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Cronaca

Sequestri, botte e acqua bollente: undici giovani indagati per torture in garage

Nel mirino anche un’esplosione che a giugno ha sventrato l’androne di una palazzina

Prometteva un grande sconto, ma in realtà era una truffa: in vendita arrivano i carabinieri

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La porta del garage si richiude con un colpo secco, e dentro restano il sibilo di un bollitore, l’odore di umidità, un neon che trema come un avvertimento. Le vittime sono legate, bendate, incapaci di muoversi. La punizione, definita “esemplare”, serve a regolare presunti debiti di droga: pugni, spranghe, acqua bollente rovesciata addosso. Non è una sceneggiatura: è ciò che gli inquirenti contestano a un gruppo di ragazzi e giovanissimi fermati all’alba a Roma, nell’ambito di un’inchiesta che ha portato a undici misure cautelari — sei maggiorenni e cinque minorenni, tutti italiani — con accuse che vanno dalla tortura al sequestro di persona, dalla tentata estorsione al porto abusivo di esplosivo.

Gli atti, firmati da due gip — uno del tribunale ordinario e uno del tribunale per i minorenni — sono il frutto di un’indagine congiunta della Direzione Distrettuale Antimafia e della Procura per i Minorenni di Roma. I Carabinieri della Compagnia Roma Trastevere hanno eseguito le misure, distribuite tra carcere, domiciliari e restrizioni mirate, sempre sotto il principio della presunzione d’innocenza. Il mosaico prende forma a partire da un arresto in flagranza per droga del marzo 2025: un episodio apparentemente isolato che apre un varco investigativo e riporta gli inquirenti a due distinti casi di tortura avvenuti nel gennaio precedente.

Le violenze si sarebbero consumate nella zona della Massimina, estrema periferia ovest della Capitale: le vittime prelevate da casa, trasportate in un garage, legate mani e piedi, bendate, colpite per ore con pugni, calci, spranghe e altri oggetti. In almeno un episodio, come punizione per presunti sgarri, sarebbe stata versata acqua bollente sui corpi, provocando lesioni gravi. Il movente principale è ricondotto ai debiti di droga; in uno scenario compaiono anche ragioni di gelosia. Secondo l’ipotesi investigativa, a orchestrare le punizioni sarebbe stato un gruppo che si muoveva nella zona grigia dello spaccio di quartiere, dove la forza è moneta corrente e l’intimidazione funge da regolamento interno. Gli atti parlano di “più condotte” e di “crudeltà” tali da configurare il reato di tortura: una sequenza che, nella lettura dei pm, trasforma quel garage in una stanza delle punizioni.

Lo stesso fascicolo si estende poi a un secondo episodio, più vasto e più inquietante: l’esplosione che, nella notte tra il 30 giugno e il 1° luglio 2025, ha devastato l’ingresso di una palazzina Ater in via Guido Calcagnini, nel cuore di Primavalle/Torrevecchia. In un primo momento si era parlato di fuga di gas, ma le verifiche tecniche hanno escluso guasti agli impianti. La dinamica dell’onda d’urto ha indirizzato gli esperti verso un ordigno rudimentale. Nessun ferito, ma danni ingenti e decine di residenti evacuati. Gli approfondimenti odierni attribuiscono ruoli distinti — presunto mandante, esecutore materiale, fiancheggiatori — in quella che gli inquirenti definiscono un’azione intimidatoria legata allo stesso circuito di spaccio coinvolto nei sequestri di gennaio.

I sostituti procuratori Carlo Villani e Carlo Morra, insieme ai colleghi della procura minorile, coordinano un’inchiesta che intreccia rilievi tecnici, incroci di celle telefoniche, testimonianze, referti sulle ustioni e sulle contusioni, analisi dei tracciati video e delle dinamiche interne del gruppo. Le fonti giudiziarie parlano con prudenza di un circuito giovanile più che di un’organizzazione strutturata, ma il livello di brutalità documentato — e la presenza di cinque minorenni — solleva interrogativi sulla pervasività della microcriminalità nei quartieri di frontiera.

Il reato di tortura, previsto dall’articolo 613-bis del Codice penale e introdotto dalla legge 110/2017, punisce chi provoca sofferenze fisiche acute o un trauma psichico a una persona privata della libertà o in condizione di minorata difesa, con una pluralità di condotte o con un trattamento inumano e degradante. Le pene vanno da quattro a dieci anni e aumentano se derivano lesioni gravi o se l’autore è un pubblico ufficiale. A ciò si aggiunge il sequestro di persona (art. 605 c.p.), che può arrivare fino a quindici anni nei casi aggravati. Per i minorenni indagati, la Procura per i Minorenni valuterà percorsi rieducativi, prescrizioni, obblighi scolastici e, nei casi più gravi, misure restrittive: un banco di prova per un sistema che deve conciliare tutela e responsabilità.

Il contesto è quello della Massimina, di Primavalle e di Torrevecchia, quartieri dove le reti di spaccio prosperano grazie a legami informali e a economie parallele che usano la violenza come leva disciplinante. Qui il debito funziona come un codice: dal “conto” si passa alla minaccia, poi al prelievo forzato in casa, fino alla stanza del garage. L’acqua bollente diventa un marchio, un linguaggio più eloquente delle parole. La cronaca dell’esplosione del 30 giugno mostra come la soglia dell’intimidazione possa alzarsi nel giro di una notte.

Il quadro probatorio, ora, dipende dalla tenuta delle dichiarazioni delle vittime e dalla coerenza degli incroci tecnici. Gli accertamenti sull’ordigno di via Guido Calcagnini dovranno chiarire la composizione e il sistema d’innesco. Il filone dei sequestri sembra più orizzontale, con azioni collettive e turnazioni nella custodia, mentre nel caso dell’esplosione emerge una catena di ruoli più precisa. I tempi del procedimento dipenderanno dalle impugnazioni al Tribunale del Riesame e dalle valutazioni dei giudici sulle esigenze cautelari.

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