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La Russia usa le mafie come arma di Stato?

Sotto la facciata di servizi segreti, mercenari e diplomazia, emerge un sistema stabile che lega criminalità organizzata, finanza nera, cyber-crime e influenza politica: un’inchiesta sui dossier che raccontano come il Cremlino trasformi il crimine in strategia

La Russia usa le mafie come arma di Stato?

Luigi Sergio Germani

Una stanza d’albergo a Londra, due valigie piene di contanti e un telefono che vibra mostrando l’ultimo QR code: bastano pochi secondi e il denaro contante si trasforma in stablecoin. I corrieri si disperdono nel traffico dei taxi, mentre i fondi, ormai ripuliti, prendono la strada di Mosca, Dubai o Cipro. Nello stesso momento, a Timbuctù, uomini in mimetica con la toppa dell’Africa Corps presidiano un checkpoint insieme ai soldati del Mali: non è più il tempo della Wagner, ma il metodo resta, così come restano le accuse di violenze e abusi. A Chişinău, intanto, i magistrati perquisiscono decine di indirizzi per ricostruire flussi finanziari che, attraverso le criptovalute, alimentano una campagna elettorale filo-cremlina. Scene lontane tra loro, ma legate da una strategia comune: l’uso sistematico della criminalità organizzata come strumento della politica estera e interna della Federazione Russa.

È questa la tesi che Luigi Sergio Germani, direttore dell’Istituto Gino Germani di Scienze Sociali e Studi Strategici, sostiene da anni sulla base di dossier, indagini giudiziarie e pacchetti di sanzioni internazionali: il legame tra apparati di sicurezza e criminalità, il cosiddetto nexo cekista-mafioso, si è consolidato dal KGB (Comitato per la Sicurezza dello Stato) all’era di Vladimir Putin, fino a diventare uno degli assi portanti della guerra ibrida del Cremlino.

Nel sistema dei campi sovietici, i vory v zakone codificano un ordine parallelo, con regole e gerarchie proprie. Nell’Unione Sovietica post-staliniana il KGB penetra quel mondo, reclutando informatori e utilizzando la violenza criminale per reprimere dissidenti e controllare i mercati clandestini. È qui che nasce una relazione strutturale, nella quale lo Stato sfrutta il crimine per fini politici. Tra gli anni Ottanta e la perestrojka, l’apertura controllata dell’economia crea spazi dove la mafia offre servizi che lo Stato non garantisce: protezione della proprietà, arbitrati, recupero crediti. L’ibridazione si amplia quando ex funzionari del KGB e del GRU (Direzione principale dello Stato Maggiore) portano competenze di intelligence, logistica e corruzione nei circuiti criminali. Le joint-venture con società di comodo all’estero anticipano i meccanismi di riciclaggio transnazionale che esploderanno negli anni Novanta.

putin

Dopo il collasso del 1991, lo Stato arretra e le mafie russo-eurasiatiche si globalizzano. Gli studi di Federico Varese e di altri ricercatori descrivono un mercato della protezione privatizzata in cui il confine tra alto funzionario e capo-cosca diventa sempre più sottile. Quando Vladimir Putin, ex KGB, arriva al potere tra 1999 e 2000, la priorità è ristabilire il controllo statale. L’esperienza maturata nella San Pietroburgo dei primi anni Novanta, dove interessi municipali, servizi segreti e criminalità organizzata converge­vano su porto ed energia, si trasforma in dottrina: ridurre la criminalità da minaccia a strumento.

Nel nuovo assetto, i servizi di sicurezza – FSB (Servizio di Sicurezza Federale), SVR (Servizio di Intelligence Estera) e GRU – si presentano come argine alle mafie, ma ne assorbono pezzi e competenze. Gli studiosi parlano di criminalizzazione degli apparati e di ibridazione operativa: gli uomini dei servizi entrano nei consigli d’amministrazione, i boss assumono l’aspetto di imprenditori, i mercenari diventano proiezioni della politica estera. È quella che viene definita la “nazionalizzazione del crimine”, un sistema in cui corruzione, disinformazione, attacchi informatici e traffici illeciti si saldano in un unico ecosistema.

Il passaggio dalla Wagner all’Africa Corps nel Sahel è un esempio chiave. Dopo la morte di Yevgeny Prigozhin nel 2023, l’apparato Wagner non scompare ma viene assorbito in strutture più direttamente controllate dal Ministero della Difesa russo. Tra 2024 e 2025 emerge l’Africa Corps, che eredita personale e funzioni, soprattutto in Mali. Il 6 giugno 2025 la Wagner annuncia il ritiro, ma la presenza russa continua sotto un’altra sigla. Sul terreno restano i contratti di sicurezza, le concessioni minerarie e le accuse di violazioni dei diritti umani documentate da organizzazioni internazionali e reportage indipendenti. Cambia il nome, non il modello.

Sul fronte digitale, il caso Evil Corp mostra la sovrapposizione tra cyber-criminalità e apparati statali. Il 5 dicembre 2019 il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti sanziona il gruppo per il malware Dridex, attribuendogli furti per oltre 100 milioni di dollari. Al vertice c’è Maksim Yakubets, per il quale Washington offre una taglia fino a 5 milioni di dollari. Secondo l’OFAC (Office of Foreign Assets Control), Yakubets avrebbe fornito supporto diretto alle operazioni informatiche del governo russo. Nel 2024, nuove sanzioni coordinate da Stati Uniti, Regno Unito e Australia ricostruiscono una rete di società di copertura e facilitatori che permette al gruppo di cambiare nome e continuare a operare, confermando il carattere para-statale di molte gang cyber russe.

La dimensione finanziaria completa il quadro. Il Russian Laundromat, attivo tra 2011 e 2014, ha riciclato circa 20,8 miliardi di dollari attraverso società di comodo in Regno Unito, Cipro e Nuova Zelanda, sfruttando sentenze fittizie in Moldavia. Dieci anni dopo, le criptovalute aggiornano lo schema. Nel dicembre 2024, la National Crime Agency(Agenzia Nazionale per il Crimine) britannica annuncia l’operazione Destabilise, smantellando reti capaci di muovere miliardi per cyber-criminali, cartelli della droga e soggetti sanzionati. Le indagini collegano quei flussi anche a operazioni di spionaggio russo in Europa e a tentativi di aggirare le sanzioni per conto di oligarchi.

Sul piano politico, la Moldavia rappresenta un laboratorio. Tra 2024 e 2025, le autorità documentano l’uso di criptovalute provenienti dalla Russia per influenzare elezioni e proteste. La figura di Ilan Șor, già coinvolto nello scandalo bancario del 2014, e la condanna nel 2025 della governatrice gagauza Evghenia Guțul per riciclaggio di fondi russi mostrano come contanti, crypto e logistica criminale diventino strumenti di interferenza.

Da questi dossier emerge un modello coerente: apparati statali, società di copertura, compagnie militari private e reti criminali operano come elementi intercambiabili. La forza del sistema sta nella sua modularità: cambiano i nomi, restano le competenze, i canali finanziari e l’impunità interna. Per Italia ed Europa, l’esposizione riguarda la penetrazione finanziaria, gli attacchi cibernetici e la disinformazione. Gli analisti, da Luigi Sergio Germani a Mark Galeotti, indicano la necessità di rafforzare il tracciamento dei flussi, colpire i facilitatori e costruire una risposta coordinata sul piano giudiziario, finanziario e informativo.

L’alleanza tra servizi segreti russi e criminalità organizzata non è un residuo del passato, ma un asset strategico che si adatta alla tecnologia e ai contesti geopolitici. Dalle miniere del Sahel alle criptovalute scambiate nelle capitali europee, la weaponization del crimine resta una componente strutturale dell’azione del Cremlino. Capirla significa accettare che la risposta non può essere solo repressiva: passa dalla trasparenza dei mercati, dalla cooperazione giudiziaria e dalla capacità delle istituzioni democratiche di reggere a una pressione continua e poco visibile.

Fonti: Istituto Gino Germani di Scienze Sociali e Studi Strategici, Federico Varese, OCCRP (Organized Crime and Corruption Reporting Project), Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, OFAC(Office of Foreign Assets Control), National Crime Agency del Regno Unito, rapporti di organizzazioni per i diritti umani, inchieste di Washington Post, Financial Times, Reuters, documenti giudiziari moldavi.

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