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12 Dicembre 2025 - 08:09
Austria, divieto di velo alle minorenni: legge-shock approvata con l’aiuto dell’estrema destra
L’ovale dorato della sala del Nationalrat di Vienna risuona di applausi quando il tabellone segna una maggioranza insolita: ai conservatori dell’ÖVP (Partito Popolare Austriaco), ai socialdemocratici dell’SPÖ (Partito Socialdemocratico d’Austria) e ai liberali di NEOS (Nuova Austria e Forum Liberale) si affiancano anche i deputati dell’FPÖ (Partito della Libertà Austriaco). È da poco passato mezzogiorno dell’11 dicembre 2025 e l’Austria approva, con un consenso ampio e trasversale, il divieto per le studentesse sotto i 14 anni di indossare a scuola il velo “che copre il capo secondo le tradizioni islamiche”. Il governo sostiene che la misura protegga “la libertà delle bambine”, mentre gli oppositori – in testa i Verdi – parlano di un intervento “scivoloso” e “chiaramente incostituzionale”, ricordando che la Corte costituzionale aveva già bocciato, nel 2020, un divieto simile rivolto alle alunne delle elementari.
Il nuovo testo, approvato dall’aula l’11 dicembre, vieta nelle scuole pubbliche e private il copricapo che “vela il capo” secondo le “tradizioni islamiche” alle studentesse fino al quattordicesimo compleanno. Da febbraio 2026 partirà una fase di informazione senza sanzioni, mentre l’applicazione piena scatterà con l’anno scolastico 2026/27, quando entreranno in gioco richiami progressivi, colloqui con famiglie e dirigenti scolastici e, solo in ultima istanza, sanzioni economiche tra 150 e 800 euro nei confronti dei genitori o tutori. È prevista la detenzione sostitutiva fino a due settimane solo se la multa non può essere riscossa. Prima delle sanzioni sono obbligatori due passaggi: un colloquio interno con la dirigenza e la famiglia e, se la situazione non rientra, l'intervento dell’autorità scolastica. In caso di ulteriore mancato adeguamento verranno coinvolti i servizi per l’infanzia e la gioventù. Il provvedimento, come chiarito dalla documentazione parlamentare, riguarda esclusivamente la vita scolastica e non si applica alle attività esterne, agli eventi fuori sede e all’istruzione domestica.
Il governo stima che la norma possa coinvolgere circa 12.000 ragazze, un numero ripreso in aula dal deputato Yannick Shetty (NEOS) e basato su proiezioni derivate da uno studio del 2020. Non si tratta di un dato certificato, ma di una stima orientativa che l’esecutivo utilizza per giustificare la portata del provvedimento.
La maggioranza che sostiene la legge è definita “a geometria variabile”: ÖVP, SPÖ e NEOS votano insieme, mentre l’FPÖ, pur appoggiando il divieto, critica il testo giudicandolo “troppo limitato” e chiedendo un’estensione alle insegnanti e al personale scolastico in nome della “neutralità” degli ambienti educativi. La proposta non ottiene consensi, ma mostra la direzione politica verso cui si muove la destra radicale austriaca. Sul fronte opposto, i Verdi parlano di norma viziata da incostituzionalità e non idonea a prevenire conflitti scolastici. La deputata Sigrid Maurer denuncia il rischio di nuova stigmatizzazione delle alunne musulmane e invoca soluzioni basate sulla mediazione culturale. Dal banco del governo, la ministra per l’Integrazione Claudia Plakolm (ÖVP) definisce invece il velo sulle minori “un simbolo di oppressione” e annuncia una fase preliminare di “informazione scientificamente accompagnata” per spiegare la logica della legge e intervenire quanto prima in caso di pressioni o minacce. Il ministro dell’Istruzione Christoph Wiederkehr (NEOS) richiama episodi di pressione esercitata da coetanei maschi, non solo dalle famiglie, sostenendo che il divieto tutela un ambiente scolastico più equilibrato.

Christoph Wiederkehr
Il nodo giuridico resta centrale. Nel dicembre 2020 il Verfassungsgerichtshof (Corte Costituzionale Austriaca) aveva dichiarato incostituzionale il bando approvato l’anno precedente per le scuole primarie, ritenendolo discriminatorio poiché colpiva di fatto solo le alunne musulmane e ignorava simboli di altre fedi come kippah e patka. I giudici avevano sottolineato che la neutralità religiosa dello Stato può essere limitata solo attraverso “giustificazioni speciali”, che allora non furono ritenute sufficienti. Il governo sostiene che oggi il quadro sia diverso: il divieto è inserito in un sistema più articolato di interventi educativi e sociali, fondato sulla gradualità e sul coinvolgimento dei servizi territoriali. È stato anche commissionato uno studio che dovrebbe rafforzare la base motivazionale della legge in vista dei prevedibili ricorsi. Non è però chiaro se tali elementi basteranno a superare il vaglio della Consulta, che nel 2020 aveva fissato criteri molto elevati per giustificare un divieto selettivo. Associazioni religiose e gruppi per i diritti umani si preparano già a contestare la norma davanti ai tribunali.
Il governo insiste sul fatto che agli insegnanti non verrà attribuito un ruolo di controllo diretto: non dovranno impedire fisicamente l’uso del velo, né comminare sanzioni. Il loro compito sarà la segnalazione alla dirigenza, che attiverà il percorso previsto dalla legge. È una scelta presentata come necessaria per evitare tensioni inutili in classe e per concentrare la gestione dei casi su figure dotate di competenze amministrative e sociali. I promotori parlano di tutela della libertà delle ragazze, sostenendo che il velo rappresenti un codice che le spinge verso ruoli imposti, con una sessualizzazione precoce non coerente con la loro età. La scuola viene descritta come un luogo in cui le alunne possono crescere senza imposizioni, almeno fino ai 14 anni, soglia considerata simbolica per una maggiore autodeterminazione. Il governo inserisce il divieto in un più ampio pacchetto di interventi per prevenire abbandono scolastico e conflitti in classe, presentando la norma come uno strumento di prevenzione e non di repressione.
Dall’altro lato, organizzazioni come Amnesty International, accademici e rappresentanti della comunità musulmana parlano di stigmatizzazione e temono effetti sociali negativi. L’IGGÖ (Comunità religiosa islamica d’Austria) ha annunciato verifiche sulla costituzionalità del provvedimento e si dice pronta ad attivare tutti i canali disponibili per tutelare le famiglie coinvolte. I Verdi propongono un approccio alternativo, centrato su team interdisciplinari capaci di mediare i conflitti e coinvolgere direttamente le comunità interessate. Secondo l’opposizione, un lavoro paziente di mediazione ridurrebbe tensioni e stigma e sarebbe più rispettoso dei diritti fondamentali. L’FPÖ, pur votando la legge, continua a chiedere un divieto generalizzato anche per docenti e personale scolastico, allineando l’Austria alle posizioni europee più restrittive sul rapporto tra simboli religiosi e spazi pubblici.
La discussione austriaca si inserisce in un quadro europeo in cui coesistono modelli molto diversi: dalla laïcité francese, che vieta i simboli religiosi vistosi nelle scuole pubbliche, ai sistemi più permissivi del Nord. L’Austria aveva già sperimentato un primo divieto nel 2019, poi annullato nel 2020. La nuova legge amplia la fascia d’età coinvolta e introduce un apparato di prevenzione più articolato. Sarà da verificare se basterà per superare i ricorsi e se la traiettoria normativa verrà seguita da altri Paesi di area tedesca.
Resta il tema dei numeri. Il governo parla di circa 12.000 ragazze interessate, ma non esiste un registro ufficiale che consenta una rilevazione precisa. Le stime derivano da dati ormai datati e potrebbero non rappresentare l’attuale situazione nelle diverse regioni del Paese. Per capire l’impatto reale del provvedimento, sarà necessario monitorare le scuole durante la fase informativa. La mancanza di dati completi impone prudenza nelle valutazioni.
Da febbraio 2026, le scuole riceveranno linee guida e materiali per comunicare a studenti e famiglie i contenuti della norma. I dirigenti saranno responsabili di predisporre colloqui nelle situazioni più delicate e, se necessario, coinvolgere i servizi territoriali. Il governo ribadisce che la responsabilità resta in capo agli adulti e che l’obiettivo non è l’allontanamento delle studentesse, ma la prevenzione di pressioni e tensioni. Molto dipenderà dalla capacità delle scuole di gestire i casi con equilibrio, evitando che la norma si traduca in un irrigidimento dei rapporti tra istituzioni e famiglie.
È probabile che già nelle prossime settimane arrivino i primi ricorsi alla Corte costituzionale, vista la precedente sentenza del 2020 e la discussione sul principio di neutralità religiosa. Il governo confida nella proporzionalità del nuovo impianto e nella sua gradualità, ma resta da vedere se i giudici riterranno sufficienti le nuove giustificazioni. La norma, approvata con una maggioranza così ampia, potrebbe influenzare il dibattito in altri Paesi, ma sarà il test della Consulta a definirne il destino.
In molti, dentro e fuori il Parlamento, osservano che la questione va oltre il simbolo religioso e riguarda il ruolo stesso della scuola nella società. I sostenitori del divieto sostengono che la misura offra alle ragazze uno spazio libero da codici imposti. I critici temono invece possibili ritiri dalle attività scolastiche e un aumento delle tensioni verso le minoranze musulmane. Sarà la fase informativa del 2026 a chiarire se la legge riuscirà a costruire un dialogo tra istituzioni, famiglie e comunità religiose o se si trasformerà in un nuovo terreno di scontro, con conseguenze difficili da gestire nella quotidianità degli istituti.
Fonti utilizzate: Verfassunggerichtshof; Parlamento austriaco; comunicazioni ufficiali del Governo federale; interventi parlamentari di Claudia Plakolm, Christoph Wiederkehr, Yannick Shetty, Sigrid Maurer; IGGÖ; Amnesty International.
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