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11 Dicembre 2025 - 17:28
Il Carnevale di Chivasso si farà. Non come dovrebbe, non come lo ricordano le fotografie che arredavano i salotti o le vetrine dei negozi, né come i video che scorrono nelle chat di famiglia. Sarà un Carnevale minimo, ridotto all’osso, ma ci sarà.
Resterà in piedi solo ciò che non può cadere: il Carnevalone. Il resto — sfilate, scenografie, attese del martedì grasso — finirà probabilmente sospeso, forse azzerato. Una festa amputata che tenta comunque di non crollare. E se la scelta dell’Agricola di salvare almeno il Carnevalone era prevedibile, un’altra decisione — se confermata — rischia di aprire un fronte polemico: la riconferma delle maschere della passata edizione. Un’anomalia che si era vista solo ai tempi del Covid.
Le voci più insistenti dicono che saranno ancora loro: Enzo Falbo come Abbà e Isabella Caruso come Bela Tolera. Una riconferma che non sembra né simbolica né culturale. Semmai, il sintomo di un irrigidimento interno. E qui nasce la domanda che attraversa Chivasso: perché?

Isabella Caruso ed Enzo Falbo, Bela Tolera e Abbà dell'ultimo Carnevale di Chivasso e, secondo i rumors, anche del prossimo
Durante la pandemia accadde qualcosa di simile: Ugo Novo e Melissa Bertaina vennero confermati più volte perché un virus aveva congelato il mondo. Ma oggi non c’è nessuna emergenza sanitaria. C’è, piuttosto, la crisi che travolge la Pro Loco L’Agricola dopo l’inchiesta della Procura di Ivrea: bilanci acquisiti, sequestri, telefoni e computer portati via dagli inquirenti, dubbi sui contributi pubblici, un fronte interno lacerato molto più di quanto appaia all’esterno. È dentro questo scenario che matura la scelta più controversa.
Perché allora confermare proprio Falbo e Caruso — entrambi esponenti locali di Fratelli d’Italia, il primo anche consigliere comunale d’opposizione al sindaco Claudio Castello — cioè i protagonisti del Carnevale della rottura con il Comune? Perché riproporre la coppia che un anno fa aveva trasformato l’Epifania in un atto politico contro l’amministrazione targata Partito Democratico? La domanda non è folcloristica: è politica, culturale e strategica.
E perché farlo adesso, mentre il Comune per salvare la manifestazione aveva chiesto un passo indietro al presidente Davide Chiolerio, passo che non è mai arrivato?
Per capire il paradosso bisogna tornare al 2024, l’anno della frattura definitiva. Tutto iniziò con il contributo richiesto per l’edizione 2024: 45 mila euro chiesti, 30 mila concessi. Un attrito che incrinò la fiducia tra chi organizzava il Carnevale e chi lo finanziava. Poi vennero i conti, le rendicontazioni, i sospetti. Infine, lo strappo: la presentazione delle maschere in Oratorio grazie a don Davide, l’affaccio dal balcone dell’associazione in piazza Carletti invece che da quello del Municipio, la scelta come maschere principali di Falbo e Caruso. Nessuno aveva dubbi: era una dichiarazione di guerra.
Lo scontro non si è più ricomposto. Poi, a primavera, è arrivata l’indagine. La Guardia di Finanza ha acquisito bilanci dal 2020 al 2024, contributi di ogni livello, cellulari, computer. Nel frattempo Comune e Regione hanno chiuso i rubinetti. L’Agricola deve restituire 30 mila euro alla Regione e probabilmente una parte dei fondi ministeriali. Il Comune aveva posto una sola condizione per tenere in vita il Carnevale: il passo indietro di Chiolerio, indagato per truffa e indebita percezione di erogazioni pubbliche. Ma dall’associazione è arrivato un rifiuto netto, accompagnato — dicono — da un patto interno di mutua protezione. Nessuno lascia la nave.
È dentro questo clima che si decide di fare un Carnevale ridotto, mantenere il Carnevalone e, a quanto pare, confermare le stesse maschere. Una scelta che molti osservatori definiscono incomprensibile. Ma la spiegazione più semplice è quella che pochi vogliono dire: la riconferma permette all’Agricola di guadagnare tempo. Tempo per rimettere ordine nei conti, per ritrovare un equilibrio organizzativo, per resistere all’urto dell’indagine. Una risposta logica, ma impopolare.
Perché il sacrificio non ricade sull’associazione, ma sui chivassesi. Un Carnevale impoverito, privo delle sue sfilate, sorretto dal solo Carnevalone, con maschere identiche a quelle dell’anno scorso, travolto da un’incertezza gestionale e giudiziaria senza precedenti. Una tradizione spezzata proprio nel punto più vivo: l’alternanza delle maschere, il gioco delle attese, il rito del “chi saranno quest’anno?”. Non è un dettaglio. È il motore emotivo del Carnevale chivassese. Togliere questo motore significa togliere partecipazione.
Resta una domanda finale, la più onesta: che cosa ci guadagnano i chivassesi? Un Carnevale che perde tutto ciò che lo distingueva e che sopravvive solo nella sua forma più minima. Il Carnevale si farà, sì. Ma sarà un Carnevale stanco, piegato dalle sue stesse contraddizioni.
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