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22 Dicembre 2025 - 06:33
Australia vieta i social agli under 16: funziona davvero o è solo un grande esperimento destinato a fallire?
Nel pomeriggio di un martedì qualunque, in una scuola di Melbourne, lo schermo di uno smartphone si accende con un messaggio secco: “Il tuo account è stato disattivato per non conformità all’età”. Nel giro di poche ore accade a centinaia di ragazzi. È il 10 dicembre 2025, giorno di entrata in vigore della nuova legge australiana che vieta ai minori di 16 anni di avere un profilo sui principali social network. C’è chi si affretta a salvare foto e conversazioni, chi prova a rintracciare amici persi nel flusso digitale, chi migra verso applicazioni finora marginali. E c’è chi protesta apertamente, convinto che la misura sia sbagliata o destinata a essere aggirata. Un ampio sondaggio condotto tra gli under 16 mostra che il 72% non crede che il bando funzionerà davvero, mentre solo il 9% lo sostiene senza riserve.

La norma nasce dall’Online Safety Amendment (Social Media Minimum Age) Act 2024, che modifica l’Online Safety Act 2021. È una legge federale che non punisce ragazzi o famiglie, ma sposta l’obbligo di vigilanza sulle piattaforme digitali, chiamate a dimostrare di aver adottato “passi ragionevoli” per impedire l’accesso ai minori di 16 anni. Le sanzioni per violazioni sistemiche possono arrivare fino a 49,5 milioni di dollari australiani. L’avvio operativo è fissato al 10 dicembre 2025, ma l’effetto si è visto subito.
Il concetto chiave è proprio quello dei “passi ragionevoli”, chiarito dall’eSafety Commissioner, l’autorità indipendente che vigila sull’applicazione delle regole. Non viene imposto un sistema unico di verifica dell’età né l’obbligo di controllare ogni singolo utente. Alle aziende si chiede però di dimostrare processi credibili: individuare e rimuovere account under 16 già esistenti, bloccare nuove iscrizioni, contrastare i tentativi di aggiramento, offrire canali di ricorso rapidi per chi viene escluso per errore e consentire il download dei propri dati.
Secondo l’elenco aggiornato dell’eSafety Commissioner al 10 dicembre 2025, rientrano nel perimetro della legge Facebook, Instagram, Threads, TikTok, Snapchat, YouTube, Twitch, X, Reddit e Kick. Sono invece esclusi servizi come Discord, WhatsApp, Pinterest, Roblox, Steam, Messenger, GitHub, Google Classroom e YouTube Kids, perché non considerati social con restrizioni d’età secondo i criteri attuali. La lista è dichiaratamente dinamica e può essere aggiornata con l’evoluzione dei servizi.
Sul piano politico, il primo ministro Anthony Albanese ha difeso la scelta sostenendo che la legge serve a “rafforzare il ruolo dei genitori” e a ridurre l’esposizione dei ragazzi a contenuti e dinamiche dannose. Il governo federale ha ribadito che le piattaforme inadempienti rischiano multe fino a 50 milioni di dollari australiani e che il quadro regolatorio resterà aperto a revisioni.
Le prime settimane di applicazione mostrano tre tendenze nette. Da un lato, le sospensioni: molte piattaforme hanno iniziato a disattivare account identificati come under 16 e a bloccare nuove registrazioni. Google, per esempio, ha chiarito che su YouTube ai minorenni verrà impedito l’accesso alle funzionalità legate all’account, pur restando possibile la visione di contenuti pubblici senza login. Meta ha spiegato che chi viene rimosso per errore potrà dimostrare la propria età tramite documenti o video-selfie, usando partner esterni.
Dall’altro lato, si osservano migrazioni verso applicazioni escluse dal perimetro o percepite come meno controllate. L’eSafety Commissioner ha dichiarato di monitorare questi spostamenti “di rimbalzo” e di poterne riconsiderare lo status, per evitare che servizi alternativi diventino rifugi informali. Infine, resta forte lo scetticismo tra i ragazzi: un sondaggio condotto da BTN/ABC (Behind the News / Australian Broadcasting Corporation) su oltre 17 mila studenti mostra che il 75% non intende smettere di usare i social e solo il 6% pensa che il bando funzionerà. È la distanza più evidente tra obiettivi pubblici e pratiche quotidiane.
Il governo giustifica la misura richiamando studi su dipendenza da schermo, algoritmi di coinvolgimento e cyberbullismo, oltre a una diffusa percezione sociale di perdita di controllo. Tra gli adulti il consenso è alto: rilevazioni di YouGov e della Monash University indicano un sostegno vicino o superiore all’80%. L’Australia si propone anche come laboratorio normativo osservato da altri Paesi, dagli Stati Uniti alla Corea del Sud, dove si discutono limiti più stringenti per gli adolescenti.
Il nodo tecnico principale resta la verifica dell’età. L’ipotesi di controlli biometrici o documentali su larga scala è stata scartata per i rischi legati a privacy ed esclusione. Test governativi sulle tecnologie di age assurance mostrano margini di errore elevati: sistemi basati sul riconoscimento facciale hanno attribuito a quindicenni età molto più alte. Il rischio è doppio: escludere utenti legittimi o lasciare passare chi non dovrebbe. Da qui la scelta di una regolazione flessibile, che affida alle piattaforme soluzioni diverse ma pretende trasparenza, procedure verificabili e possibilità di audit.
Dietro le percentuali ci sono le storie. Molti adolescenti raccontano che i social rappresentano spazi di relazione e identità, soprattutto nelle aree periferiche. Testimonianze raccolte dalla ABC segnalano il timore che le restrizioni aumentino l’isolamento, in particolare per giovani LGBTQIA+ (Lesbian, Gay, Bisexual, Transgender, Queer, Intersex, Asexual) che trovano online reti di supporto difficili da replicare offline. Accanto a queste voci, ci sono anche ragazzi che approvano il divieto, parlando di un’adolescenza meno tracciata e meno dipendente da notifiche e metriche di popolarità.
Per genitori e scuole la legge non impone modelli educativi, ma offre una cornice comune. L’eSafety Commissionerha pubblicato guide, video e webinar per aiutare le famiglie a gestire la transizione e l’impatto emotivo della disconnessione. In molte scuole si sperimentano iniziative di alfabetizzazione digitale e campagne come “Wait Mate”, che invitano a ritardare l’uso degli smartphone.
Sul piano giudiziario, la partita è aperta. Il Digital Freedom Project sostiene due quindicenni che hanno impugnato la legge davanti all’Alta Corte australiana, sostenendo che limiti la libertà di comunicazione politica. L’udienza è attesa nel 2026. Intanto prosegue il confronto tra regolatori e piattaforme anche su altri contenuti sensibili: un recente verdetto ha dato ragione a X in appello contro il blocco di alcuni video violenti, ribadendo che i contenuti classificati R18+ non sono vietati in assoluto ma devono restare inaccessibili ai minori.
Nei prossimi mesi l’efficacia verrà misurata attraverso report periodici sui conti rimossi e sulla capacità di ridurre l’accesso sistemico dei minori ai servizi più rischiosi. La lista delle piattaforme escluse resta provvisoria e potrà essere aggiornata. Il governo punta anche su informazione e corresponsabilità, come mostra la campagna pubblica “For The Good Of” del Dipartimento delle Comunicazioni.
Il dibattito australiano ha già superato i confini nazionali. Negli Stati Uniti cresce il sostegno a misure simili, mentre Paesi come Corea del Sud e Malaysia valutano nuove restrizioni d’età. Nell’Unione Europea si discute persino di limiti notturni e di interventi su funzioni come lo scroll infinito. L’Australia, nel bene e nel male, è diventata un banco di prova osservato da tutti.
Al di là delle leggi, la stretta ha già cambiato le abitudini familiari e scolastiche. Ha aperto domande che prima restavano sullo sfondo: come si ridefiniscono le relazioni senza flussi continui di immagini e commenti? Chi stabilisce tempi e modalità della presenza online quando l’età rende difficile valutare i rischi? La risposta, per ora, è un intreccio di norme, tecnologie, scelte educative e responsabilità industriali. La differenza non la faranno solo i testi di legge, ma la capacità di istituzioni, scuole, aziende e famiglie di usare questa restrizione per ripensare in modo concreto l’ecosistema digitale dei minori.
Fonti: Online Safety Amendment (Social Media Minimum Age) Act 2024, Online Safety Act 2021, eSafety Commissioner, Australian Government Department of Communications, BTN/ABC, Australian Broadcasting Corporation, YouGov, Monash University, Meta, Google, Digital Freedom Project.
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