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Cronaca

Cinque anni senza Alessandro, la madre sfida il silenzio: «Non archiviatelo, mio figlio è là fuori e qualcuno deve vederlo»

La famiglia si oppone alla terza archiviazione mentre segnalazioni, errori iniziali e indagini incompiute alimentano la battaglia per non lasciarlo scomparire una seconda volta

Cinque anni senza Alessandro,

Cinque anni senza Alessandro, la madre sfida il silenzio: «Non archiviatelo, mio figlio è là fuori e qualcuno deve vederlo»

Sono trascorsi cinque anni, ma per Roberta Carassai il tempo non ha assunto la forma dell’attesa rassegnata. La scomparsa di Alessandro Venturelli, il ragazzo di Sassuolo svanito nel nulla il 5 dicembre 2020, continua a essere una ferita aperta, un varco in cui si mescolano dolore, domande irrisolte e una determinazione che non si incrina. La madre, nel giorno dell’anniversario, ripete con lucidità ciò che non ha mai smesso di pensare: riabbraccerebbe suo figlio «senza fare domande, con tanto amore». Una frase che conserva tutta la densità di una battaglia portata avanti in solitudine soltanto all’apparenza, perché attorno a lei si è raccolta una rete di sostegno che negli anni non si è dissolta.

Quando Alessandro sparì, attraversava un periodo di fragilità psicologica. Eppure, la sua assenza venne inizialmente classificata come un allontanamento volontario. Un’etichetta che, oggi più che mai, pesa come un punto critico nelle prime ore dell’indagine. Roberta torna spesso su quel passaggio che considera decisivo: «Bastava acquisire i filmati delle telecamere di videosorveglianza subito quel giorno e non saremmo in questa situazione». In quella frase c’è l’amarezza di una madre ma anche la denuncia di chi, per affrontare la mancanza, ha scelto di trasformarla in azione. È da qui che nasce Nostos, l’associazione fondata per impedire che casi analoghi vengano gestiti con ritardi che possono diventare irreversibili.

Intanto, la vicenda giudiziaria attraversa l’ennesimo snodo. È ancora in attesa la decisione del giudice sulla terza richiesta di archiviazione del fascicolo. Una richiesta che la famiglia respinge con fermezza, convinta che l’inchiesta non abbia ancora esaurito le possibilità investigative. Non è solo un atto formale: è la volontà di opporsi a un silenzio procedurale che rischia di spegnere definitivamente la ricerca.

Negli ultimi anni, diversi avvistamenti hanno suggerito spiragli, poi rivelatisi inconsistenti. Gli ultimi sono arrivati da Torino, una città che ha generato attese e poi delusioni, ma che ha mostrato a Roberta qualcosa che lei non dà mai per scontato: «C’è stata tanta solidarietà e in moltissimi ci sono stati vicini». Segnalazioni, messaggi, volontari disposti a controllare stazioni, centri commerciali, strade. Un movimento spontaneo che ha dato corpo a un’idea molto semplice: la scomparsa di Alessandro non riguarda solo una famiglia, ma una comunità più ampia che rifiuta di considerare chi è sparito come una storia chiusa.

È in questo contesto che arriva il nuovo appello della madre. Un invito chiaro, che non conosce retorica: continuare a cercare. «Non smettiamo di cercare mio figlio, siate i nostri occhi». Non è solo una richiesta, ma la sua modalità di resistenza. Significa vigilare, non assuefarsi, riconoscere che dietro ogni volto incontrato per strada potrebbe esserci una possibilità, anche remota, di ritrovare un ragazzo che non ha lasciato dietro di sé alcun segno certo del proprio destino.

Cinque anni dopo, la storia di Alessandro resta sospesa. Non ci sono verità definitive, né elementi che permettano di accettare la parola fine. C’è però la tenacia di una madre che continua a cercare e il timore, condiviso da chi la accompagna, che l’oblio sia il pericolo più grande. Per questo oggi la vicenda ritorna al centro: non per celebrare un anniversario, ma per ricordare che la scomparsa di un giovane non può trasformarsi in un caso dimenticato.

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