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Cronaca

Assoluzione nel processo Sant’Anna: il manager Luca Cheri prosciolto dalle accuse

Per il tribunale “il fatto non sussiste”: chiuso il caso sulla finta inchiesta contro Acqua Eva

Assoluzione nel processo Sant’Anna: il manager Luca Cheri prosciolto dalle accuse

Assoluzione nel processo Sant’Anna: il manager Luca Cheri prosciolto dalle accuse (immagine di repertorio)

Si chiude con un verdetto netto il processo sulla vicenda che negli ultimi anni aveva agitato il settore delle acque minerali italiane. Il Tribunale di Cuneo ha assolto Luca Cheri, direttore commerciale di Acqua Sant’Anna, accusato di diffamazione e turbata libertà del commercio. La formula è la più ampia: “perché il fatto non sussiste”. Con lui era imputato anche Alberto Bertone, storico amministratore delegato dell’azienda di Vinadio, la cui posizione si era estinta dopo la morte avvenuta l’11 novembre.

Il procedimento nasceva dal ruolo attribuito ai due dirigenti nella pubblicazione di una finta inchiesta diffusa da una sedicente testata di settore, nella quale venivano insinuate presunte collusioni tra Lidl e Acqua Eva, marchio della concorrenza prodotto a Paesana. L’articolo, in realtà, era stato materialmente scritto da Davide Moscato, giovane dipendente torinese del gruppo Mia Beverage — la società che controlla Sant’Anna — che in aula aveva puntato il dito proprio contro i suoi datori di lavoro.

Secondo la ricostruzione portata dai Pm, Cheri e Bertone avrebbero ispirato la redazione del pezzo, poi diffuso online come se fosse il frutto di un’indagine giornalistica indipendente. In aula, Moscato ha confermato di aver agito su input ricevuti dall’azienda. Il direttore commerciale ha riconosciuto la volontà, sua e dell’ad, di «togliersi un sassolino dalla scarpa», negando tuttavia di aver dettato l’articolo. Una linea confermata, prima della sua morte, anche da Bertone, che aveva ammesso di conoscere l’iniziativa ma non di avervi preso parte operativa.

La parte civile, rappresentata da Acqua Eva, aveva quantificato un presunto danno di oltre 11 milioni di euro, sostenendo che quel “gossip commerciale” avrebbe portato alla perdita di contratti, in particolare con Coop. Una ricostruzione che i difensori degli imputati hanno sempre contestato, sottolineando l’assenza di effetti concreti sul mercato e la fragilità del nesso causale con la pubblicazione.

Il giudice ha accolto le tesi della difesa: l’impianto accusatorio non ha retto e per Cheri è arrivata l’assoluzione piena. La vicenda si chiude dunque senza responsabilità penali, mentre resta l’ombra di una prassi comunicativa disinvolta, emersa solo grazie alla testimonianza del giovane autore del testo.

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