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12 Giugno 2025 - 12:19
“Sono stati svegli tutti tutta la notte. Gli avvocati anche. Tutte le persone arrivate dall’Italia sono state fermate, sono stati ritirati i documenti e sono state deportate. Molti sono già stati rimpatriati, altri sono stati caricati sui pullman. Si parla di vere e proprie deportazioni, e questo è assolutamente inaccettabile.” Con queste parole, inviate in un video messaggio diffuso nella mattinata di giovedì, Antonietta Chiodo, portavoce italiana della Global March to Gaza, ha lanciato un appello durissimo alla collettività internazionale.
La Global March to Gaza, manifestazione internazionale pacifica e nonviolenta, doveva partire oggi dal Cairo in direzione del valico di Rafah, per chiedere l’apertura di corridoi umanitari verso la Striscia di Gaza. Una carovana costruita dal basso, in poche settimane, con adesioni da 52 Paesi. Tra i partecipanti anche due attivisti torinesi, già bloccati nelle scorse ore dalle autorità egiziane.
Ma nella notte il sogno di migliaia di persone, arrivate in Egitto a proprie spese, è stato interrotto da una repressione silenziosa. Nessun comunicato ufficiale, ma ritiro dei documenti, prelievi forzati dagli hotel e rientri coatti in patria.
“Tutte le persone occidentali vengono deportate, non solo gli italiani. È in corso un’azione sistematica”, ha denunciato ancora Chiodo. “Chiediamo che venga presa una responsabilità collettiva immediata per quanto sta accadendo, perché è una totale violazione del diritto internazionale.”
La tensione è cresciuta anche per le dichiarazioni del ministro israeliano Israel Katz, che mercoledì aveva affermato: “Non ci saranno linee rosse. Useremo ogni arma possibile”. Una frase che ha scatenato la preoccupazione degli attivisti. “Ci sarà un massacro al confine, un massacro di arabi, e noi non possiamo permettere che accada nel silenzio”, ha ribadito Chiodo. “Portano via gli occidentali per non creare incidenti diplomatici con gli Stati che li sostengono, ma noi siamo dalla parte del popolo palestinese, non ci interessa ciò che pensano i governi.”
La posizione ufficiale dell’organizzazione era stata chiara fin dal principio: nessuna forzatura, nessun tentativo di entrare nella Striscia, ma un gesto simbolico e diplomatico per chiedere la fine delle ostilità. “La marcia non intende attraversare i checkpoint – aveva dichiarato la delegazione italiana in un comunicato il 5 giugno – ma raggiungere Al-Arish, luogo accessibile, e da lì marciare a piedi fino al valico, negoziando pacificamente con le autorità.”
Ma nella notte tra mercoledì e giovedì tutto è cambiato. Gli alberghi che ospitavano i partecipanti sono stati circondati. I portavoce nazionali delle varie delegazioni, inclusi quelli italiani, sono stati fermati e accompagnati verso l’aeroporto. “Molte persone sanno cosa sta accadendo, e hanno deciso di partire ugualmente. Lo hanno fatto con coraggio, ma ora vanno difese”, ha sottolineato la portavoce.
In Italia, l’episodio ha acceso il dibattito politico. Mercoledì in Parlamento sono piovute accuse contro la Farnesina da parte delle opposizioni. Francesco Silvestri (M5S) ha parlato di “comunicati vergognosi” da parte del Ministero degli Esteri. Valentina Ghio (PD) ha chiesto che “il governo assicuri la tutela dei cittadini italiani coinvolti”. Marco Grimaldi (Avs) ha dichiarato che “tutta Avs è in marcia per Gaza”, mentre da Azione è arrivata la richiesta di un’informativa urgente in Aula.
In risposta, il Ministero degli Esteri ha smentito l’esistenza di comunicati ufficiali, chiarendo di aver soltanto pubblicato un avviso sul portale “Viaggiare Sicuri” per ricordare che il Sinai settentrionale è zona militare soggetta a restrizioni. “La rete consolare sarà comunque attiva per garantire l’assistenza ai nostri connazionali all’estero”, ha aggiunto la Farnesina.
Ma ora gli attivisti chiedono molto di più di una rassicurazione consolare. “Noi siamo venuti qui per dire che c’è ancora chi crede nella pace, nel diritto alla vita e alla solidarietà internazionale. E ci stanno portando via. Questa è la verità”, conclude Chiodo.
La Global March to Gaza, nata come grido collettivo di umanità, si è scontrata con un muro di realpolitik, repressione e timori diplomatici. Ma il messaggio resta: se i governi tacciono, la società civile alza la voce. Anche a costo di essere messa su un pullman e rimandata indietro.
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