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Cronaca
02 Dicembre 2025 - 09:47
Blitz No Vax, vernice e azioni coordinate contro scuole e uffici: a Torino dodici imputati
Vernice rossa lanciata contro ingressi scolastici, scritte contro l’obbligo vaccinale sulle facciate degli uffici pubblici, simboli e slogan sulle sedi sindacali, colpi rapidi e coordinati che nella ricostruzione della procura compongono una trama lunga due anni. È un mosaico che approda oggi nelle aule del tribunale di Torino, dove dodici persone sono accusate non solo di danneggiamenti, ma anche di associazione a delinquere, in un fascicolo che documenta ventiquattro episodi tra l’estate del 2021 e il luglio del 2023, quando il Paese era ancora attraversato dal dibattito acceso sull’obbligo vaccinale introdotto per fronteggiare la pandemia.
Secondo la procura, non si tratta di gesti isolati, né dell’esuberanza spontanea di gruppi occasionali. La lettura investigativa è quella di un disegno comune, una regia che avrebbe trasformato la protesta No Vax in una sequenza di azioni mirate, colpendo luoghi ritenuti simbolici: scuole, sportelli pubblici, presidi territoriali delle organizzazioni sindacali. Edifici scelti non per caso, ma perché identificati — nella narrazione degli indagati — come “avamposti” delle politiche che avevano introdotto obblighi e restrizioni durante la fase più critica dell’emergenza sanitaria.
Nella ricostruzione degli inquirenti il cuore dell’organizzazione sarebbe stato un canale Telegram: “Guerrieri”, chiuso nel 2021. Quello spazio digitale, più che un luogo virtuale di confronto, avrebbe funzionato come un contenitore operativo. Gli atti parlano di una struttura con un leader riconosciuto, protocolli interni, test d’ingresso per selezionare i partecipanti, manuali per agire nella notte senza lasciare tracce, tutorial su materiali e tecniche da utilizzare. Una sorta di grammatica del dissenso estremizzato, che indicava come muoversi, quando intervenire e quali obiettivi colpire.

Da quel canale sarebbero nati gli episodi oggi al centro del processo. Blitz notturni compiuti con vernici spray, funi per arrampicarsi sui tetti, passamontagna, schede telefoniche usa e getta. Strumenti considerati dagli inquirenti parte integrante dell’impianto accusatorio: elementi che dimostrerebbero un coordinamento e una pianificazione incompatibili con la spontaneità.
Ogni episodio di imbrattamento — dalle scritte sui muri delle scuole alle verniciate sulle sedi sindacali — rappresenta un capitolo del fascicolo. Ma ciò che per la procura dà forma all’intero dossier è il presunto filo comune che collega le diverse città, da Torino alla provincia, fino ad altri centri del Nord Italia. La contestazione dell’associazione a delinquere apre infatti un secondo livello, su cui si giocherà la partita processuale: se i gruppi abbiano agito come una struttura stabile, organizzata e dotata di una propria gerarchia interna.
Il giudice dovrà chiarire la tenuta di questa impostazione. L’udienza preliminare proseguirà il 2 febbraio, quando verrà deciso il rinvio a giudizio dei dodici imputati. Sul tavolo ci sono nodi che toccano aspetti giuridici ma anche culturali: la riconducibilità dei ventiquattro episodi a un’unica regia, la portata delle prove raccolte, il confine — spesso sottile — tra dissenso politico e violazione della legge.
Resta, sullo sfondo, una questione più ampia: quale sia il limite oltre il quale la protesta smette di essere legittima e diventa reato. Se la responsabilità penale degli imputati sarà valutata in aula, il caso riporta al centro la fragilità del periodo pandemico, quando la contrapposizione sul vaccino è diventata terreno di scontro simbolico prima ancora che sanitario. Il processo, ora, diventa il luogo in cui quell’energia verrà filtrata, pesata e giudicata, in un contesto che non può prescindere dal principio di presunzione d’innocenza.
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