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Democrazia algoritmica: il potere politico si scrolla

Scrollocracy: leader, influencer e intelligenze artificiali riscrivono la politica globale. Dal Regno Unito al Brasile, il 2025 consacra i social media come nuovo teatro del consenso, tra emozione, manipolazione e disinformazione

Democrazia algoritmica: il potere politico si scrolla

In paesi come Regno Unito e Singapore, i social media non sono più semplici strumenti, ma i principali luoghi di coinvolgimento politico. In UK, il voto anticipato esteso ai 16enni e 17enni – sostenuto dal governo di Keir Starmer come una “rivoluzione democratica” – ha trasformato la comunicazione elettorale: Instagram e TikTok non sono più canali accessori, ma fondamenta del consenso. “A 16 anni si può già lavorare, pagare le tasse, arruolarsi nell'esercito. Non c’è motivo per cui non si possa anche votare”, ha dichiarato la ministra Rushanara Ali. Come ha recentemente raccontato la Reuters, i giovani celebrano la nuova conquista democratica, ma avvertono: serve educazione civica e digitale per proteggere il voto dalla disinformazione“Sono felice, ma frustrato nel vedere quanta propaganda circoli sui social”, dice Matthew, 16 anni. Ana, coetanea, aggiunge: “Abbiamo opinioni forti, vogliamo essere ascoltati”. Il rischio, segnalato anche da Matilda è che “i contenuti di destra siano amplificati più di quelli progressisti”. Il sondaggio Merlin Strategy per il canale britannico ITV News rivela che solo il 10% dei nuovi elettori voterebbe conservatore. Jess Garland, figura di spicco nel campo della ricerca e della politica democratica nel Regno Unito, tra le voci autorevoli sulle riforme elettorali all’Electoral Reform Society, spiega: “Chi inizia a votare presto tende a continuare a farlo anche in età adulta”.

A Singapore, intanto, la politica parla direttamente ai giovani attraverso creator politici, podcast elettorali e sondaggi live. I candidati più giovani hanno compreso che, nel 2025, l’autorevolezza si misura anche in visualizzazioni.

Il cipriota Fidias Panayiotou, celebre youtuber, è stato eletto al Parlamento europeo nel 2024, diventando il primo indipendente nella storia del Paese. Con oltre 2,6 milioni di follower, ha trasformato la sua notorietà online in consenso elettorale, interpretando il nuovo paradigma dell’influencer-politico. Il suo stile diretto, ironico e coinvolgente ha fatto breccia soprattutto tra i più giovani, conquistando il 19,4% dei voti e posizionandosi al terzo posto. Oggi continua a coinvolgere attivamente la sua community, lanciando sondaggi su Instagram prima di ogni scelta parlamentare. La sua candidatura ha rappresentato una sfida alla politica tradizionale, incarnando una visione “apolitica” ma profondamente connessa al linguaggio digitale.

In Germania, Heidi Reichinnek, leader della sinistra radicale Die Linke, ha trasformato TikTok in un canale politico attivo, conciliando slogan femministi, confessioni virali e discorsi incisivi in Parlamento. Questa modalità ha rinnovato l'immagine di Die Linke, rilanciando il partito attraverso uno stile personale, empatico e concentrato sulle nuove generazioni.

Negli USA, i Democratici nel 2025 hanno mutato il linguaggio social: toni più volgari, informali, diretti, per competere col populismo aggressivo del trumpismo. Gavin Newsom, governatore della California, usa TikTok per trollare direttamente Donald Trump, ottenendo milioni di visualizzazioni. Di recente, il Washington Post ha sottolineato come il linguaggio politico si sia radicalizzato: “i leader democratici parlano sempre più come i loro avversari”.

In Brasile, l’ex presidente Jair Bolsonaro e la sua rete digitale sono stati al centro di una guerra comunicativa. Secondo il New Yorker, lo scorso aprile, il giudice Alexandre de Moraes aveva sospeso centinaia di account social accusati di disinformazione pericolosa per la democrazia. Nel novembre 2024, Francisco Wanderley Luiz, ex candidato bolsonarista, si era fatto esplodere davanti alla Corte Suprema in segno di protesta. Il gesto estremo riflette un clima d’odio alimentato dai social, in cui fake news, fanatismo e odio politico si saldano in una miscela esplosiva.

E la Romania? Le presidenziali 2025 sono state addirittura segnate da una campagna social infiltrata da contenuti provenienti da Mosca. Secondo Reuters e Washington Post, TikTok è diventato il vettore privilegiato di propaganda, mentre la giovane popolazione si informava quasi esclusivamente su piattaforme digitali. Gli slogan ultranazionalisti hanno avuto ampio seguito tra i giovanissimi.

Anche se una parte di noi fatica ad accettarlo, l’uso dell’intelligenza artificiale generativa in politica è ormai onnipresente. In Canada, India, Argentina e Pakistan, deepfake iperrealistici, voice cloning e bot conversazionali vengono impiegati in campagna elettorale per manipolare la percezione dei candidati, creare scandali artificiali o amplificare polarizzazioni. In India, durante le elezioni del 2024, alcuni candidati hanno persino utilizzato avatar AI per moltiplicare la propria presenza nei comizi virtuali. In Canada, un video virale generato da un’intelligenza artificiale raffigurava il premier in atteggiamenti compromettenti mai avvenuti, sollevando interrogativi etici e normativi.

Le Filippine, primo paese al mondo, hanno introdotto una legge che obbliga a dichiarare esplicitamente l’uso dell’intelligenza artificiale nei contenuti politici, con l’obiettivo di tutelare l’elettorato dalla manipolazione cognitiva. Tuttavia, resta aperta una domanda cruciale: chi controllerà davvero l’attuazione di questa norma? Senza un’adeguata infrastruttura di monitoraggio, il rischio è che la trasparenza resti solo sulla carta, mentre l’AI continua a rimescolare verità, emozioni e consensi.

Secondo il ‘Digital News Report 2025’ del Reuters Institute, il 54% degli americani si informa oggi sui social, contro il 50% che guarda ancora la TV. Un’autentica rivoluzione. The Guardian sottolinea inoltre che il declino dei media tradizionali è accompagnato dall’ascesa dei news influencer: Joe Rogan, ad esempio, è stato fonte d’informazione per il 22% degli americani nella settimana dopo l’insediamento di Trump.

Su YouTube, TikTok, Instagram e podcast si muove la nuova linfa del dibattito: veloce, personalizzata, diretta.In paesi come India, Brasile e Indonesia, i giovani consumano quasi esclusivamente informazione digitale. L’ex Twitter, oggi X, ha visto un’impennata di utenti di destra (+50% dal 2021), mentre quelli progressisti calano.

L’analista Nic Newman avverte: “I politici populisti bypassano la stampa tradizionale e parlano direttamente a milioni di follower, con messaggi semplificati e virali”. Il problema? Il 58% dei cittadini non è sicuro di distinguere vero e falso. I giovani iniziano a usare ChatGPT e Gemini per informarsi, senza più cliccare sulle fonti originali.

E in Italia? I leader nostrani appaiono ancora in affanno nel comprendere pienamente la grammatica emotiva e visiva dei social. A eccezione di alcune figure come Elly Schlein e Matteo Salvini (entrambi alternano video autoironici a contenuti più istituzionali) la politica italiana fatica a dialogare con le generazioni native digitali. Giorgia Meloni mantiene una forte presenza online, ma prevalentemente su Facebook e Instagram, con contenuti verticali, spesso confezionati in modo tradizionale. Manca, però, un vero investimento narrativo sui canali prediletti dalla Gen Z, come TikTok e Twitch. Il risultato? L’Italia è spettatrice più che protagonista di questa nuova democrazia algoritmica, dove lo storytelling politico si misura in visualizzazioni, engagement e capacità di entrare nei feed prima ancora che nei programmi.

Chi avrebbe mai immaginato che i social media potessero diventare l'habitat naturale di una mutazione così profonda della politica? 

Il 2025 li ha consacrati come il nuovo palcoscenico del potere globale. Non più semplici strumenti di comunicazione, ma luoghi in cui si forgia il consenso, si costruiscono identità politiche e si decidono le sorti delle democrazie. I leader usano toni autentici, confessioni personali e storytelling emozionale per creare un legame diretto con l’elettorato. Ma questa connessione emotiva, così immediata, ha spesso un prezzo: la complessità viene sacrificata sull’altare della viralità.

In parallelo, l’avanzata dell’intelligenza artificiale generativa e la proliferazione di fake news stanno erodendo la fiducia nel processo elettorale. Deepfake, chatbot e contenuti manipolati circolano con una velocità impossibile da controllare, alimentando sospetti, polarizzazione e disinformazione. Alcuni Paesi, come l’Australia e il Canada, hanno iniziato a reagire imponendo regole più severe sull’uso dei social in politica, ma la corsa tra tecnologia e regolazione resta aperta ed è pericolosamente sbilanciata. 

Il problema non è solo cosa viene detto, ma come, quando e da chi. In questa nuova democrazia algoritmica, dove ogni scroll può orientare un voto e ogni clic può determinare una narrazione, il rischio è che la politica smetta di essere un esercizio di responsabilità e visione per ridursi a una lotta per l’attenzione. Sta a noi, cittadini digitali, imparare a distinguere il rumore dalla verità. A pretendere che la politica torni ad abitare lo spazio del confronto, del pensiero lungo e del coraggio. Perché solo così il potere, anche nell’era dei social, potrà tornare a essere uno strumento al servizio della collettività, e non della manipolazione.

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