Cerca

Cronaca

Imam Shahin: la procura aveva già escluso reati nelle sue parole sul 7 ottobre

Oggi l'imam resta in un Cpr in attesa dell'espulsione. La decisione del 16 ottobre riapre il dibattito sul provvedimento del Viminale e sulle tensioni esplose a Torino

Imam Shahin: la procura aveva già escluso reati nelle sue parole sul 7 ottobre

Imam Shahin: la procura aveva già escluso reati nelle sue parole sul 7 ottobre

La frase che da settimane viene citata come chiave dell’intero caso — «quel che è successo il 7 ottobre 2023 non è una violazione, non è una violenza» — non costituiva reato. A dirlo non è un commentatore politico, né una comunità religiosa, ma la procura di Torino. Un dettaglio rimasto sotto traccia nel dibattito pubblico, ma che oggi torna con peso specifico ben diverso: gli inquirenti avevano già archiviato il fascicolo lo scorso 16 ottobre, dopo aver analizzato la segnalazione della Digos sul comizio nel quale l’imam Mohamed Shahin aveva parlato dell’attacco di Hamas. Nessun estremi di apologia, nessuna istigazione: la frase, pur dura e contestata, non presentava gli elementi necessari per aprire un procedimento penale.

Questa circostanza emerge mentre Shahin si trova trattenuto nel Cpr di Caltanissetta, destinatario di un decreto di espulsione firmato dal ministero dell’Interno che, tra le motivazioni, richiama proprio le sue dichiarazioni del 9 ottobre 2023. Un cortocircuito evidente: da un lato un provvedimento amministrativo che considera quelle parole un elemento rilevante per la sicurezza nazionale; dall’altro una procura che, più di un anno fa, aveva stabilito che non vi fossero profili penalmente rilevanti. L’archiviazione, ufficialmente depositata, non è mai entrata davvero nel dibattito pubblico, che negli ultimi giorni si è invece acceso attorno alla figura dell’imam, alla sua storia e ai rapporti tra comunità islamica, istituzioni e piazza torinese.

La notizia dell’archiviazione aggiunge un elemento di complessità alla vicenda proprio mentre si moltiplicano le prese di posizione sulla sua espulsione. Tra le più nette, quella del vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, che in un videomessaggio ha definito «assurdo» un provvedimento basato su opinioni, ribadendo che «in Italia c’è libertà di pensiero» e chiedendo un «regolare processo» per consentire a Shahin di difendersi. Un appello che ha fatto il giro delle comunità locali e che ha contribuito a rendere la vicenda uno dei temi più discussi della settimana in Piemonte.

Intorno al caso si è però sedimentato anche un clima di tensione crescente. A Torino l’arresto dell’imam e il suo trasferimento al Cpr hanno alimentato proteste spontanee, cortei e manifestazioni di piazza. La frangia più radicale ha indicato La Stampa come simbolo di un presunto allineamento al potere, accusando il quotidiano di aver contribuito — secondo loro — alla criminalizzazione di Shahin. Un’accusa infondata, diventata però il detonatore dell’assalto alla redazione di via Lugaro durante lo sciopero generale. Il raid, rivendicato da alcune componenti dell’area autonoma, ha portato a decine di identificazioni e a una condanna unanime di istituzioni e forze politiche.

La posizione della procura, rivelata ora nei dettagli, rimette al centro un interrogativo decisivo: quale sia il confine tra la libera espressione di un’opinione, anche discutibile o controversa, e la valutazione amministrativa di pericolosità sociale. Il decreto di espulsione infatti non si basa solamente sulla presunta rilevanza penale delle parole pronunciate nel 2023 — profilo, come visto, già escluso dagli inquirenti — ma sull’interpretazione complessiva della condotta dell’imam e del suo ruolo all’interno della comunità. La discrezionalità del Viminale in materia di espulsioni per motivi di sicurezza pubblica è ampia, ma la rivelazione dell’archiviazione rende più stretto il margine di giustificazione per un provvedimento che ha già sollevato critiche nel mondo religioso e civile.

La comunità islamica torinese, pur senza iniziative ufficiali, ha espresso preoccupazione crescente, soprattutto per il rischio che il caso possa essere interpretato come un segnale di sfiducia generalizzata. La figura di Shahin, attivo da vent’anni in città e noto per attività di dialogo interreligioso, rappresenta per molti un punto di riferimento. Ciò ha reso l’impatto mediatico del suo trattenimento ancora più rilevante, in un momento in cui il dibattito nazionale è polarizzato dalla guerra in Medio Oriente, dalle tensioni interne ai cortei pro-Palestina e dagli episodi di antisemitismo registrati in diverse città.

Il sindaco di Torino Stefano Lo Russo, pur non entrando nel merito del decreto, ha richiesto attenzione e prudenza per evitare ulteriori tensioni, mentre il prefetto Donato Cafagna ha parlato di un “clima che rischia di cronicizzarsi”, richiamando all’esigenza di distinguere il dissenso dalle azioni violente. Nel frattempo il comitato provinciale ordine e sicurezza continua a monitorare la situazione, soprattutto dopo gli episodi che hanno coinvolto la Città Metropolitana e la redazione de La Stampa, entrambi ricondotti alla stessa area di mobilitazione.

Nell’attesa che la vicenda di Shahin trovi un approdo — con la possibile convalida o sospensione del provvedimento di espulsione — resta il punto sollevato dalla notizia dell’archiviazione: le parole pronunciate dall’imam nel 2023, per quanto controverse, non costituivano reato. È un dato che potrebbe rientrare nel quadro difensivo, ma che soprattutto ridefinisce i confini della narrazione attorno al suo caso, già amplificato da tensioni politiche, proteste e prese di posizione pubbliche.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori