Fu uno dei grandi nomi dell’alpinismo italiano tra gli anni ’20 e ’40. Ha compiuto imprese leggendarie, come la prima salita della parete nord del Gran Paradiso nel 1930 o la cresta sud della Tour des Jorasses nel 1931. Ha aperto vie nuove, scalato in compagnia di nomi storici come Giusto Gervasutti e Gabriele Boccalatte. Con Gervasutti ha condiviso l’ascensione della parete nord delle Grandes Jorasses, seconda nella storia, su un terreno che ancora oggi incute rispetto. Non è un caso che la conferenza di domani sera, in programma sempre a Santa Marta alle ore 21, sia affidata a Enrico Camanni, scrittore, alpinista e giornalista, uno dei pochi in grado di restituire l’intreccio tra tecnica, etica e bellezza che ha attraversato la vita di Chabod e dei suoi compagni di cordata.

Nel 1974, il critico torinese Luigi Carluccio scrisse una frase che riassume con efficacia la pittura e l’anima stessa di Chabod: «Il pittore ha la stessa natura dell'alpinista. È forte, deciso, robusto, sa dove arpionare le dita, cioè le toccate del pennello; sa come affondarle, come stenderle a seguire la conformazione rocciosa a segnare gli spacchi e i profili. La materia pittorica è grondante nella luce e nell'ombra, nei contrasti e nei trapassi di tono». È forse questa la chiave: Renato Chabod era un uomo che arpionava la realtà, che la affrontava in verticale, senza mai scansare l’ostacolo.

A distanza di cinque anni dall’importante mostra al Forte di Bard, interrotta dalla pandemia e intitolata “La montagna titanica di Renato Chabod”, la speranza è che questa piccola rassegna eporediese possa essere solo un antipasto. Sarebbe bello – e giusto – che entro l’anno una mostra più ampia, con disegni, documenti, fotografie e scritti, trovasse spazio al Museo Garda. Perché Chabod non è soltanto un personaggio da commemorare. È un esempio. Di rigore, di passione, di libertà. Un uomo che ha fatto della montagna non solo una meta, ma un linguaggio.

Ivrea, domani, lo celebra come merita. Ma il suo messaggio, silenzioso e roccioso come le sue cime, resta vivo e necessario. In tempi come questi, dove la verticalità è sempre più rara, ricordare chi ha saputo salire con dignità – e ridiscendere con umanità – è un gesto rivoluzionario.

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