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Chi comanda davvero l’agenda politica in Italia?

Dicembre 2025 come cartina tornasole: dalla trattativa su Repubblica e La Stampa alla cronaca che diventa legge, il Digital News Report 2025 letto nei fatti

Chi comanda davvero l’agenda politica in Italia?

Dicembre 2025 non ha un solo centro. Le notizie si accavallano, rimbalzano, cambiano forma mentre scorrono: una trattativa editoriale che diventa caso politico, un’indagine giudiziaria che si trasforma in scontro pubblico, una frase pronunciata in Parlamento che rinasce come clip, una storia di cronaca che finisce per chiedere regole. Tutto accade nello stesso tempo, ma non nello stesso luogo. È un mese in cui l’agenda non si presenta mai come un ordine impartito dall’alto: emerge, si impone, prende corpo mentre passa di mano in mano.

È dentro questo movimento continuo, tra redazioni, palinsesti, piattaforme, istituzioni, che vale la pena fermarsi a osservare una domanda antica, tornata improvvisamente attuale: chi detta davvero l’Agenda? Non per nostalgia di un passato in cui i ruoli sembravano più chiari, ma perché dicembre 2025 mostra, in tempo reale, come una notizia diventa un caso politico. E come, spesso, nessuno riesca davvero a controllarne il percorso.

Vi è un equivoco che torna spesso, quasi come una frase nostalgica detta a mezza voce: “Una volta la politica guidava e i giornali seguivano. O forse era il contrario?”. La verità è che quel “contrario” non è sparito: si è complicato. Oggi, quando un tema diventa centrale, raramente nasce in un solo luogo. Nasce in un punto, esplode in un altro, viene incorniciato altrove e poi, solo alla fine, diventa decisione. Se vuoi capire davvero chi detta l’agenda politica in Italia, dicembre 2025 è un mese perfetto: non per la quantità delle notizie, ma perché mostra in tempo reale come una notizia diventa un caso politico.

Nel 2025 Alessio Cornia, professore associato alla Dublin City University e curatore per l’Italia del ‘Digital News Report’ del Reuters Institute di Oxford, ha richiamato un fatto strutturale che spesso dimentichiamo quando parliamo di “stampa” come se fosse un corpo unico: i quotidiani nascono storicamente per un pubblico elitario e utilizzano un linguaggio complesso, pensato più per chi esercita potere che per un pubblico di massa. Un’idea che affonda le radici nella riflessione di Enzo Forcella, storico giornalista politico, il quale scriveva di aver sempre lavorato per un numero ridottissimo di lettori, “i ministri di turno e i portaborse”, come racconta nel celebre saggio 'Millecinquecento lettori. Confessioni di un giornalista politico'.

Questa chiave di lettura prende vita in modo quasi teatrale l’11 dicembre 2025, quando Reuters racconta una vicenda che ha il sapore di un romanzo sul potere contemporaneo: il possibile passaggio di due testate simbolo, la Repubblica e La Stampa, dal gruppo GEDI a un gruppo estero, Antenna Group, con cui sono in trattativa. Reuters riferisce che il governo Meloni “ha segnalato preoccupazione”, che la notizia ha acceso reazioni politiche e che in redazione si sono attivate mobilitazioni sindacali, con lo sciopero de La Stampa e la possibilità che anche Repubblica segua.

La storia, in poche ore, smette di essere una vicenda industriale e diventa un fatto politico: pluralismo, indipendenza, golden power, identità nazionale, controllo dell’informazione. È un esempio plastico di come l’agenda possa nascere da una notizia economico-editoriale e trasformarsi rapidamente in una questione di democrazia percepita

A quel punto non c’è più un regista riconoscibile. Nessuno detta davvero l’agenda, e nessuno riesce a sottrarsi. Non è la stampa, intesa come sistema dei media, a muoversi contro la politica, né la politica a imporre una linea alla stampa: è la notizia stessa a diventare centro di gravità, a esercitare una forza che costringe tutti a prendere posizione. Ed è qui che si intravede una regola nuova: ciò che entra nel circuito della visibilità non resta confinato al settore che l’ha generato. Passa di mano in mano, cambia cornice, cambia lessico. La stessa vicenda può essere raccontata come “mercato”, come “sovranità”, come “libertà di stampa”, come “conflitto di interessi”. Il punto non è solo cosa accade, ma chi riesce a stabilire che cosa quella vicenda significa.

Pochi giorni prima, un’altra storia mostra un altro meccanismo di formazione dell’agenda. Il 2 dicembre 2025 Sky TG24 dà notizia dell’indagine della Procura europea (EPPO) che coinvolge Federica Mogherini e altre figure per presunte irregolarità legate ad appalti, e il racconto rimbalza su più testate, tra cui Il Fatto Quotidiano. Qui l’agenda si muove in modo diverso: la scintilla non è un leak politico e nemmeno un format televisivo, ma l’elemento giudiziario che accende immediatamente due piani: il piano della cronaca e quello dello scontro politico. In poche ore, la notizia non è più soltanto “indagine su appalti”: diventa materia di dichiarazioni, attacchi, difese, richieste di chiarimenti, e si innesta su un terreno dove la politica spesso corre più veloce della verifica. La stampa, in questo caso, non “crea” l’evento, ma lo rende agenda perché lo mette al centro del racconto nazionale e lo trasforma in domanda collettiva: chi sapeva, chi controllava, chi paga?

E poi vi è l’elemento che, più di tutti, spiega perché oggi non basta più parlare di “stampa” in modo tradizionale: l’ecosistema mediale. A metà dicembre 2025, mentre l’Italia è immersa nel dibattito sulla manovra e sulla politica estera, in un rimbalzo continuo di talk show e dichiarazioni, Radio Radicale fa quello che fa da sempre: registra, archivia, mette a disposizione. Interventi, prese di posizione, parole scandite con data e ora, come le dichiarazioni sulla manovra del 18 dicembre 2025. È un dettaglio solo in apparenza. In realtà racconta un passaggio storico: l’agenda non vive più nel titolo del giorno dopo. Vive nel flusso. Nell’audio, nel video, negli spezzoni pronti a circolare, a essere estratti, condivisi, rilanciati.

La politica lo sa: parla sapendo che ogni frase può diventare una clip, e che ogni clip, nel giro di poche ore, può trasformarsi in un caso.

Questa trasformazione è esattamente quella che il Reuters Institute osserva nel 'Digital News Report 2025'. Non la descrive come una rottura improvvisa, ma come uno slittamento continuo: le notizie non stanno più ferme, scorrono, passando dalle redazioni alle piattaforme, dai titoli ai video, dai social alle chat private. In questa danza, tutto si sposta: il ritmo accelera o rallenta, le priorità si riorganizzano, il peso delle notizie muta. In un ecosistema in continuo movimento, non conta più soltanto che cosa viene pubblicato, ma come e dove una notizia viaggia, perché è lungo quel percorso che si decide che cosa, alla fine, il pubblico riconosce come rilevante.

Quando l’attenzione si frammenta, anche la vecchia domanda "Chi detta l’agenda?" smette di avere una risposta lineare. Non è più soltanto una questione di scelta dei temi, ma di controllo della loro traiettoria. Chi riesce a farli viaggiare, a farli sostare, a farli esplodere o svanire. In un’informazione che vive di flussi, l’agenda non si impone: si diffonde.

Dicembre 2025 non parla solo di politica in senso stretto. Basta guardare dove si accende la discussione. Il 19 dicembre, mentre il Parlamento è ancora immerso nella manovra, il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti diffonde una richiesta che nasce altrove: non nei palazzi, ma nei palinsesti. Dopo le riunioni del 16 e 17 dicembre a Roma, l’Ordine chiede all’AGCOM (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) di riconvocare il comitato incaricato di vigilare sulla correttezza dei processi in televisione. Il motivo è sempre lo stesso, e sempre nuovo: i “quotidiani episodi di cronaca nera e giudiziaria”, trasformati in spettacolo.

Non è un tecnicismo, e non è nemmeno solo una questione di deontologia. È il segno di come una storia di cronaca, ripetuta, rilanciata, esasperata, finisca per chiedere regole. La cronaca spinge, l’esposizione mediatica accumula pressione, le istituzioni sono costrette a rispondere. Anche così nasce l’agenda: non da una legge annunciata, ma da un racconto che diventa troppo grande per restare solo racconto.

E se serve una cartina tornasole definitiva, basta tornare indietro di poche settimane, a fine novembre 2025. Il 26 novembre, El País racconta dall’estero ciò che in Italia sta ormai maturando da mesi: l’approvazione della legge che introduce il reato autonomo di femminicidio. La misura arriva in un clima saturo, carico, segnato da un’allerta sociale che non si spegne più. I casi si susseguono, il dibattito si accende, la pressione cresce. La cronaca entra nelle case, si accumula, diventa emozione collettiva e, a un certo punto, quell’emozione chiede una risposta.

Qui l’agenda nasce in modo quasi classico, ma con ingredienti profondamente contemporanei: i fatti diventano racconto, il racconto diventa sentimento condiviso, il sentimento si trasforma in domanda politica. E la domanda, infine, prende la forma di una legge. In mezzo, i media - stampa, televisione, social - non stanno a guardare. Sono il luogo in cui la pressione si stratifica, si amplifica, diventa inevitabile.

Alla fine, la risposta è meno comoda di un sì o di un no, ma è più onesta. In Italia, oggi, la stampa può ancora imporre temi quando produce inchieste solide o quando racconta eventi che rendono impossibile il silenzio. La politica, dal canto suo, continua a tentare di orientare priorità e cornici. Ma sempre più spesso l’agenda reale nasce altrove: là dove si concentra l’attenzione. E l’attenzione, ormai, è un bene mobile, frammentato, conteso, accelerato, governato da format e piattaforme.

Dicembre 2025 lo mostra con chiarezza. L’agenda non è più un comando impartito dall’alto: è una battaglia di definizioni, di tempi, di visibilità. E chi riesce a governare questi tre elementi, oggi, non si limita a raccontare la politica: la costringe a muoversi.

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