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27 Giugno 2018 - 12:55
Era il 29 giugno del 1968 quando, in occasione della festività dei Santi Pietro e Paolo, veniva ordinato sacerdote don Giuseppe Scapino, a tutti noto come don Beppe. Originario di Caluso, don Beppe è attualmente titolare della parrocchia eporediese del quartiere di S. Giovanni.
A cinquant’anni di distanza dalla sua ordinazione, domenica 24 giugno dopo la tradizionale messa delle 10.30, la comunità ha voluto ricordare l’importante anniversario con un pranzo celebrativo.
L’occasione ha dato la possibilità ai cittadini di ritrovarsi insieme, così da rinnovare lo spirito comunitario su cui è costruito il messaggio cristiano. È stato don Beppe stesso a ribadire l’importanza di questo concetto attraverso la sua testimonianza che abbiamo raccolto in un’intervista.
“Ho sempre saputo che la mia vocazione era quella pastorale; fin da bambino ho vissuto a contatto con la Chiesa: in famiglia avevamo già un sacerdote, mio padre era molto praticante ed io servivo da chierichetto la domenica”, ha dichiarato don Beppe.
“Dopo il Liceo Classico, ho frequentato il Seminario ad Ivrea”, continua il parrocco, “e la mia famiglia ha sempre appoggiato la scelta di cui ero convinto”. Conclusi i quattro anni di formazione e ricevuta l’ordinazione sacerdotale, don Beppe si è trasferito in Belgio, dove ha studiato sociologia all’Università Cattolica di Lovanio, anni che ricorda con piacere per “il clima culturale molto vivace e aperto al dibattito, ancora non così radicato in Italia”.
Rientrato ad Ivrea è stato nominato segretario di Mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito della diocesi eporediese, per poi diventare cancelliere vescovile. Nel 1979, ha iniziato a ricoprire il ruolo di sacerdote nel quartiere di San Giovanni, in condizioni di forte precarietà, come ricorda: “La chiesa non era ancora stata costruita, perciò il catechismo si teneva nelle cantine delle case e celebravo la messa nei saloni condominiali o nell’attuale sala Auser destinata agli anziani”.
A cinquant’anni dalla prima messa officiata, don Beppe fa un bilancio del clima generale che si avverte: “Oggi il Vangelo è più che mai sconosciuto e la società va scristianizzandosi poiché la Parola di Dio rappresenta per alcuni un’utopia, per altri un intralcio all’individualismo sempre più dilagante”.
In risposta a questa situazione, don Beppe mette al centro l’importanza della comunità come nucleo per la riscoperta dei valori di solidarietà e speranza e aggiunge: “In questo processo, i giovani devono avere un ruolo trainante verso i loro coetanei e non temere di testimoniare la propria fede in un mondo sempre più laico”.
In tutto ciò resta cruciale la figura guida del sacerdote che deve essere prima di tutto un abile comunicatore, pronto ad accogliere chiunque abbia bisogno anche solo di una parola di conforto... ed in questo don Beppe rappresenta un modello autentico, pronto a conciliare la sua missione pastorale con le nuove esigenze di oggi perché “essere preti non è un privilegio ma una forma di servizio”.
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