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Il campo d’aviazione scomparso delle Vaude canavesane

Tra memorie ritrovate, documenti d’archivio e testimonianze dirette: la storia dimenticata del campo d’aviazione di San Francesco al Campo e dei primi raid aerei sul Canavese. Un testo di Pierfelice Ronco pubblicato dall'editore Baima e Ronchetti sul periodico "Canavèis"

Quando sulle Vaude decollavano i pionieri del volo

Preparazione di un apparecchio Farman 12 per il volo (cartolina della tabaccheria Sorelle Ricchiardi di San Francesco al Campo).

Relativamente alle attività militari avvenute sulle Vaude canavesane, territorio che va da Lombardore a Grosso, ci sono numerose testimonianze, ma per quanto riguarda l’arma azzurra ho sempre e soltanto visto alcune cartoline dei primordi aerei riferite al Campo di San Maurizio.
Purtroppo le memorie degli anziani erano contraddittorie e non mi avevano permesso di collocare geograficamente tale campo d’aviazione.
Piano piano ho acquisito ulteriori documenti, tra cui le memorie di Roberto Bonuti (classe 1882, brevetto da pilota italiano n° 88), il quale, parlando appunto dell’ubicazione del campo di aviazione, scrive: «non abbiamo mai capito perché lo chiamassero distaccamento di San Francesco al Campo, quando era sul territorio del comune di San Carlo Canavese». Quest’affermazione coincide con l’indicazione «a lato del IV Baraccamento» secondo il suggerimento di Carlo ’l tabachin.
Con questa testimonianza diretta il nodo si scioglie, definendo una volta per tutte il sito del campo di aviazione, ma le citazioni che riporterò saranno sempre riferite a San Francesco, secondo quanto si ritrova nei documenti.

I primordi

Il campo d’aviazione delle Vaude ebbe inizio nei primi giorni del 1912, con personale proveniente dal campo di Tagliedo, quartiere periferico di Milano, poi arrivarono gli hangar di tela-mercandino, e dalla Francia gli aerei smontati in cassoni: in poco tempo su quella striscia di terreno si videro decollare i primi aerei.
La squadriglia era composta da aerei Maurice Farman 12, ricoverati in due hangars, un’officina di riparazioni meccaniche e un laboratorio falegnami per le riparazioni della struttura degli aerei.
Invece i piloti erano alloggiati alla frazione Centro in casermette destinate al soggiorno di ufficiali delle accademie di Artiglieria e Genio.
I Farman erano biplani con struttura in legno e tela, in cui il pilota doveva issarsi al posto di guida ponendo i piedi in obbligate posizioni − poiché il fondo della carlinga era di tela −, quindi sedeva sul seggiolino che era in rame a forma di semicupio chiuso contenente 100 litri di benzina.
Il primo comandante della squadriglia, proveniente come la maggior parte dei piloti dalla Cavalleria, fu Ettore Prandoni. Ai pionieri del volo di inizio secolo era stato assegnato un compito da trasporto, infelicemente denominato «camionaggio aereo»: infatti, fra il seggiolino-serbatoio e il motore Renault 70 HP posteriore era stato inserito un grosso cestone di vimini entro il quale veniva collocato il materiale da trasportare.
Oltre ai brevi voli di addestramento sul campo, a turno venivano eseguiti dei raid, chiamati progressivi, perché di volta in volta aumentava la distanza e l’altitudine.
Il primo raid (oggi qualcuno potrebbe anche ingenuamente sorriderne) venne compiuto sul tragitto San Francesco–Venaria Reale, lungo 15 chilometri, con un carico di 50 chilogrammi di bardature destinate al 5° Artiglieria, là posizionato.

Le destinazioni dei primi raid

Altri raid di cui sono a conoscenza furono:
10 marzo 1913, tenente Bailo: Malpensa–San Francesco, in minuti 154, altezza max del volo 1500 metri;
9 giugno 1913, capitano Prandoni: San Francesco–Malpensa–Vigevano–San Francesco in minuti 239 (metri 1130);
10 giugno 1913, maresciallo Marazzi: San Francesco–Vercelli–San Francesco in minuti 120 (metri 1500); stesso giorno, maresciallo Torelli: San Francesco–Rivoli–Vigone–Racconigi–San Francesco, in minuti 114 (metri 1150); nello stesso giorno compiono raid i sergenti Ballerini e Brach-Papa.
Nello stesso anno e con percorsi simili, altri raid si manifestano con alla guida i sergenti maggiori Perucca, Rossetti, Burzio, Pettazzi, Polpacelli; il sergente Brach-Papa compie il percorso San Francesco–Tagliedo in minuti 292 (metri 800);
28 luglio 1913, sergente maggiore Rossetti: San Francesco–Piace­nza–San Francesco in minuti 317 (metri 1900); seguono numerosi altri raid, tutti effettuati nel medesimo periodo.

Gruppo con pilota e assistenti; il pilota è l'unico con il giubbotto in pelle imbottito, passamontagna e occhiali, abbigliamento indispensabile anche in piena estate (foto Cubito, Ciriè).

Gruppo con pilota e assistenti; il pilota è l'unico con il giubbotto in pelle imbottito, passamontagna e occhiali, abbigliamento indispensabile anche in piena estate (foto Cubito, Ciriè).

Brach-Papa, un pilota canavesano

Francesco Brach-Papa, nato a Corio il 4 settembre 1891 e morto a Torino il 13 gennaio 1973, detentore di 14 record aeronautici, di cui 9 mondiali, istruttore, combattente e collaudatore, generale di Brigata Aeronautica, insignito del titolo di grande ufficiale al Merito della Repubblica italiana, il 19 giugno 1912 batte il record italiano d’altezza con 3050 metri da San Francesco e il 28 febbraio 1914 da Mirafiori inalzandosi a 3983 metri con il nuovo Farman 14 provvisto di motore De Dion Bouton 85 HP.
Quando al pilota coriese fu concesso di recarsi in volo al paese natio distante 10 chilometri da San Francesco, vennero mobilitati anche i suoi colleghi, che il giorno precedente andarono in moto a Corio per individuare e segnalare con una grossa T fatta con lenzuola il punto d’atterraggio.
Impossibilitati di individuare un tratto pianeggiante, optarono per un terreno in lieve salita: la manovra di Brach-Papa riuscì perfettamente, a onor del vero più per l’abilità del pilota che per la scelta del prato.
La ripartenza fu eseguita in senso opposto, cioè in discesa, trattenendo il velivolo aggrappati ai longheroni e mollando la presa quando il motore raggiunse il massimo dei giri, nel mentre la banda del paese suonava la Marcia Reale tra autorità e popolazione festante, sorpresi e meravigliati da quell’uccellaccio che volteggiava su di loro.
I musicanti persero l’accordo, ed ognuno suonava per conto proprio con il naso per aria, tanto che l’avvenimento poteva sembrare più una fiera carnevalesca che non un’impresa di bravura e coraggio.

Piloti tuttofare

Erano gli stessi piloti ad approntare i campi di fortuna, mentre le motociclette utilizzate erano all’epoca prive di cambio e frizione con la trasmissione tramite cinghia in cuoio triangolare che trasmetteva il moto dal volano alla ruota posteriore: si spingeva per quanto possibile di corsa la motocicletta afferrandola per il manubrio, quando poi il motore si avviava occorreva salire al volo.
La lubrificazione funzionava a mano, ogni due o tre chilometri bisognava spingere in basso lo stantuffo della pompa, ripetendo la manovra per tutta la durata del viaggio, ma ricordandosi di chiudere il rubinetto del serbatoio dell’olio durante le soste per evitare che continuasse a defluire.
Le istruzioni di volo avvenivano imitando il comandante che decollava per primo e girava intorno al campo alla quota di 500 metri; atteso che tutti i componenti la squadriglia avessero decollato e raggiunto la sua stessa quota, prendeva la rotta per far da guida, essendo oltre che comandante, anche l’unico pilota in possesso della carta topografica del Touring Club.
Incidenti ne accadevano, pur senza serie conseguenze per i piloti, al più fornivano lavoro al reparto motoristi e falegnami. In un caso, però, durante un atterraggio di emergenza in una vigna di Alpignano per la rottura del tubo in gomma che alimentava il carburante, si racconta che il comandante, vedendo come si era ridotto l’aereo, sorridendo disse: «Ragazzi, finalmente abbiamo un motore di ricambio».
Alla fine del 1912 la sistemazione del campo di aviazione venne lievemente migliorata, perché gli hangars di tela furono sostituiti da comodi capannoni in legno con al centro un ampio salone adibito a laboratorio e magazzino.
Non c’era troppa collaborazione con i reparti militari appiedati, installati al Poligono d’Artiglieria fin dalla sua creazione nel 1833 da re Carlo Alberto: mancava del tutto sia l’acqua potabile che un deposito per servirsene in caso d’incendio, tant’è che un giorno in cui gli hangars non erano occupati da aerei, scoppiò un incendio che bruciò tutto, senza che nessuno facesse in tempo ad intervenire.
Dopo un certo periodo gli aerei Farman 12 furono destinati a una scuola di nuova formazione e vennero sostituiti con i nuovi Farman 14, denominando questo nuovo reparto Distaccamento di San Francesco al Campo, IX e X Squadriglia da Ricognizione, ponendo così fine al reparto di camionaggio aereo, che era da tutti considerato una sottospecie aeronautica.

Il laboratorio di falegnameria, necessario per provvedere alle continue riparazioni degli aerei la maggior parte dei quali era in legno e tela (foto Stefano Cubito, storico fotografo di Ciriè).

Il laboratorio di falegnameria, necessario per provvedere alle continue riparazioni degli aerei la maggior parte dei quali era in legno e tela (foto Stefano Cubito, storico fotografo di Ciriè).

Nei primi mesi del 1915, in previsione della guerra, un ordine improvviso trasferì tutto il reparto a Tagliedo, e successivamente vicino al fronte Est, lasciando all’Artiglieria tutto il Poligono militare.
Gli hangars, i ricambi e il personale di terra seguirono lo stesso tragitto.
Forse per qualche tempo il campo operò come punto per gli atterraggi di emergenza, ma con il tempo tutto passò e non rimase traccia né del campo di aviazione né delle strutture. A distanza di un secolo tuttavia, a noi appassionati rimane il sottile piacere di averne finalmente individuata la precisa localizzazione.

Un mio caro ricordo va al Cav. Ernesto Caudera, Maresciallo di 1° classe dell’Aeronautica, per la sua collaborazione alle ricerche storiche.

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