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Il Natale contestato: tradizioni che resistono oltre le polemiche

Dalla lezione del professor Zaccone a Cuorgnè un viaggio nel significato culturale di presepe, albero e San Nicola: simboli che raccontano secoli di storia europea e continuano a parlare al presente

Il significato culturale delle tradizioni natalizie.

Gianmaria Zaccone

Nella suggestiva Sala Conferenze Trinità di via Milite Ignoto, a Cuorgnè, il professor Gianmaria Zaccone ha aperto la conferenza Unitre di mercoledì 10 dicembre 2025 affrontando un tema tanto antico quanto sorprendentemente attuale: il valore culturale del Natale. Un valore che, oggi, sembra smarrirsi tra polemiche sterili e discussioni che poco hanno a che vedere con la storia. Zaccone lo ha detto chiaramente: c’è chi si sente “disturbato” da un presepe, chi sostiene che un albero di Natale possa “offendere”. Come se simboli che appartengono a secoli di civiltà potessero costituire una minaccia. «La verità – ha ricordato – è che nessuna religione si sente minacciata da un presepe. A infastidire, semmai, è tutto ciò che parla ancora di tradizione».

Una tradizione che non è solo religiosa, ma profondamente culturale. L’Europa, ha osservato il docente, è intrisa di cristianesimo: dai nomi delle città alle festività, dai capolavori dell’arte ai luoghi che raccontano la nostra memoria collettiva. Ignorarlo significa tagliare le radici della nostra identità. E il Natale, per sua natura, racchiude in sé un intreccio di religione, storia e simboli che nei secoli hanno plasmato l’immaginario occidentale.

Zaccone ha ricordato come, fin dal Medioevo, la nascita di Cristo sia stata letta in relazione alla sua Pasqua. Il silenzio della notte di Natale richiama quello del Sabato Santo. Nelle icone orientali il Bambino avvolto nelle fasce ricorda i teli funebri della sepoltura; la mangiatoia, spesso, assume la forma di un sepolcro. Segni che non vogliono rattristare, ma sottolineare che la storia di Cristo è un’unica narrazione di salvezza. Ratzinger stesso – ha ricordato Zaccone – scriveva che molte tradizioni natalizie sono un modo per rendere visibile ciò che la Scrittura racconta.

San Nicola

Tra le ricostruzioni più affascinanti, quella dedicata a San Nicola, il vescovo del IV secolo che diede origine al moderno Babbo Natale. Le leggende sulla sua vita – i tre bambini risuscitati, le doti donate alle fanciulle povere – costruirono l’immagine di un protettore dei più deboli. In tutta Europa era lui a portare i doni ai bambini, spesso accompagnato da figure popolari che rappresentavano il suo opposto e servivano a raddrizzare i più disobbedienti. Con la Riforma protestante, il culto dei santi venne scoraggiato e la tradizione dei doni si spostò al 25 dicembre, legata al Gesù Bambino. Ma nei Paesi Bassi, dove Nicola era amatissimo, nacque l’espediente di chiamarlo “Sinterklaas”: nome che, portato in America dagli emigrati, sarebbe diventato “Santa Claus”. L’immagine contemporanea, precisa Zaccone, non nasce dalla pubblicità – men che meno da una bevanda zuccherata – ma dalla letteratura e dalla tradizione popolare dell’Ottocento.

Anche l’albero di Natale viene spesso etichettato con superficialità come simbolo “pagano”. In realtà, le sue radici cristiane sono profonde. Zaccone ha ricordato l’episodio di San Bonifacio, che abbatté una quercia consacrata ai pagani e vide, secondo la leggenda, crescere al suo posto un abete, segno della vita nuova portata dal Vangelo. O quello di San Colombano, che addobbò un albero con luci disposte a forma di croce. Nel Medioevo, poi, il cosiddetto “Albero del Paradiso” veniva allestito nelle chiese durante la rappresentazione di Adamo ed Eva del 24 dicembre: un albero carico di frutti e simboli biblici, antenato diretto dell’albero moderno. Sarà il mondo tedesco a portarlo nelle case, e nell’Ottocento la famiglia reale inglese a diffonderlo in tutta Europa.

Il percorso non poteva che culminare nel simbolo più potente del Natale: il presepe. Le prime immagini della Madonna con il Bambino compaiono già nelle catacombe del III secolo. L’asino e il bue, presto adottati dall’iconografia cristiana, simboleggiano i popoli che riconoscono il Signore. Nel Medioevo esistevano già complessi scultorei dedicati alla Natività. Quando San Francesco realizzò il celebre presepe di Greccio nel 1223, non inventò il presepe, ma introdusse un’idea rivoluzionaria: il presepe vivente, legato alla celebrazione dell’Eucaristia. Per questo non pose una statua del Bambino: per Francesco, il Bambino sarebbe stato presente nella Messa celebrata sulla mangiatoia. Nei secoli successivi, grazie a San Gaetano da Thiene, il presepe entrò nelle case. E Napoli trasformò questa pratica in arte straordinaria: figure in terracotta, scene di vita quotidiana accostate alla Natività, a ricordare che la venuta di Cristo accade dentro la vita reale, non in un mondo sospeso.

Il messaggio che Zaccone lascia al pubblico è semplice e profondo: presepe, albero, Babbo Natale, San Nicola non sono folclore né superstizioni, ma frammenti di un lungo cammino storico e culturale. Conoscerne la storia significa restituire senso a gesti che rischiano di diventare solo decorazioni o abitudini consumistiche. Dietro quelle luci, quei simboli, quelle figure c’è ancora un racconto capace di parlare al presente. Basta volerlo ascoltare. 

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