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Balme saluta Paolo Henry, l’ultima guida alpina della tradizione: il psicologo-alpinista che unì due mondi e salvò un’eredità secolare

Addio a Paolo Henry, custode di Balme: psicologo e guida che ha mantenuto viva la tradizione alpinistica e l'etica della montagna

Balme saluta Paolo Henry

Balme saluta Paolo Henry, l’ultima guida alpina della tradizione: il psicologo-alpinista che unì due mondi e salvò un’eredità secolare

Balme perde uno dei suoi custodi più preziosi. A 87 anni se n’è andato Paolo Henry, figura simbolica di un modo di vivere la montagna che nel piccolo villaggio delle Valli di Lanzo aveva radici antiche e leggendarie. La sua vita, sospesa tra la psicologia e l’alpinismo, tra i corridoi delle strutture sanitarie torinesi e le creste severe delle Alpi Graie, racconta una storia rara: quella di un uomo capace di incarnare, senza forzature, l’incontro tra due mondi spesso distanti, quello del montanaro e quello dell’alpinista cittadino.

La comunità di Balme ne ricorda il valore non soltanto come guida, ma come ponte vivente con una tradizione straordinaria. Dalla metà dell’Ottocento alla metà del Novecento furono più di cinquanta i balmesi che esercitarono la professione di guida alpina diplomata, un primato unico in Italia, soprattutto per un villaggio che non ha mai superato qualche centinaio di abitanti e che non vanta neppure un quattromila nel proprio anfiteatro montuoso. Balme, pur senza vette altisonanti, fu la culla di generazioni di uomini capaci di lasciare il segno nell’alpinismo torinese e nazionale.

Poi arrivarono i cambiamenti: il declino turistico, la trasformazione sociale, la scomparsa progressiva di un mestiere che richiedeva dedizione totale, discrezione e conoscenze profonde del territorio. In quel periodo di vuoto, quando la figura della guida alpina sembrava destinata a sparire, a resistere era rimasto soltanto Andrea Castagneri, detto Brac, erede del glorioso clan dei Castagneri-Tuni, protagonista di ascensioni epiche e citato negli scritti di Guido Rey. Con la sua morte si chiudeva un ciclo. Ma non del tutto.

Fu allora che la testimone passò a Paolo Henry. Un balmese di tradizione, più che di nascita. Nato a Torino nel 1939, discendeva da un’antica famiglia savoiarda trasferitasi nel capoluogo piemontese dopo l’Unità d’Italia. Già suo nonno Emilio aveva lasciato un segno nell’alpinismo esplorativo, quello che aveva contribuito a modellare la toponomastica delle Graie con nomi oggi noti agli appassionati: Baretti, Barale, Vaccarone. Anche Paolo, negli anni Cinquanta, scelse la montagna non come passatempo, ma come elemento fondante della propria identità. In un’epoca in cui persino i montanari abbandonavano la professione, decise controcorrente di prendere il brevetto di guida alpina.

Da allora costruì un’esistenza bifronte e coerente: da psicologo nelle strutture sanitarie torinesi, impegnato sul fronte umano della sofferenza e della cura, e da alpinista, capace di misurarsi con ascensioni impegnative, esplorazioni lontane, perfino spedizioni etnografiche in Amazzonia. Due percorsi che convivono solo apparentemente in contrasto: entrambi richiedevano ascolto, attenzione, profondità, capacità di leggere le persone e gli ambienti, che fossero valligiani, pazienti o comunità indigene.

Per oltre mezzo secolo Henry fu il riferimento di Balme e delle sue montagne. Rimase il simbolo vivente di una tradizione che sembrava destinata a spegnersi, ma che grazie al suo esempio ha continuato a scorrere discretamente anche nei momenti più difficili. Ai giovani balmesi insegnò non soltanto come muoversi in sicurezza tra canali e creste, ma soprattutto un modo di stare in montagna, un’etica fatta di essenzialità, rispetto, silenzio, conoscenza. Non apparteneva più al mondo delle guide alpine ottocentesche, ma ne preservava la sostanza, adattandola alle nuove generazioni.

Superati gli ottant’anni, era ancora salito sull’Uja di Ciamarella, quasi un rito personale, un modo per ribadire che la montagna non è un luogo del passato, ma un territorio con cui dialogare per tutta la vita. Proprio dopo quella salita aveva deciso di donare il suo libretto di guida al piccolo museo di Balme, che raccoglie i cimeli di un’epoca eroica: corde di canapa, chiodi antichi, scarponi consumati, fotografie seppiate. Ora anche il suo nome entra naturalmente in quella memoria collettiva.

Oggi Balme non è più il paese delle cinquanta guide, ma sulle sue montagne nuovi giovani hanno ricominciato a esercitare il mestiere, raccogliendo un testimone che non è mai caduto davvero, proprio grazie alla costanza di Paolo Henry. La sua presenza silenziosa aveva tenuto insieme ciò che rischiava di disperdersi: l’identità profonda di un paese che deve alle sue vette una parte essenziale della propria storia.

Con la sua scomparsa non si chiude solo un capitolo personale, ma un tratto importante della vicenda culturale e alpinistica delle Valli di Lanzo. Resta però il patrimonio immateriale di ciò che ha insegnato: uno stile, un modo di guardare la montagna, la convinzione che il passato non è un museo, ma un’eredità viva, fatta per essere trasmessa.

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