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Cronaca
01 Dicembre 2025 - 10:19
Addio a Nicola Pietrangeli, il signore del tennis italiano: da Tunisi a Roma, una vita di trionfi, record e rivoluzioni in campo
Nicola Pietrangeli se n’è andato a 92 anni, lasciando un vuoto che nel tennis italiano non potrà essere colmato. Non solo perché è stato il primo azzurro a vincere uno Slam, ma perché per decenni ha incarnato l’idea stessa del giocatore elegante, completo, capace di reggere il passo dei più forti del mondo in un’epoca in cui l’Italia, sulla terra rossa internazionale, era un dettaglio geografico più che una presenza sportiva. La notizia della sua morte arriva poco più di un anno dopo il ricovero per un intervento all’anca, conseguenza di una caduta, e chiude una storia personale e atletica lunga quasi un secolo.
Pietrangeli nasce a Tunisi l’11 settembre 1933, figlio di padre italiano e madre di origine russa. Da bambino si trasferisce a Roma, città che diventerà il suo centro emotivo e sportivo. È lì che affina il suo talento: un tennis naturale, costruito più sulla sensibilità che sulla forza, con quella palla corta diventata marchio di fabbrica e un modo di stare in campo che lo farà amare ben oltre i confini del risultato.
La sua carriera esplode negli anni Cinquanta, quando il tennis internazionale è dominato da personalità fortissime e da scuole tecniche raffinate. Pietrangeli riesce comunque a imporsi e a scrivere un capitolo irripetibile: il 30 maggio 1959 vince il Roland Garros, battendo in finale il sudafricano Ian Vermaak. È il primo italiano nella storia a sollevare il trofeo di uno Slam. Un anno dopo, il 28 maggio 1960, replica: in finale supera il cileno Luis Ayala e diventa il secondo italiano consecutivo a vincere a Parigi… sé stesso.
Sono gli anni in cui tocca il suo miglior ranking: numero tre del mondo, in una classifica che all’epoca veniva stilata dai giornalisti. Il suo palmarès cresce: 48 titoli complessivi, tra cui due volte gli Internazionali d’Italia (1957, 1961) e tre volte il torneo di Montecarlo (1961, 1967, 1968). Nel 1959 vince anche il Roland Garros in doppio insieme all’amico e compagno Orlando Sirola, con cui forma una delle coppie più solide dell’intero decennio.
E poi c’è la Coppa Davis, forse il suo terreno emotivo più autentico. Pietrangeli è ancora oggi il giocatore con il numero più alto di match disputati nella storia del torneo: 164. Il suo bilancio parla di 78 vittorie e 32 sconfitte in singolare, 42 successi e 12 sconfitte in doppio. Numeri che nessun tennista, in nessuna nazionale, è riuscito a replicare. Con la Davis chiude un cerchio che non è solo statistico: nel 1976, da capitano non giocatore, guida l’Italia al suo primo e storico trionfo. Un successo che fissa definitivamente il suo nome nella tradizione azzurra.
Nel 1963 aggiunge anche una medaglia d’oro ai Giochi del Mediterraneo di Napoli, battendo in finale lo spagnolo Manuel Santana, e una di bronzo nel doppio con Sirola. Eppure, Pietrangeli ha sempre raccontato la propria carriera con ironia disarmante: «Se mi fossi allenato di più, avrei vinto di più. Ma mi sarei divertito di meno». Una frase che restituisce lo spirito leggero, quasi bohemien, di un campione che non ha mai separato il talento dalla vita.
Il riconoscimento più prestigioso arriva molti anni dopo: Pietrangeli diventa il primo — e ancora oggi l’unico — italiano inserito nella International Tennis Hall of Fame, l’Olimpo mondiale del tennis.
Il suo racconto si chiude ora, ma il suo nome resta intrecciato per sempre alla storia dello sport italiano. Perché prima di Panatta, prima di Barazzutti, prima della generazione moderna di Berrettini, Sinner e Arnaldi, c’è stato lui: Nicola Pietrangeli, il giocatore che ha dimostrato per primo che un italiano poteva essere competitivo e vincente anche fuori dai confini nazionali. E che sulla terra rossa di Parigi, un ragazzo nato nel Mediterraneo poteva diventare un re.

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