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Cronaca

Furti in 64 abitazioni tra Torino e collina, quattro condanne: la banda delle auto fantasma smontata in primo grado

Sentenza a carico di un gruppo di origine albanese, mentre l’indagine prosegue sui canali della ricettazione

Furti in 64 abitazioni tra Torino e collina, quattro condanne: la banda delle auto fantasma smontata in primo grado

Furti in 64 abitazioni tra Torino e collina, quattro condanne: la banda delle auto fantasma smontata in primo grado (foto di repertorio)

Un mosaico di soprannomi, auto intestate a prestanome, telefoni “puliti” e una rete capace di piazzare gioielli e orologi nel giro di poche ore. È il quadro che emerge dal processo sui 64 furti messi a segno tra le colline e la città di Torino tra il 2023 e l’inverno 2024. Oggi, 2 dicembre, è arrivato il primo verdetto: quattro condanne, mentre l’inchiesta continua a inseguire gli anelli mancanti della catena.

Il giudice ha inflitto sei anni e un mese a Lali, cinque anni e cinque mesi a Feri, cinque anni e quattro mesi a Riko e un anno e due mesi a una complice indicata negli atti come figura di supporto. Le pene, tutte appellabili, arrivano al termine di un dibattimento in cui la procura — con il sostituto Giuseppe Drammis — aveva chiesto condanne leggermente più severe. A difendere gli imputati erano gli avvocati Antonio Genovese, Rocco Femia e Maria Franca Mastrogiorgio. Per gli altri soggetti individuati e non ancora rintracciati resta, come sempre, la presunzione di innocenza.

Nel cuore dell’impianto accusatorio c’è una lunga sequenza di furti in ville e appartamenti delle zone collinari e di diversi quartieri torinesi, un’azione seriale che ha lasciato per mesi le comunità in tensione. Secondo le ricostruzioni dei carabinieri della Compagnia di Chieri, coordinati dal comandante Vincenzo Bertè, il gruppo operava con un metodo collaudato: auto “di copertura” intestate a prestanome per ridurre i rischi di identificazione, sopralluoghi rapidi, comunicazioni filtrate da soprannomi e una rete di ricettatori pronta a ritirare la refurtiva. È la parte sotterranea del fenomeno, quella in cui bracciali e collane vengono trasformati in denaro liquido o spinti verso mercati esteri, a rendere l’indagine ancora aperta.

Dalle carte emerge la figura di Lali come presunto capo, quella di Feri come autore materiale di molti colpi e il ruolo di Riko tra palo e autista. Spicca anche un elemento che gli investigatori definiscono “di particolare gravità”: uno dei principali imputati, già in semilibertà, avrebbe continuato a rubare durante il giorno per poi rientrare la sera al carcere delle Vallette, incontrando i complici negli stessi dintorni dell’istituto penitenziario. Un dettaglio che tratteggia il grado di spregiudicatezza del gruppo.

Le immagini ricostruite dagli atti mostrano anche un certo stile di vita: una vacanza a Zanzibar per festeggiare i “successi” e un viaggio alle Maldive in via di organizzazione al momento degli arresti. Indizi che, nelle valutazioni dei carabinieri, confermerebbero la regolarità dei profitti accumulati nelle settimane dei furti.

Il procedimento, però, non esaurisce la vicenda. L’indagine sulla ricettazione resta aperta: alcuni componenti della filiera risultano individuati ma non ancora rintracciati. Il tracciamento dei canali che hanno assorbito i beni rubati — un passaggio decisivo per la tutela delle vittime — è tuttora in corso. La mappa dei colpi, ricostruita passo dopo passo dagli investigatori, mostra un’azione metodica che ha sfruttato strade secondarie, vie di fuga, conoscenza del territorio e i vuoti lasciati dai controlli serali nelle zone più isolate.

Con le condanne di primo grado si apre adesso una fase nuova. La difesa valuterà l’appello, mentre la procura continuerà a lavorare sugli irreperibili e sui ricettatori. Resta un dato: l’impatto sul territorio. Tra le comunità collinari e i quartieri più esposti c’è l’attesa di recuperare almeno una parte dei beni sottratti e di vedere chiusa la filiera criminale che, secondo gli atti, ha alimentato per mesi un circuito di furti ad alto rischio e ad alto rendimento.

La sentenza di oggi non chiude la storia, ma ne definisce un segmento. Per il resto, sarà la tenuta dell’impianto probatorio — e la capacità di risalire la catena della ricettazione — a dire quanto questo primo colpo giudiziario riuscirà a incidere su una banda che aveva fatto della velocità e della discrezione il proprio marchio di fabbrica.

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