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Cronaca

Maxi controlli nei shisha bar: sequestri, denunce e irregolarità diffuse in tutta Italia

Shisha bar sotto la lente: Nas e Agenzia delle Dogane e dei Monopoli scoprono mancati patentini, tabacchi non tracciati, sequestri e rischi per la salute

Maxi controlli nei shisha

Maxi controlli nei shisha bar: sequestri, denunce e irregolarità diffuse in tutta Italia

L’operazione congiunta dei Carabinieri del Nas e dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha tracciato una mappa nitida di un fenomeno in espansione: quello dei shisha bar, i locali dove si fuma il narghilè, sempre più diffusi nelle grandi città e nei centri di provincia. Una realtà in rapida crescita che, tuttavia, viaggia non di rado su binari irregolari, con lacune amministrative, prodotti non tracciati e una normativa spesso ignorata. I controlli eseguiti in tutta Italia in 73 esercizi hanno portato a 14 denunce all’autorità amministrativa, oltre al sequestro di 22 chili di tabacco, 17 chili di melassa e 44 narghilè completi di bocchini e accessori.

Un bilancio che non sorprende gli investigatori, abituati da tempo a osservare un settore in cui si intrecciano interculturalità, nuove abitudini giovanili e un mercato che muove profitti importanti. L’indagine non parla di maxi-trafficanti né di reti criminali strutturate, ma del sommerso ordinario: quello che si insinua nelle pieghe di attività apparentemente innocue, capaci però di generare un volume di affari considerevole aggirando normative fiscali e sanitarie.

Il punto centrale emerso dai controlli riguarda la carenza del “patentino speciale”, l’autorizzazione obbligatoria per vendere e consentire il consumo di tabacco da pipa ad acqua e melasse per narghilè. In molti casi i titolari dei locali non ne erano in possesso. La legge parla chiaro: senza patentino, la sanzione varia da 5.000 a 10.000 euro, ma se il quantitativo di prodotto detenuto supera i 5 chili, scatta anche la sanzione penale. Ed è proprio sui quantitativi che la situazione è rapidamente precipitata in diversi locali controllati: gli oltre trenta chili complessivi sequestrati raccontano di depositi non improvvisati e forniture ben al di sopra dell’uso quotidiano.

La seconda criticità emersa è la mancanza del contrassegno di legittimazione, indispensabile per attestare che le melasse e i tabacchi siano stati regolarmente immessi sul mercato, tracciati e soggetti al pagamento dell’accisa. L’assenza del contrassegno non è un dettaglio burocratico: significa che il prodotto è fuori dai canali ufficiali, non sottoposto ai controlli previsti e, soprattutto, venduto senza che lo Stato incassi quanto dovuto. Le sanzioni, in questo caso, diventano estremamente pesanti: 5 euro al grammo, con una soglia minima di 5.000 euro e un massimo che raggiunge i 75 mila euro per quantitativi fino a 15 chili. Oltre tale limite, o in presenza di aggravanti, scatta anche la responsabilità penale.

La melassa per narghilè, oggi, non è più un prodotto marginale. Il consumo ha registrato un aumento significativo, trainato soprattutto dalle fasce più giovani e da un’immagine percepita come meno nociva rispetto al tabacco tradizionale. Un’illusione smentita da ricerche scientifiche e campagne sanitarie: il fumo del narghilè, spiegano gli esperti, contiene sostanze dannose per la salute e, in molti casi, livelli di nicotine e catrame paragonabili – o superiori – a quelli delle sigarette. Ma nonostante questo, la sua diffusione è capillare e spesso sottratta ai controlli.

L’operazione dei Nas ha messo in evidenza come molti shisha bar fossero diventati spazi opachi dentro i quali circolavano prodotti privi di etichette, confezioni senza alcuna indicazione sull’origine e narghilè forniti ai clienti senza che fosse garantita la minima tracciabilità dei materiali. Gli stessi bocchini monouso sequestrati, distribuiti senza certificazioni, rappresentano un ulteriore rischio per l’igiene e la sicurezza.

La fotografia scattata dai controlli racconta anche un’altra dinamica: la difficoltà di un settore multietnico, spesso gestito da imprenditori stranieri o seconde generazioni, nel muoversi all’interno di una normativa complessa, che richiede passaggi amministrativi stringenti e un monitoraggio costante delle forniture. Ma le irregolarità riscontrate superano la soglia della mera disattenzione. I quantitativi sequestrati, le modalità di vendita e la sistematicità delle violazioni indicano che in molti casi si trattava di un modello di business fondato sull’elusione fiscale e sulla riduzione dei costi a scapito della legalità.

La relazione dell’Adm evidenzia un dato significativo: la sottrazione all’accertamento dell’accisa, in un comparto come quello dei tabacchi, non solo rappresenta un danno economico per lo Stato, ma alimenta circuiti paralleli che rendono difficile monitorare qualità, origine e sicurezza dei prodotti. La scelta di procedere ai sequestri non risponde quindi a un’esigenza repressiva isolata, ma alla necessità di riportare sotto controllo un mercato cresciuto troppo in fretta, senza gli strumenti necessari per garantirne la regolarità.

A chi osserva dall’esterno, la melassa aromatizzata, i narghilè colorati, i locali pieni di musica e luci possono sembrare un rituale sociale innocuo. E in molti casi lo è. Ma l’inchiesta ricorda che dietro la leggerezza di un fumo condiviso c’è un sistema regolato da norme precise, creato per tutelare i consumatori e impedire che attività non vigilate possano trasformarsi in un serbatoio di evasione e rischio sanitario.

Le verifiche proseguiranno nelle prossime settimane. I Nas e l’Agenzia delle Dogane non escludono ulteriori accertamenti e, soprattutto, un coinvolgimento più ampio del settore. Gli shisha bar, spiegano gli inquirenti, rappresentano una realtà consolidata nella socialità urbana: proprio per questo, riportarli nell’alveo della legalità diventa una priorità, non solo per le violazioni riscontrate ma per la tutela dei clienti che li frequentano, spesso ignari della filiera che si nasconde dietro un semplice narghilè acceso.

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