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SETTIMO TORINESE. Torri Gemelle

SETTIMO TORINESE. Torri Gemelle

New York City - 11 Settembre

SETTIMO TORINESE. L’11 settembre di vent’anni fa, osservando impotenti il nostro mondo crollare, non solo letteralmente, ci siamo resi conto che l’America non è poi così lontana da Settimo. Ricordate la nostra città quel pomeriggio? Non girava un’anima, sembrava di essere a metà agosto e non a metà settembre, tutti implaccati davanti alla Tv a cercare di capire se era un film, un racconto di George Orwell o di Orson Welles, o chissà cos’altro.

Abbiamo capito subito che il destino dell’America cambiava quel giorno, e insieme cambiava anche il nostro, perché l’America siamo noi, ciò che accade là arriva qui, le passioni, la politica, le libertà sono le stesse. Le Torri gemelle ci hanno raffigurato vulnerabili, ci hanno detto che non a tutti piace il nostro stile di vita, e che le crociate, o guerra santa che sia, da noi roba vecchia, altri le vogliono ancora fare.

Le due torri sono andate giù sotto i colpi di un pensiero diverso, di una filosofia di vita lontana dalla nostra. Gli americani l’hanno messa subito sulla rissa, e noi con loro. Prima abbiamo attaccato l’Iraq, che non ne poteva niente, poi l’Afghanistan, che ne poteva poco.

E se in Irak abbiamo quantomeno fatto fuori un dittatore (più un banfone, però), il secondo si è dimostrato un osso duro, come già in passato, tant’è che le grandi potenze lì attorno, India, Cina, Pakistan, tutte armate di atomica, non hanno mai provato a invaderlo.

Dopo le Torri gemelle di casini ne abbiamo visti altri: il cinema e la scuola di Mosca, il giornale Charlie Hebdo di Parigi, le metropolitane di Madrid e Londra, la scuola in Norvegia, il teatro Bataclan, di nuovo a Parigi. I soli grandi paesi europei risparmiati dalla follia terrorista sono Italia e Germania: o quei matti hanno paura del nostro comune (infelice) passato, o ci è andata di culo.

Ora, a vent’anni dal disastro delle Torri, che si fa? 

Secondo me, è venuto il momento di dichiararsi la pace. Ha ragione chi tenta la strada del dialogo, anche se a qualcuno la guerra conviene. Era così già al tempo dei Fenici e degli Assiro-babilonesi, figuriamoci oggi. È per questo che la guerra, per anni, ha tirato più di Rocco Siffredi. Oggi sono necessari donne e uomini di pace, è l’unica strada che abbiamo.

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