Cerca

Attualità

"Liberate imam Torino": l'appello di oltre 180 prof e ricercatori

Accademici da tutta Italia chiedono la liberazione del religioso trattenuto nel Cpr di Caltanissetta. Tra i firmatari anche l’ordinaria torinese Alessandra Algostino

Mohamed Shahin

Mohamed Shahin

Un appello nato online, condiviso nelle ultime ore da docenti e ricercatori di università di tutta Italia, riporta al centro del dibattito pubblico la vicenda dell’imam Mohamed Shahin, figura di riferimento della moschea Omar Ibn al-Khattab di Torino, oggi trattenuto nel Cpr di Caltanissetta dopo un decreto di espulsione emesso dal Ministero dell’Interno. Le firme raccolte sono già 181, e continuano ad aumentare.

Il testo diffuso dai firmatari si apre con una denuncia netta: «Noi docenti, ricercatori e ricercatrici delle università italiane esprimiamo profonda preoccupazione per la situazione di Mohamed Shahin…» e chiede la liberazione immediata dell’imam. Fra i nomi compare anche quello di Alessandra Algostino, ordinaria di diritto costituzionale all’Università di Torino.

L’appello sottolinea come Shahin sia «da lungo tempo impegnato in pratiche di dialogo interreligioso e cooperazione sociale». In particolare vengono ricordate le testimonianze di «numerose comunità religiose, associazioni civiche e gruppi interconfessionali» che negli anni hanno riconosciuto il suo ruolo nella costruzione di relazioni pacifiche tra diverse componenti della città.

Un capitolo del documento riguarda la biografia politica dell’imam: «È noto che il signor Shahin, prima del suo arrivo in Italia oltre vent’anni fa, era considerato oppositore politico del regime egiziano». Secondo i firmatari, un eventuale rimpatrio forzato lo esporrebbe a rischi concreti di persecuzione, detenzione arbitraria e trattamenti inumani.

La parte più delicata del testo affronta le presunte motivazioni che avrebbero portato alla revoca del permesso di soggiorno, collegandole alle recenti dichiarazioni dell’imam sulla guerra a Gaza: «Le motivazioni appaiono collegate alle sue dichiarazioni pubbliche sulla situazione a Gaza e alle sue posizioni critiche rispetto all’operato del governo israeliano». Se ciò fosse confermato, sostengono i docenti, ci si troverebbe davanti a «un precedente estremamente preoccupante: l’uso di strumenti amministrativi per colpire l’esercizio della libertà di opinione, tutelata dall’articolo 21 della Costituzione e da convenzioni internazionali cui l’Italia aderisce».

La posizione degli accademici si colloca in un contesto politico già molto teso: nelle stesse ore il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi definiva l’irruzione alla redazione torinese de La Stampa un «atto teppistico» e ribadiva la pericolosità di alcuni ambienti radicalizzati, con riferimento diretto al centro sociale Askatasuna.

Alla mobilitazione si è aggiunta la voce di Ilaria Salis, oggi consigliera e attivista. In un post pubblicato sui social, Salis definisce l’espulsione un provvedimento politico e «apertamente discriminatorio». Nelle sue parole:
«Mohamed Shahin… rischia di essere deportato in Egitto, dove verrebbe perseguitato e potrebbe perfino andare incontro alla pena di morte. È una figura stimata da chiunque lo abbia conosciuto. Questo provvedimento non ha nulla a che vedere con la sicurezza, ma è un attacco politico, dai tratti razzisti e islamofobi, con cui un governo sempre più autoritario tenta di punire e intimidire il movimento per la Palestina».
E conclude: «Mi unisco a chi chiede la sospensione immediata di questo atto immotivato e ingiusto».

Un documento ancora più articolato arriva dalla Rete del Dialogo Cristiano-Islamico di Torino, che ha indirizzato un comunicato ufficiale al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al ministro Piantedosi.

La nota esprime «stupore e preoccupazione» per l’arresto e il trasferimento di Shahin al Cpr, sottolineando che il provvedimento sarebbe conseguenza di alcune sue dichiarazioni sul 7 ottobre, poi rettificate e seguite da un comunicato di solidarietà sottoscritto da esponenti di diverse fedi.

Il comunicato insiste sul ruolo dell’imam: «In Italia da oltre vent’anni, lavoratore incensurato, riferimento per la sua comunità e interlocutore nel dialogo interreligioso». Espellerlo significherebbe «compromettere anni di convivenza pacifica» e rappresenterebbe «una minaccia per la sua incolumità».

La Rete ricorda che la moschea di via Saluzzo ha sempre mantenuto un atteggiamento collaborativo, ospitando iniziative aperte a tutte le comunità religiose e laiche di Torino. Il documento chiede dunque che possa «riprendere la sua permanenza in Italia e la sua opera di dialogo e solidarietà».

Fra i firmatari compaiono figure di primo piano: il vescovo di Pinerolo Derio Olivero, il pastore valdese Francesco Sciotto, don Andrea Pacini, esponenti del Sermig, missionari, teologi, e rappresentanti dei centri culturali islamici della città.

La vicenda di Shahin si colloca in un clima già segnato dalle tensioni seguite all’irruzione nella redazione torinese de La Stampa, con accuse e contrapposizioni politiche sul tema della sicurezza e della gestione del dissenso. Ora il centro del dibattito si sposta sui confini fra ordine pubblico, espressione religiosa, opinione politica e diritti fondamentali.

In attesa delle decisioni della magistratura, la mobilitazione attorno all’imam non accenna a fermarsi. E Torino, città da sempre laboratorio di dialogo interreligioso, osserva un caso che divide, preoccupa e interroga il suo equilibrio sociale.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori