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16 Dicembre 2025 - 07:25
Macron
All’inizio si è vista soltanto una cortina di polvere: un blindato bruciato davanti alle mura grigie del campo di Togbin, nell’ovest di Cotonou, e un filo di fumo che saliva lento dalla caserma della Guardia nazionale. Poco dopo, in cielo, il rombo secco di jet non identificati. Non era un’esercitazione. Era il momento in cui il Bénin prendeva atto della fragilità del proprio ordine costituzionale e, allo stesso tempo, della rapidità con cui la regione era pronta a reagire. In meno di ventiquattro ore l’ammutinamento partito da Togbin la mattina di domenica 7 dicembre 2025 è stato circoscritto, i promotori arrestati o messi in fuga, e lo Stato ha ripreso il controllo dei nodi strategici della capitale economica. Nello stesso arco di tempo è emerso un dato politico rilevante: l’intervento discreto ma determinante di Parigi, con assetti di sorveglianza e un ridotto nucleo di forze speciali, affiancato dai raid aerei della Nigeria e dalla decisione della ECOWAS (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale) di attivare una forza di pronto impiego. È l’immagine di una nuova fase africana, nella quale gli equilibri non vengono più imposti con invasioni su larga scala ma costruiti attraverso appoggi mirati, intelligence condivisa e coordinamento regionale.

Secondo ricostruzioni convergenti di autorità beninesi e fonti regionali, un gruppo di militari ha preso posizione nel campo di Togbin dopo aver tentato di colpire obiettivi simbolici come la residenza presidenziale, la televisione di Stato e alcuni centri di comando. I rivoltosi si sono presentati come Comitato militare per la R rifondazione e hanno indicato nel tenente colonnello Pascal Tigri la figura di riferimento. L’obiettivo dichiarato era porre fine a quella che definivano una deriva del governo. L’esito è stato opposto: una ritirata disordinata, la cattura di diversi partecipanti e il ripristino del controllo istituzionale da parte dei vertici rimasti fedeli al presidente Patrice Talon. In serata il ministro dell’interno Alassane Seidou ha annunciato ufficialmente il fallimento del tentativo di golpe, assicurando che i responsabili sarebbero stati perseguiti.
Il punto di svolta si è consumato proprio a Togbin, dove si sono concentrate sia la risposta delle forze lealiste sia l’azione mirata richiesta da Cotonou alla Nigeria. In poche ore Abuja ha dispiegato caccia e unità di supporto. Gli attacchi aerei, condotti secondo le autorità nigeriane nel quadro dei protocolli di sicurezza della ECOWAS e su richiesta formale del governo beninese, hanno colpito mezzi corazzati e nuclei ammutinati all’interno della caserma, riducendo la capacità operativa dei golpisti senza trasformare la città in un campo di battaglia.
La decisione del presidente nigeriano Bola Ahmed Tinubu di autorizzare l’ingresso dei jet nello spazio aereo del Bénin è arrivata dopo due richieste ufficiali di assistenza da parte di Cotonou: la prima per una copertura aerea immediata, la seconda per un supporto terrestre limitato a missioni approvate dal comando beninese, come confermato dalla stessa ECOWAS. Le sortite hanno ristabilito il controllo dell’aria sopra la capitale e colpito Togbin e la televisione nazionale, dove i rivoltosi avevano tentato di riorganizzarsi. Il 9 dicembre 2025 il Senato nigeriano ha ratificato l’invio di truppe, fornendo una copertura giuridica a un’operazione che, nei fatti, era già in corso nelle ore decisive del tentato colpo di Stato. Il segnale è stato chiaro: Abuja intende riaffermare il proprio ruolo di garante della sicurezza nel Golfo di Guinea.
Questa rapidità operativa ha avuto conseguenze diplomatiche. L’8 dicembre, un C-130 nigeriano ha effettuato un atterraggio d’emergenza a Bobo-Dioulasso, in Burkina Faso, Paese membro dell’AES (Alleanza degli Stati del Sahel), oggi in rotta con la ECOWAS. Le autorità di Ouagadougou hanno trattenuto per alcune ore undici militari nigeriani, alimentando la tensione tra i due blocchi regionali. L’episodio si è chiuso senza incidenti, ma ha mostrato quanto il confronto tra ECOWAS e AES si giochi anche nello spazio aereo e nei corridoi logistici dell’area.
Se i jet nigeriani hanno rappresentato la componente più visibile dell’intervento, la Francia ha scelto una linea a bassa esposizione. L’Eliseo ha confermato il sostegno in termini di intelligence e logistica, oltre alla condivisione di informazioni con Abuja. Fonti incrociate indicano che tra le 14:00 e le 21:00 di domenica 7 dicembre un ALSR(aereo leggero di sorveglianza e ricognizione) ha sorvolato l’area operativa raccogliendo dati in tempo reale e coordinandosi con le forze beninesi. Sul terreno, un piccolo distaccamento di forze speciali sarebbe arrivato da Abidjannel tardo pomeriggio per fornire supporto tattico alle unità lealiste attorno alla caserma di Togbin, rientrando il giorno successivo. Un impiego limitato ma coerente con la dottrina che Parigi sta definendo dopo il ridimensionamento della propria presenza nel Sahel: meno strutture permanenti, più capacità abilitanti e interventi mirati a sostegno dei partner.

Questo approccio segna una svolta nella politica africana francese. Al posto di basi estese e dispositivi pesanti, fatta eccezione per realtà come Gibuti, emerge una rete di hub di cooperazione e formazione in Paesi come Gabon, Costa d’Avorio, Senegal e Ciad. È dal complesso di Port-Bouët, oggi intitolato al generale Ouattara Thomas d’Aquin, che sarebbe partita la micro-task force diretta a Cotonou. Il messaggio è che la Francia resta un attore presente, ma con strumenti diversi, puntando su superiorità informativa e coordinamento piuttosto che su una presenza massiccia.
Di fronte al rischio di una nuova destabilizzazione, la ECOWAS non si è limitata alla condanna politica. L’organizzazione ha annunciato la mobilitazione di elementi della Forza di Stand-by, con contributi di Nigeria, Costa d’Avorio, Ghana e Sierra Leone, per dissuadere eventuali tentativi di rilancio del golpe e stabilizzare la capitale. Nei giorni successivi circa duecento militari, in prevalenza nigeriani e ivoriani, hanno affiancato le forze beninesi nelle operazioni di messa in sicurezza. Per un’organizzazione spesso accusata di lentezza, la risposta ha rappresentato un passaggio significativo sul piano della credibilità.
I promotori dell’ammutinamento hanno tentato di legittimarsi facendo leva su due temi sensibili: l’insicurezza nel nord del Bénin, dove operano gruppi jihadisti provenienti dall’area saheliana, e il malcontento per le condizioni operative delle unità impegnate sul fronte interno. È uno schema già visto in altri contesti regionali, ma in questo caso privo di un sostegno sufficiente per spezzare la catena di comando. Le testimonianze indicano che il comando lealista ha mantenuto il controllo, protetto i vertici istituzionali e richiesto assistenza esterna senza cedere la direzione dell’operazione. La finestra di opportunità per i golpisti si è così chiusa in poche ore, prima che una narrazione alternativa potesse attecchire in città.
La sequenza degli eventi è stata rapida. All’alba del 7 dicembre 2025 colpi d’arma da fuoco hanno risuonato a Cotonou mentre un gruppo di militari occupava la TV di Stato annunciando la dissoluzione delle istituzioni. In mattinata si sono verificati scontri nei pressi della residenza presidenziale e i rivoltosi si sono concentrati a Togbin, spingendo il governo a chiedere assistenza alla Nigeria. Nel pomeriggio e in serata i jet nigeriani hanno effettuato strike mirati, mentre l’ALSR francese garantiva sorveglianza e ricognizione. In serata la ECOWAS ha ordinato lo schieramento della forza di prontezza e Patrice Talon è apparso in televisione promettendo sanzioni severe. Il 9 dicembre è arrivato il via libera del Senato nigeriano, consolidando il quadro legale dell’intervento.
Nei quartieri centrali di Cotonou la normalità è tornata rapidamente, con traffico intenso, mercati aperti e una presenza militare più visibile ai checkpoint. Restano però i segni di una vulnerabilità strutturale di una città che è anche il principale snodo economico del Paese. Le giunte del Sahel, in particolare Mali, Burkina Faso e Niger, osservano con attenzione: un Bénin instabile offrirebbe all’AES uno sbocco strategico sull’Atlantico attraverso il porto di Cotonou, alterando equilibri e rotte commerciali. Anche per questo l’intervento combinato di Nigeria, ECOWAS e Francia è stato rapido e calibrato.
Per Parigi, il sostegno operativo fornito al Bénin indica un cambio di passo rispetto alle esitazioni emerse tra il 2020 e il 2023 in Mali, Burkina Faso e Niger, culminate nel ritiro delle truppe e nella riorganizzazione del dispositivo africano. La lezione è duplice: una reazione rapida può impedire il consolidamento di regimi ostili e la legittimazione regionale, con la leadership nigeriana, è oggi un prerequisito politico per qualsiasi intervento europeo in Africa occidentale. L’uso di assetti ISR (intelligence, sorveglianza e ricognizione) e di forze speciali di supporto mostra quanto Parigi consideri ancora strategico il corridoio tra Golfo di Guinea e Atlantico, in particolare per partner ritenuti affidabili come il Bénin di Talon.
Per la Nigeria, l’operazione rafforza il ruolo di fornitore di sicurezza regionale in un momento in cui la ECOWAScerca di arginare la sequenza di golpe. La rapidità dell’azione, la copertura giuridica ottenuta in tempi brevi e il coordinamento con Cotonou e Parigi consolidano la posizione di Abuja, ma restano rischi evidenti, dalle frizioni con l’AES al rischio di sovraestensione in un contesto segnato da minacce jihadiste e pressioni interne.
Il tentato golpe arriva a ridosso di una scadenza politica delicata. Nell’aprile 2026 sono previste le elezioni presidenziali. Patrice Talon non si ricandiderà e il campo di governo ha indicato come possibile erede il ministro delle finanze Romuald Wadagni, mentre l’opposizione denuncia esclusioni e ostacoli. La gestione del processo elettorale sarà decisiva per capire se la difesa dell’ordine costituzionale si tradurrà in una legittimità pienamente riconosciuta.
L’ammutinamento di Togbin non è stato soltanto un test per il Bénin, ma un banco di prova per l’intera Africa occidentale. La ECOWAS ha reagito, la Nigeria ha agito, la Francia ha adattato i propri strumenti. La sfida ora è trasformare questa rapidità in prassi stabile, perché la deterrenza, in una regione attraversata da tensioni continue, è un bene pubblico che richiede cooperazione, trasparenza e canali di deconflitto anche tra attori contrapposti.
Fonti: Governo del Bénin, Ministero dell’Interno del Bénin, Presidenza della Repubblica del Bénin, ECOWAS, Senato della Nigeria, Presidenza della Nigeria, Eliseo, fonti diplomatiche regionali, fonti militari africane ed europee.
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