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Cronaca
24 Novembre 2025 - 18:35
L'assessore Federico Riboldi e il direttore Tranchida
La mattinata in corso Bramante è stata tutto fuorché ordinaria. Gli uomini del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza si sono presentati negli uffici della Città della Salute e hanno portato via il bilancio 2024 insieme a una corposa serie di documenti amministrativi. Un intervento che non nasce dal nulla, ma da un preciso ordine della Procura di Torino, che continua a scandagliare la gestione economica e contabile della più importante azienda ospedaliera piemontese.
Da settimane, infatti, in sedici — tra direttori generali, sanitari e amministrativi — sono stati rinviati a giudizio per falso in bilancio e danno erariale. Secondo la Procura di Torino, per un intero decennio – dal 2013 al 2023 – l’azienda avrebbe costruito bilanci “creativi”, trasformando crediti inesigibili in incassi e cancellando fondi per far quadrare i conti.
Il dito è puntato su un ammanco che sarebbe stato alimentato dai mancati versamenti della cosiddetta quota Balduzzi, il 15% dei compensi dell’attività privata intramoenia che i medici avrebbero dovuto riversare all’azienda, oltre ad altri crediti mai riscossi.
L’operazione si inserisce proprio in questo quadro. I sostituti procuratori Mario Bendoni e Giulia Rizzo, coordinati dal procuratore capo Giovanni Bombardieri, hanno aperto un nuovo fascicolo: un modello 45, cioè un registro senza indagati né ipotesi di reato, ma utile ad approfondire elementi emersi durante l’udienza preliminare chiusa lo scorso 20 novembre. In particolare si vuole far luce su un documento: la relazione redatta da Davide Di Russo, incaricato da Città della Salute in vista dell’approvazione del bilancio.
Quel parere — consegnato il 31 ottobre, otto giorni dopo l’incarico — sostiene che i 1,73 milioni di euro del Fondo Balduzzi relativi alle prestazioni intramoenia e mai riscossi non possono essere considerati né come un credito esigibile né come un diritto dell’azienda. Di conseguenza, secondo questa ricostruzione, non solo sarebbe stata errata la formulazione del capo d’imputazione costruito dal pm Paolo Gherpelli, ma l’azienda stessa non avrebbe avuto titolo per pretendere quelle somme.
È proprio in forza di questa lettura che il direttore generale Liliana Tranchida, lo scorso 4 novembre, aveva presentato in conferenza stampa un bilancio 2024 “ripulito” da quel credito, decidendo di depennare l’intero importo dal rendiconto. Una scelta che la Procura ora vuole verificare da vicino. Non a caso, la consulenza Di Russo non è entrata nel fascicolo processuale: i magistrati hanno ritenuto necessario esaminarla autonomamente nell’ambito dell’“inchiesta bis”.
Il nodo politico-amministrativo è tutt’altro che marginale. L’accordo sindacale cui l’azienda avrebbe dovuto attenersi — siglato con Anaao Assomed — porta le firme dell’allora direttore generale Gian Paolo Zanetta e del direttore amministrativo Andrea Bosano. Ma a mancare sarebbero le deliberazioni aziendali che avrebbero dovuto recepire quel documento: un vuoto che pesa, perché proprio su quel regolamento del 2014 si gioca la legittimità della trattenuta del 5% sulle prestazioni private dei medici. In altre parole: senza un regolamento formale, quel credito potrebbe non essere mai esistito.
Ed è qui che i due binari — quello giudiziario e quello amministrativo — tornano a sovrapporsi. L’assessore regionale Federico Riboldi, nelle scorse settimane, aveva indicato il dossier Tranchida come la chiave per chiudere la vicenda, annunciando tempi rapidi per la validazione del bilancio. Ma il passaggio del fascicolo dalle mani dell’azienda a quelle delle Fiamme Gialle cambia completamente la prospettiva: ciò che sembrava “chiarito” dovrà ora essere controllato, verificato, scomposto e ricomposto dalla magistratura.
Una circostanza che stride con le volontà politiche di accelerare e che invece richiama le parole dell’ex commissario Thomas Schael, che aveva promesso una verifica «senza scorciatoie». Promessa che oggi suona quasi profetica: mentre la Regione attende il parere del collegio sindacale — arrivato nelle ultime ore — la macchina amministrativa rallenta, e quella giudiziaria accelera.
Non serve essere profeti per capire che questa storia non è affatto prossima alla conclusione. Anzi: l’ingresso delle Fiamme Gialle in corso Bramante dice che il capitolo più significativo potrebbe essere appena iniziato. Anche perché il processo ai sedici imputati partirà il 5 febbraio, e sarà proprio lì, tra perizie e numeri, che si misurerà il peso reale di quei 1,73 milioni che oggi dividono accusa e difesa, azienda e magistratura, politica e contabilità.
Il danno ipotizzato dalla Procura di Torino nel primo filone di indagine, oscilla, secondo ricostruzioni diverse, dai 7,3 milioni contestati in sede penale ai 10 milioni della documentazione più recente, fino a stime tecniche che parlano perfino di 120 milioni nel complessivo arco temporale. Una forbice che fa venire il mal di testa, ma che conferma una cosa: quando i numeri non sono veri, tutto il resto si sfalda.
Il sistema, dicono gli inquirenti, era semplice. Semplice e geniale, se non fosse illegale: si prendevano i questionari Alpi – quelli che servono per monitorare la libera professione – e li si “aggiustava”. Un ritocchino qui, un numero abbellito là, una dichiarazione un po’ più brillante rispetto alla realtà.
Il risultato? Una fotografia impeccabile, peccato che fosse scattata con Photoshop. A compilare quei documenti c’era Davide Benedetto; ad avallarli Rosa Alessandra Brusco; a firmarli e mandarli a Torino e Roma i direttori generali Gian Paolo Zanetta, Silvio Falco e Giovanni La Valle. Tutti oggi imputati. Ma la domanda non è “chi firmava”: la domanda è “chi non lo sapeva?”. Secondo la procura, praticamente nessuno.
Il danno stimato è di circa 10 milioni di euro, di cui 7,5 legati alla libera professione intramoenia e alla mancata applicazione del decreto Balduzzi, che prevedeva una trattenuta del 5% a favore dell’azienda sanitaria. Una trattenuta che, secondo l’accusa, non è mai stata versata.
E infatti i numeri “creativi” non si fermavano certo al maquillage formale: nel 2014 l’azienda dichiarava di possedere una contabilità analitica da manuale universitario, così sofisticata da distinguere ogni singola voce di costo. Peccato che, dicono i pm, non esistesse. Dal 2015 al 2020 veniva certificata la presenza di un organismo di verifica dell’attività intramoenia: peccato che abbia funzionato solo nel 2017. Quanto alla trattenuta del 5% prevista dalla Balduzzi, dichiarata come applicata per anni, la procura è lapidaria: non era vero.
Durante la prima udienza preliminare, la Regione Piemonte si è costituita parte civile – e paradossalmente anche responsabile civile. Insieme a lei si sono schierati i sindacati dei medici Anaao Assomed, Aaroi-Emac, Cimo e persino l’attuale dirigenza della Città della Salute, che oggi si proclama “parte lesa” dalle gestioni precedenti. Tutte richieste accolte dal giudice. È la scena surreale di una sanità che litiga con se stessa: chi ieri avallava, oggi chiede i danni; chi un anno fa sosteneva la solidità dei conti, ora ringhia in tribunale per esserne stato tradito.
Gli imputati? Una lista che sembra più la scaletta di un congresso di management sanitario che la consegna degli avvisi di garanzia: Giovanni La Valle (oggi Asl To3), Gian Paolo Zanetta (Cottolengo), Silvio Falco, Beatrice Borghese, Nunzio Vistato, Valter Alpe (ora ad Alessandria), Rosa Alessandra Brusco, Davide Benedetto, Maria Albertazzi. Con loro anche il collegio sindacale, che secondo la Procura avrebbe “omesso di vedere”: Alessia Vaccaro, Renato Stradella, Paolo Biancone, Andreana Bossola, Giacomo Buchi, Andrea Remonato e Giuseppe Antonio Giuliano Stillitano. Insomma, una formazione completa: primari, dirigenti, tecnici, sindaci revisori. Si potrebbe quasi organizzare un convegno sul tema: “Come non controllare un bilancio sanitario”.
La prima udienza del processo è fissata per il 5 febbraio 2026, ma il terremoto contabile ha già prodotto le sue scosse. Nel bilancio 2024 il fondo Balduzzi è stato “cancellato” perché “erroneamente iscritto” negli anni passati.
La sensazione è che si navighi a vista, con il timone fermo e lo sguardo rivolto non ai conti, ma al calendario giudiziario.

L'assessore regionale alla sanità e l'ex commissario Thomas Schael
Ed è qui che torna un nome che molti speravano di aver archiviato: Thomas Schael. Fu lui, da commissario straordinario della Città della Salute, a bloccare l’approvazione del bilancio 2024. Non per capriccio, ma perché dopo un’analisi interna aveva scoperto un abisso tra conti ufficiali e realtà: un passivo che, secondo alcune ricostruzioni, sarebbe passato da –41 a oltre –55 milioni in poche settimane. Schael parlò apertamente di disordine amministrativo, di numeri ballerini e di una struttura incapace di garantire trasparenza e controllo. Aveva visto giusto. E aveva scelto di non firmare un documento che avrebbe potuto aggravare la situazione contabile, rendendo l’azienda ancora più vulnerabile – non solo sul piano economico, ma anche giudiziario e politico. Poi è arrivato il cambio di guardia, la Regione ha nominato Tranchida e Schael è stato liquidato come “troppo rigido”. Ma oggi, alla luce dei fatti, quella rigidità sembra avere un altro nome: lungimiranza.
Il paradosso è disarmante: la stessa Regione che si costituisce parte civile contro chi avrebbe falsificato i conti, aveva criticato chi quei conti si era rifiutato di firmarli. E così, mentre si tenta di riscrivere la storia contabile della sanità piemontese, i cittadini continuano a pagare il conto.
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