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31 Dicembre 2025 - 07:52
Gaza: l'inferno. Fogne collassate, ospedali a metà e aiuti bloccati nonostante il cessate il fuoco
All’alba, l’acqua grigia del lagunaggio di Sheikh Radwan spinge contro gli argini di terra, sprigiona un odore acre e filtra nelle baracche di fortuna. Con le piogge di dicembre il livello è salito fino a sfiorare i 2,2 metri: per tenerlo sotto controllo servono migliaia di litri di carburante ogni giorno, mentre le pompe lavorano senza sosta. È un dato tecnico che racconta un quadro più ampio. In tutta Gaza, l’inverno sta trasformando macerie e tende in trappole di fango, mentre una rete idrica e fognaria in gran parte collassata riversa liquami nei quartieri abitati. In questo contesto, dieci governi hanno scelto di usare parole nette: la situazione resta “catastrofica”.
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Il 30 dicembre 2025 i ministri degli Esteri di Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Islanda, Giappone, Norvegia, Svezia, Svizzera e Regno Unito hanno diffuso una dichiarazione congiunta che individua tre priorità operative: accesso umanitario senza ostacoli, ripristino dei servizi essenziali, protezione dei civili. Il testo richiama dati precisi: 1,3 milioni di persone hanno bisogno urgente di assistenza abitativa, più della metà delle strutture sanitarie funziona solo parzialmente e il collasso delle fognature espone circa 740.000 persone al rischio di “inondazioni tossiche”. È un linguaggio insolito per un documento multilaterale e segnala che, nonostante il cessate il fuoco entrato in vigore a ottobre 2025, l’intervento umanitario non ha ancora raggiunto una scala adeguata.
Mentre arrivava il monito delle dieci capitali, Israele annunciava nuove restrizioni per le organizzazioni umanitarie attive a Gaza. Senza l’invio entro fine anno delle liste del personale palestinese, dal 1 gennaio 2026 le organizzazioni interessate non potranno più operare e dovranno cessare ogni attività entro il 1 marzo 2026. Nel mirino è finita anche Medici Senza Frontiere (MSF – Médecins Sans Frontières), accusata da un ministero israeliano di impiegare persone con presunti legami con gruppi armati, accuse respinte dall’organizzazione. Tel Aviv sostiene che il provvedimento riguardi circa il 15% delle organizzazioni non governative e che l’impatto sia limitato. Le agenzie umanitarie ribattono che l’obbligo di fornire elenchi dettagliati del personale espone operatori locali e internazionali a rischi legali e di sicurezza e rende ancora più fragile una catena degli aiuti già sotto pressione. La conseguenza pratica è immediata: meno squadre mediche, meno logistica, meno protezione in un territorio dove i bisogni restano enormi.
Le piogge di dicembre hanno colpito decine di migliaia di famiglie, aggravando la precarietà di tetti in nylon, teli e legno recuperato. Tra il 21 e il 27 dicembre, i partner del Shelter Cluster hanno raggiunto quasi 21.000 nuclei familiari con materiali d’emergenza, ma la domanda supera di gran lunga l’offerta. Per chi vive tra i ruderi o in campi improvvisati, ogni temporale significa infiltrazioni, umidità, ipotermia per anziani e bambini, cortocircuiti e incendi accidentali. I soccorsi procedono, ma il dato strutturale resta: 1,3 milioni di persone necessitano di soluzioni abitative dignitose e stabili, insieme a drenaggi funzionanti e a forniture continue di carburante per pompe e generatori che alimentano pozzi e ospedali.
Il collasso dei servizi idrici e fognari è uno degli aspetti meno visibili dell’emergenza. Quando le fogne non reggono, l’acqua di falda si contamina, le latrine traboccano e aumentano le malattie diarroiche e cutanee. I campi allagati diventano terreno fertile per zanzare e infezioni. Con circa 740.000 persone esposte a inondazioni di liquami, l’accesso all’acqua potabile resta intermittente e le agenzie delle Nazioni Unite (ONU – Organizzazione delle Nazioni Unite)sono costrette a costruire drenaggi d’emergenza e a portare cisterne dove la rete non arriva. Senza sanificazione e smaltimento dei reflui, ogni miglioramento su nutrizione o alloggio resta parziale.
Gli ultimi aggiornamenti dell’ONU e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS – World Health Organization) convergono su un punto: più della metà delle strutture sanitarie di Gaza è solo parzialmente funzionante, mentre altre restano chiuse o danneggiate. In alcune giornate recenti non risultava operativo neppure un ospedale a pieno regime. La funzionalità varia in base alla sicurezza, alla disponibilità di carburante e all’arrivo di forniture mediche. Con migliaia di feriti che necessitano di riabilitazione e cure a lungo termine, la capacità complessiva resta ben al di sotto del fabbisogno.
Anche le evacuazioni mediche mostrano i limiti del sistema. Dall’inizio del 2025, l’OMS segnala trasferimenti scortati verso l’Egitto o altri Paesi per casi complessi, ma migliaia di persone restano in lista d’attesa. La capacità ridotta dei valichi, la necessità di coordinare permessi e la carenza di ambulanze rallentano operazioni che spesso procedono più lentamente dell’evoluzione clinica dei pazienti. L’OMS chiede di ripristinare e accelerare i canali anche verso la Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, dove è concentrata parte dell’assistenza specialistica.
Il comunicato dei dieci governi richiama anche l’insicurezza alimentare. Il sistema IPC (Integrated Food Security Phase Classification) segnala un lieve miglioramento rispetto ai rapporti di agosto 2025, ma la situazione resta critica per ampie fasce della popolazione, con accesso irregolare al cibo e prezzi elevati. Sul fronte dell’istruzione, la riapertura avviene in forma ridotta attraverso Spazi di Apprendimento Temporanei: oltre 370 strutture hanno raggiunto circa 215.000 bambini, pari a poco più del 32% degli studenti in età scolare, mentre altri seguono corsi nei rifugi dell’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East). L’istruzione fornisce routine e servizi di supporto, ma dipende da elettricità, stipendi per i docenti e condizioni minime di sicurezza.
Il blocco degli aiuti ha cause note: controlli sui beni a possibile “uso duale”, liste di autorizzazione variabili, valichi con aperture intermittenti, carenza di camion e magazzini sicuri. Le organizzazioni non governative accusano Israele di mantenere restrizioni incompatibili con la scala dell’emergenza; Israele risponde che l’accesso è migliorato dopo il cessate il fuoco di ottobre e che i volumi sono superiori a quelli dei mesi più duri del conflitto. Le agenzie ONUconfermano però che i flussi restano insufficienti e irregolari, con ritardi che si traducono in carenze di farmaci e in un aumento di decessi evitabili.
La dichiarazione congiunta dei dieci Paesi chiede misure operative immediate: apertura stabile dei valichi, alleggerimento dei vincoli su materiali essenziali, piena operatività di ONU e organizzazioni umanitarie senza condizioni che compromettano neutralità e sicurezza del personale, e un piano urgente per acqua e fognature con rifornimenti costanti di carburante agli impianti di pompaggio e depurazione. Sono richieste tecniche, ma decisive per uscire da una gestione in emergenza permanente.
Dal cessate il fuoco di ottobre 2025, i bombardamenti su larga scala si sono fermati e alcuni corridoi logistici sono stati riaperti. Israele parla di miglioramento progressivo, mentre le agenzie umanitarie avvertono che nuovi vincoli amministrativi rischiano di escludere attori fondamentali. Finché questo confronto resterà irrisolto, il peso maggiore continuerà a ricadere sulla popolazione civile.
I numeri sintetizzano il quadro: almeno 1,3 milioni di persone necessitano di riparo urgente; più della metà degli ospedali è solo parzialmente operativa; circa 740.000 persone sono esposte a inondazioni di liquami; le piogge di dicembre hanno colpito oltre 56.000 famiglie; più di 215.000 bambini frequentano spazi scolastici temporanei. In questo contesto, definire la situazione “catastrofica” non è una scelta retorica, ma la descrizione di un sistema che non riesce ad assorbire gli shock: abitazioni distrutte, sanità fragile, reti idriche compromesse, mercati instabili. Senza un accesso umanitario prevedibile e senza la rimozione delle principali barriere operative, ogni intervento resta incompleto. L’inverno accentua una crisi già profonda e rende evidente che la finestra per intervenire in modo efficace è ora, non dopo.
Fonti:
Nazioni Unite (ONU)
Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
UNRWA (United Nations Relief and Works Agency)
Shelter Cluster
Integrated Food Security Phase Classification (IPC)
Medici Senza Frontiere (MSF)
Dichiarazione congiunta dei governi di Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Islanda, Giappone, Norvegia, Svezia, Svizzera, Regno Unito.
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