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Chi uccide una madre sul ponte di Mayaki per fermare l’Ucraina?

Un drone colpisce l’ultimo corridoio tra Odessa, Moldova e Danubio: una donna muore, tre bambini feriti, traffico bloccato e una guerra che prende di mira ponti, carburante e vita civile

Chi uccide una madre sul ponte di Mayaki per fermare l’Ucraina?

Chi uccide una madre sul ponte di Mayaki per fermare l’Ucraina?

Una strada buia lungo la M-15 Odesa–Reni, i fari che tagliano la bruma del Dnestr e un attraversamento sull’acqua che, in queste settimane, vale più di una semplice infrastruttura. Quando il drone arriva vola basso, quasi rasoterra. La traiettoria punta il ponte di Mayaki, ma intercetta un’automobile in transito. A bordo ci sono una madre e i suoi tre figli. La donna muore in seguito alle ferite riportate, i bambini restano feriti e vengono trasportati in ospedale. È un dettaglio che non compare nei grafici logistici né nelle mappe militari, ma che spiega meglio di qualsiasi analisi cosa significhi colpire un nodo infrastrutturale in guerra. L’attacco, attribuito alle forze russe, colpisce quello che oggi è l’ultimo collegamento pienamente operativo tra la regione di Odessa e la Moldova, mentre il sud dell’Ucraina affronta una delle fasi più difficili del conflitto.

Il ponte di Mayaki, situato a pochi chilometri dal confine moldavo lungo il Dniester (Nistru), serve la direttrice Odessa–Reni e garantisce l’accesso ai porti danubiani di Izmail e Reni. Dopo le ripetute limitazioni alla navigazione e al traffico nel Mar Nero, questo corridoio è diventato essenziale per una parte rilevante delle esportazioni e delle importazioni ucraine. Nel tardo pomeriggio del 18 dicembre 2025, un drone d’attacco colpisce il viadotto e l’auto che lo sta attraversando. La morte della donna e il ferimento dei tre figli vengono confermati dal capo dell’amministrazione militare regionale di Odesa, Oleh Kiper, attraverso comunicazioni riprese dai media ucraini e internazionali. I bambini, secondo quanto riferito, sono ricoverati e sottoposti a cure mediche anche per un forte stato di stress.

Nelle ore immediatamente successive, le autorità di Kyiv e Chişinău introducono restrizioni alla mobilità. La Polizia di Frontiera moldava annuncia la chiusura temporanea dei valichi Palanca–Mayaki–Udobne e Tudora–Starokazacie, invitando a evitare l’area. La circolazione sulla M-15 viene sospesa a tratti e successivamente riaperta solo parzialmente, con continui aggiustamenti legati alla minaccia aerea. La situazione resta fluida e incerta per giorni.

L’attacco non è un episodio isolato. Tra il 18 e il 19 dicembre, la stessa infrastruttura viene colpita più volte. Secondo fonti ucraine e analisti militari, fino a quindici droni del tipo Shahed/Geran e almeno un vettore balistico, in più ricostruzioni ricondotto alla famiglia Iskander, vengono diretti contro il ponte e l’area circostante. I danni si accumulano sulla struttura e sul manto stradale. Il vice primo ministro ucraino per la Ricostruzione, Oleksiy Kuleba, parla di oltre cinque impatti e di lavori di emergenza svolti in condizioni rese difficili dai continui allarmi aerei. Per evitare l’isolamento totale, viene predisposta anche una soluzione provvisoria con una pista di attraversamento su pontoni.

Il valore strategico del ponte di Mayaki emerge con chiarezza se si guarda alla geografia della regione. L’altro grande attraversamento del liman del Dnestr, il ponte di Zatoka, è stato colpito ripetutamente dal 2022 in poi ed è rimasto a lungo inutilizzabile o funzionante a intermittenza. Di fatto, Mayaki è diventato il passaggio più affidabile per i flussi civili e commerciali tra l’oblast di Odessa, la Moldavia e, attraverso di essa, la Romania. I precedenti attacchi su Zatoka spiegano perché l’attenzione militare si concentri oggi su questo ultimo “collo di bottiglia”.

Dopo il raid del 18 dicembre, le immagini provenienti dai valichi di frontiera mostrano lunghe code, mezzi di soccorso impegnati in continui spostamenti e viaggiatori in attesa di indicazioni. Le autorità moldave allestiscono punti mobili di assistenza con bevande calde nelle vicinanze di Palanca, mentre la polizia di frontiera indirizza parte dei flussi verso valichi alternativi più a nord, nel tentativo di ridurre la pressione sul corridoio meridionale. La raccomandazione ufficiale resta quella di evitare l’itinerario Mayaki–Udobne fino a quando la situazione non si stabilizzerà.

L’impatto dell’attacco va oltre la viabilità. Nelle stesse ore, raid coordinati colpiscono il porto di Pivdennyi e infrastrutture energetiche nella regione di Odessa, con danni a depositi di carburante e impianti per oli vegetali e con nuove vittime civili. Secondo fonti ucraine, l’obiettivo è esercitare pressione sull’economia e ridurre l’accesso al Mar Nero proprio nel periodo invernale. In questo contesto, il ponte di Mayaki assume un ruolo centrale perché collega la rete stradale ucraina ai porti del Danubio, che negli ultimi due anni hanno assorbito una quota crescente dell’export agroalimentare e dell’importazione di carburanti.

Diverse stime, citate da media internazionali e da analisti di logistica, indicano che tra il quaranta e il sessanta per cento dei rifornimenti di carburante ucraini transita, direttamente o indirettamente, attraverso questo corridoio. Reuters parla di una quota fino al quaranta per cento, mentre analisti del mercato ucraino, tra cui l’imprenditore del settore carburanti Dmytro (Dmitry) Leushkin, ipotizzano che un’interruzione prolungata possa mettere a rischio fino al sessanta per cento delle forniture, con effetti immediati sui prezzi e sulla disponibilità soprattutto nel sud e nell’est del Paese. Le cifre variano e richiedono prudenza, ma il messaggio operativo è chiaro: colpire Mayaki significa comprimere una parte essenziale della logistica civile e, indirettamente, dello sforzo bellico.

Le conseguenze si riflettono anche sulla vita quotidiana. Pendolari che non riescono a raggiungere Odessa, camionisti fermi in attesa di una finestra di passaggio, operatori della Ukrposhta che segnalano ritardi nella consegna di pensioni e pacchi verso Izmail, Reni e Bilhorod-Dnistrovskyi. È l’effetto meno visibile della guerra alle infrastrutture: tempi che si allungano, costi che aumentano, servizi che perdono regolarità.

Secondo il presidente Volodymyr Zelenskyi, l’intensificazione degli attacchi nella regione di Odessa rientra in una strategia più ampia volta a interrompere i collegamenti con il Mar Nero e a ridurre la capacità di esportazione e la resilienza energetica del Paese. Nelle stesse giornate si registrano attacchi contro infrastrutture portuali e navi mercantili, mentre le forze ucraine conducono azioni contro asset energetici e navali russi. Sul piano diplomatico, nonostante contatti indiretti avviati negli Stati Uniti d’America, l’intensità del fronte aereo nel sud non diminuisce.

Per la Moldavia, Stato neutrale ma già interessato nei mesi precedenti da violazioni del proprio spazio aereo, l’attacco a Mayaki rappresenta un ulteriore banco di prova. Chişinău convoca più volte l’ambasciatore russo, denunciando una minaccia alla sicurezza dell’aviazione civile. Il governo della presidente Maia Sandu si muove su un equilibrio complesso, cercando di garantire il transito umanitario e commerciale verso l’Ucraina senza esporre eccessivamente infrastrutture e popolazione.

Dal 2022, il tratto del Basso Dnestr è diventato teatro di una vera e propria “guerra dei ponti”, con Zatoka prima e Mayaki poi al centro delle operazioni. Colpire questi nodi significa interrompere continuità territoriali e catene di dipendenza quotidiane, dalla scuola alla sanità, dalla distribuzione dei farmaci alla consegna del grano. In questo quadro, la morte della donna sull’auto colpita non è un fatto collaterale, ma il segno concreto di come una strategia militare si traduca in conseguenze dirette sulla popolazione civile.

Al momento risultano confermati l’attacco del 18 dicembre 2025, la morte della donna, il ferimento dei tre figli e i successivi raid che hanno danneggiato ripetutamente l’area del ponte, così come le chiusure e limitazioni decise dalla Moldavia. Resta in valutazione l’impatto preciso sulla filiera dei carburanti, che dipenderà dalla durata delle interruzioni e dalla capacità di reindirizzare i flussi attraverso Romania e Moldavia. Per l’Europa, Mayaki è un promemoria concreto di come un’infrastruttura regionale possa assumere un valore continentale, collegando i flussi del Danubio alle reti di trasporto europee e influenzando costi e tempi lungo l’intera catena di approvvigionamento.

Mentre i lavori di ripristino proseguono tra sirene e nuove interruzioni, la normalità resta fragile. Finché il ponte di Mayaki continuerà a essere un obiettivo, ogni ripresa del traffico avrà carattere provvisorio. La scena finale è quella dei soccorsi che si allontanano dal viadotto, le luci riflesse sull’acqua del Dnestr e un territorio che misura la distanza non in chilometri, ma nella difficoltà di restare collegato.

Fonti: Autorità militari regionali di Odesa, Oleh Kiper, Oleksiy Kuleba, Polizia di Frontiera moldava, Reuters, dichiarazioni di Volodymyr Zelenskyi, analisi di mercato di Dmytro (Dmitry) Leushkin, media ucraini e internazionali.

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