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13 Dicembre 2025 - 18:48
Calderoli
Che cos’è davvero la montagna? Una domanda che sembra quasi filosofica, ma che in realtà oggi pesa come un macigno su bilanci comunali, servizi essenziali e futuro di interi territori. Attorno a questo interrogativo si è aperto un nuovo e durissimo fronte di scontro politico e istituzionale, che vede contrapposti governo ed enti locali, centrodestra e centrosinistra, Alpi e Appennino. Al centro della polemica c’è la riforma dei criteri di classificazione dei Comuni montani proposta dal ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli, una revisione destinata a ridisegnare la geografia amministrativa della montagna italiana.
Secondo le nuove regole, presentate dal ministro, il numero dei Comuni riconosciuti come montani scenderebbe drasticamente: dagli attuali circa 4.000 – quasi uno su due a livello nazionale – a poco più di 2.800. Una sforbiciata che preoccupa soprattutto l’Appennino, dove molte realtà rischiano di uscire dalla classificazione, perdendo così l’accesso a finanziamenti, agevolazioni e normative specifiche pensate per contrastare spopolamento, isolamento e carenza di servizi.
Nel dettaglio, la riforma introduce tre criteri alternativi. Il primo stabilisce che un Comune possa dirsi montano solo se almeno il 25% della sua superficie si trova sopra i 600 metri di altitudine e se il 30% del territorio presenta una pendenza superiore al 20%. Il secondo criterio fa riferimento all’altimetria media: basterebbero 500 metri per rientrare nella definizione. Il terzo, infine, riguarda quei Comuni che, pur avendo un’altimetria inferiore, sono interamente circondati da territori che rispettano i primi due parametri. Una griglia tecnica che, secondo i critici, penalizza pesantemente le aree appenniniche, caratterizzate da quote più basse ma da fragilità strutturali non meno gravi rispetto a quelle alpine.
Roberto Calderoli rivendica la necessità della riforma. «È da oltre settant’anni che si aspettava un rinnovo complessivo e funzionale dei criteri, soprattutto considerando quelli in vigore fino a ieri. Ci abbiamo lavorato molto e siamo alle battute finali», ha spiegato il ministro. Parole pronunciate da Cortina d’Ampezzo, in occasione della Giornata internazionale della montagna, una scelta di luogo che non è passata inosservata.
La reazione più dura è arrivata dall’Appennino, con l’assemblea nazionale dell’Uncem – l’Unione dei Comuni montani – riunita all’Aquila che si è trasformata in un vero e proprio palcoscenico del dissenso. A farsi portavoce del malcontento è stato Davide Baruffi, assessore regionale dell’Emilia-Romagna ed esponente del Partito democratico, nonché responsabile enti locali della segreteria nazionale guidata da Elly Schlein.

Davide Baruffi e Elly Schlein
Per Baruffi la riforma è senza appello. «I criteri individuati da Calderoli sono irricevibili. Con un algoritmo truffaldino si tagliano un terzo dei Comuni montani sul piano nazionale e oltre il 40% di quelli dell’Emilia-Romagna», accusa. Secondo l’assessore, «sarà tutto l’Appennino a essere penalizzato, ovvero la dorsale del Paese», una definizione che richiama non solo la geografia, ma anche il ruolo storico e sociale di queste aree.
Non manca l’affondo politico. «Non è un caso che l’annuncio del ministro venga da Cortina: è una controriforma pensata per le Alpi e contro l’Appennino, contrapponendo territori e territori, comuni e comuni», sostiene Baruffi. Una lettura che vede nella riforma non tanto un aggiornamento tecnico, quanto una scelta politica che rischia di accentuare squilibri già profondi tra Nord e Centro-Sud, tra montagne “ricche” e montagne fragili.
Il nodo, però, resta quello delle risorse. «Se le risorse stanziate sono sempre le stesse del passato, cioè pochissime, ma si annunciano mirabolanti nuovi servizi, allora l’unico modo per distribuire qualche euro in più a chi starà dentro è tagliare fuori tutti gli altri», conclude l’assessore emiliano-romagnolo. Un ragionamento che fotografa la paura diffusa tra i sindaci appenninici: perdere il riconoscimento di Comune montano significa perdere strumenti vitali per tenere aperte scuole, ambulatori, strade, per contrastare lo spopolamento e garantire una minima qualità della vita.
La riforma di Calderoli, dunque, non è solo una questione di metri, pendenze e algoritmi. È una battaglia politica e culturale su che cosa si intenda per montagna oggi e su quali territori lo Stato intenda davvero sostenere. E mentre il confronto si accende, l’Appennino teme di ritrovarsi, ancora una volta, ai margini. Insomma, più che una semplice revisione tecnica, quella in corso rischia di essere una scelta che ridisegna vincitori e vinti della montagna italiana.
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