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Borgo D'Ale
14 Novembre 2022 - 11:45
La casa di riposo “La Quercia”
E’ alle battute finali il processo per la vicenda che interessò due anziani ricoverati nella casa di riposo “La Quercia” di Borgo d’Ale. La scorsa settimana ci sono state le arringhe degli avvocati difensori dei responsabili della struttura, gestita dalla “Sereni Orizzonti”, secondo i quali «i capi d’accusa sono costruiti su un teorema che non trova riscontro nelle fonti di legge e nemmeno nelle deposizioni di chi si è seduto al banco dei testimoni». Chiedono assoluzioni con formula ampia i legali dei quattro dipendenti e del medico, all’epoca direttore sanitario, della Rsa.
Le arringhe, durate quasi sei ore, sono state dedicate per la gran parte a smontare l’imputato accusatorio con il quale la Procura ha ottenuto il rinvio a giudizio degli imputati, considerati responsabili della presenza di larve nella tracheotomia e nell’innesto della peg di due anziani non autosufficienti, morti nell’estate 2018 a distanza di poche settimane l’una dall’altro. Le accuse sono maltrattamento e abbandono di incapace.
Agli imputati vengono contestate condotte omissive: non aver fatto quanto era in loro potere per evitare situazioni di disagio e sofferenza ai due ricoverati. E proprio su questo tema si sono concentrati i legali nelle rispettive arringhe.
Di un impianto accusatorio costruito «piegando la norma e il diritto», ha parlato l’avvocato Roberto Capra, difensore di Denise Deriva, una dei due capi area di “Sereni Orizzonti” che si succedettero nel periodo preso in esame dall’inchiesta. Precisando che la sua cliente si occupava di amministrazione e rapporti con le Asl, il legale ha fatto notare come «ai cinque imputati vengano contestate solo condotte omissive e nessuna condotta commissiva: nel capo d’imputazione non viene indicato chi doveva fare cosa e, di conseguenza, è impossibile giungere all’individuazione corretta delle posizioni di garanzia».
Un tema, quest’ultimo sul quale hanno insistito tutti i legali. In particolare Simone Giacosa, difensore di Valentino Bortolussi, all’epoca legale rappresentante della “Sereni Orizzonti”: «Nel capo di imputazione la posizione di garanzia viene data per scontata. Ma se non viene individuato chi ha materialmente commesso il presunto maltrattamento è impossibile individuare anche chi abbia omesso di controllarne l’attività».
Altro tema toccato nelle arringhe quello del mancato adeguamento della struttura alle prescrizioni della commissione di vigilanza dell’Asl. «Il verbale del 4 luglio 2018 nel quale viene rilevata l’assenza di zanzariere – ha detto Capra – viene notificato a “Sereni Orizzonti” il 20 settembre, quindi dopo il periodo di contestazione dei fatti. E non è vero che, nel marzo 2019, dopo l’ispezione dei Nas, viene sospeso il titolo autorizzativo al funzionamento della casa di riposo: vengono sospesi i nuovi inserimenti, ma i circa 200 ospiti presenti in struttura continuano a restare lì e ad essere seguiti. Peraltro, rispetto alle parti offese, l’inadempimento alle prescrizioni Asl non incide in alcun modo perché i due anziani erano deceduti ben prima che la società ricevesse il verbale d’ispezione».
Di un «processo mediatico» ha parlato l’avvocato Salvatore Mirabile che rappresenta l’allora direttore sanitario Giuseppe Santamaria: «Le condotte contestate al mio cliente attengono a compiti di tipo infermieristico: ma non era lui a doverli svolgere. E’ stato scelto di mettere sotto accusa la società piuttosto che accertare le responsabilità di chi, materialmente, doveva occuparsi dei due anziani».
Sulla presenza delle larve di insetto, poi, i legali hanno ricordato l’episodio citato da loro consulente, il medico legale Lorenzo Varetto, relativo a un fatto analogo che si era verificato nella terapia intensiva dell’ospedale di Casale e gli esiti delle perizie richieste dalla Procura che esclusero un nesso tra la morte dei due anziani e la presenza delle larve.
Il riferimento normativo, che secondo tutti i legali doveva essere preso a riferimento dalla Procura, è la Dgr 2012 che definisce i requisiti per gli accreditamenti delle Rsa e le competenze di direttore di struttura e direttore sanitario. Una norma che sarebbe stata rispettata, secondo quanto ha evidenziato l’avvocato Alessandro Scheda, da Elisa Cattaneo, responsabile del presidio: «La mia assistita ha spiegato chiaramente quali fossero i suoi compiti e come li ha svolti. Tutte le contestazioni attengono all’ambito infermieristico che non era di competenza del direttore di struttura, visto che il servizio era appaltato a una società esterna».
Richiesta di assoluzione con formula ampia anche per Sergio Vescovi, che aveva preceduto Deriva nell’incarico di responsabile di area. «Vescovi si occupava di gestione del personale – ha rilevato il suo legale, Andrea Corsaro – non aveva competenze o poteri decisionali in materia sanitaria né sul tema di un’eventuale ristrutturazione dell’immobile. Non aveva alcun rapporto con i pazienti, non li conosceva: manca dunque l’elemento volontario per contestare il reato di maltrattamenti e abbandono di incapace. Quando si verificò il secondo caso delle larve Vescovi era in ferie e al rientro si sarebbe poi occupato di un progetto del tutto diverso. Non era presente al momento dell’ispezione dell’Asl né ha mai ricevuto il verbale di sopralluogo: come poteva intervenire?».
Tutti i legali hanno anche rigettato le richieste di risarcimenti avanzate dalle parti civili: il consorzio Cisas e la figlia di uno dei pazienti morti. Nei confronti dei cinque imputati, l’accusa aveva chiesto pene variabili tra i 2 anni e i 3 anni e sei mesi di reclusione, per un totale di 13 anni.
Prima della sentenza è prevista un’ulteriore udienza dedicata alle repliche.
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