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Cronaca
07 Novembre 2025 - 19:38
"Mara non si è suicidata": la famiglia si oppone all’archiviazione e chiede nuove indagini (foto di repertorio)
Non accettano la parola fine. Per la famiglia di Mara Favro, la donna scomparsa tra il 7 e l’8 marzo 2024 in Valle di Susa e ritrovata senza vita un anno dopo in un dirupo a Gravere, non si è trattato di suicidio, ma di qualcosa di diverso, ancora da chiarire. Per questo i familiari, assistiti dall’avvocato Roberto Saraniti, si sono opposti alla richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Torino, chiedendo che il fascicolo non venga chiuso e che vengano disposti nuovi accertamenti.
L’istanza è stata depositata in tribunale, dove ora sarà un giudice a stabilire se riaprire il caso. L’udienza, come previsto, si svolgerà a porte chiuse. “Mara non era depressa – ribadisce la famiglia – e non ci sono elementi che possano far pensare a un gesto volontario”.
La donna, affetta da disturbo bipolare, era seguita da uno specialista, ma secondo la difesa non manifestava segnali preoccupanti. L’ultimo colloquio medico risaliva al gennaio 2024, e lo psichiatra, stando ai documenti, non aveva rilevato particolari criticità. Anche i vicini di casa, che l’avevano vista nei giorni precedenti alla scomparsa, l’hanno descritta come “allegra, sorridente, mentre ballava pulendo casa con la musica ad alto volume”. Un profilo, sostengono i familiari, incompatibile con l’ipotesi di suicidio.
Il legale chiede di disporre una perizia psichiatrica sulla documentazione clinica per chiarire definitivamente se Mara potesse essere in grado di compiere un gesto anticonservativo. Ma il punto centrale dell’opposizione riguarda la ricostruzione dei movimenti della donna e alcuni elementi tecnici mai approfonditi.
Secondo gli atti, la notte della scomparsa Mara stava tornando a piedi da Chiomonte, dove lavorava in una pizzeria, verso la sua casa a Susa. Per ragioni mai chiarite, decise di imboccare una scorciatoia nei boschi, un tratto isolato che attraversa un casolare abbandonato, noto nella zona per essere frequentato da coppie. Lì, secondo i dati delle celle telefoniche, si sarebbe fermata per oltre due ore e mezza, utilizzando il cellulare in modo costante, con diverse applicazioni attive. Poi, il silenzio.
Il telefono di Mara non è mai stato ritrovato. È proprio su questo punto che la difesa insiste: la necessità di recuperare le tracce digitali e di approfondire eventuali messaggi scambiati su piattaforme diverse da WhatsApp, mai analizzate in modo completo. L’avvocato chiede inoltre di esaminare i dispositivi di due uomini, entrambi non indagati, che avrebbero avuto contatti con la donna quella sera. Dai tabulati risulta che uno di loro la chiamò più volte nelle ore immediatamente precedenti alla scomparsa. Dettagli che, per la famiglia, potrebbero aprire nuove piste e spiegare le anomalie della ricostruzione.
La Procura di Torino, nelle scorse settimane, aveva chiesto di archiviare il caso, ritenendo che non esistano elementi sufficienti a sostenere un’accusa di omicidio. Ma i parenti di Mara non si arrendono. “Servono nuove indagini”, ribadiscono, convinti che la verità non sia ancora emersa e che la versione ufficiale lasci troppe zone d’ombra.
Il corpo della donna, rinvenuto un anno dopo in una scarpata, non presentava segni evidenti di violenza, ma l’autopsia ha descritto numerose fratture compatibili con una caduta da grande altezza, senza però chiarire se si sia trattato di un gesto volontario, di un incidente o di una spinta. Restano inoltre da approfondire i dati delle celle che collocano Mara in un’area diversa rispetto al punto in cui è stata ritrovata, e la sparizione completa del cellulare, un elemento che continua a pesare come una domanda inevasa.
Inoltre, secondo quanto emerso, la sera della scomparsa la donna avrebbe ricevuto più di una chiamata dal titolare della pizzeria dove lavorava e da un ex collega, le cui versioni sui contatti con lei non coincidono. Entrambi risultano non indagati, ma le incongruenze nei racconti e la coincidenza temporale delle comunicazioni rendono la loro posizione di interesse per la difesa.
Il ritrovamento del corpo, avvenuto nel marzo 2025, in un dirupo profondo sessanta metri tra Gravere e Susa, aveva riacceso la speranza di una spiegazione. Ma la perizia medico-legale non ha risolto i dubbi. Gli investigatori hanno parlato di “traumatismo da precipitazione”, ma senza poter stabilire la dinamica della caduta.
“Mara non si è tolta la vita. Non avrebbe lasciato la figlia né la madre senza un segno”, ripete la famiglia. Per loro, la donna potrebbe essere stata inseguita, spinta o coinvolta in un episodio di violenza. Da qui la richiesta di non archiviare e di ripartire dai tabulati, dai video di sorveglianza della zona e dal percorso tracciato dalle celle telefoniche.
La Valle di Susa resta sospesa tra dolore e mistero. A distanza di mesi, la vicenda di Mara Favro continua a interrogare gli inquirenti e l’opinione pubblica. Il caso, che sembrava avviarsi verso la chiusura, torna invece a far rumore. E forse, come sperano i familiari, a riaprire una strada verso la verità.
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