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04 Marzo 2020 - 12:08
La Storia si ripete, lo dicevamo la volta scorsa. Cambia il mondo che ci circonda, cambiano le mode, cambiano le conoscenze scientifiche, ma a rileggere i documenti del passato ti accorgi che in fondo in fondo l’uomo resta sempre uguale a sé stesso, con le sue emozioni, i suoi sentimenti e le sue paure.
Sempre lo stesso, quando la sofferenza, o addirittura la morte, incombono nella vita di tutti i giorni sotto forma di qualche epidemia sconosciuta, ogni volta con un nome diverso, ogni volta ostinata a sfidare la scienza, le nostre certezze mediche. Con la fantasia, facciamo un passo indietro.
Siamo nel 1654 a Chivasso. La città è in ginocchio, reduce da un ventennio terribile. Stritolata dalla guerra civile tra la reggente del Regno di Savoia, Maria Cristina di Borbone, ed i suoi cognati che rivendicano il legittimo diritto al trono, Chivasso è stata più volte assediata dalle truppe francesi e da quelle spagnole intervenute, di volta in volta, a sostegno ora dell’uno ora dell’altro dei due contendenti.
Depredata dalle soldatesche, con le case rase al suolo dalle cannonate ed i cittadini che muoiono di fame, la città sta attraversando uno dei periodi più difficili della sua storia. Come se la guerra non bastasse, improvvisamente, nel 1654 a Chivasso, Mandria, Mazzè e Caluso scoppia il colera. Il medico chivassese Giuseppe Marchiandi, nel suo trattato “Il Cholera Occidentale a Chivasso”, ce ne ha lasciato una dettagliata testimonianza. “I cittadini di Chivasso tremavano ben a ragione. In 15 giorni tre persone colpite da sbalordimento (svenimento), diarrea e raffreddamento cutaneo (ipotensione arteriosa) morirono poche ore dopo il salasso e il solfato di chinino, ma non si osò far diagnosi di malattia contagiosa e tutto passò al battesimo (non fu trapelato nulla).” La reticenza a parlare delle sciagure, evidentemente, non l’hanno inventata i Russi al tempo di Chernobyl…
Allora come oggi le autorità, con i mezzi e le conoscenze a disposizione in quell’epoca, si adoperano per limitare il contagio: “Saputo che a Caluso c’era veramente il colera il volgo s’agitò, si raccolse in crocchi, fu arroso (invitato) di cibarsi di un vitto quasi esclusivo vegetale e di frutti acquosi. La Credenza (antenata dell’attuale Giunta Comunale) provvide al bisogno dei malati: si curò di sapere se gli individui affetti si fossero recati in quei luoghi; inviò due medici per osservare le disposizioni prese, onde trarne partito per via di tutto questa Città; provvide a nettare vie e rivi; a creare un lazzaretto con 20 letti; a tenere aperta la farmacia dei poveri con un sanitario presente; a dare la giusta tangente ai medici;a dividere la città in sezioni assistenziali; a proibire il suono delle campane e partecipare ai funerali…” Furono efficaci le precauzioni adottate? Come reagì la gente comune? E quanti chivassesi morirono? Ne parliamo martedì prossimo.
In collaborazione con il dottor Gino Angelo Torchio
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