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Chi era davvero lo Smemorato di Collegno? Il volto senza nome che ha diviso un Paese intero

Un secolo dopo il suo ritrovamento, la vicenda dell’uomo senza identità che divise l’Italia continua a interrogare la memoria collettiva, tra verità sfuggenti, domande universali e il legame profondo con la città di Collegno.

Chi era davvero lo Smemorato di Collegno? Il volto senza nome che ha diviso un Paese intero

Chi era davvero lo Smemorato di Collegno? Il volto senza nome che ha diviso un Paese intero

C’è un uomo senza nome che da quasi un secolo continua a camminare nella memoria collettiva italiana. Un volto sospeso, fragile, indecifrabile, che si riaffaccia oggi sulle pagine di un calendario artistico come se avesse ancora qualcosa da dirci. “Il Calendario dello Smemorato di Collegno”, firmato dal fotografo Michele D’Ottavio, non è soltanto una raccolta di immagini: è un varco aperto dentro un mistero che l’Italia non ha mai veramente archiviato. E che Collegno, la città in cui tutto ebbe inizio, ha deciso di ricordare nel modo più umano e più contemporaneo possibile.

Venerdì 12 dicembre, all’Orto che cura, in Piazza Avis 3, questo viaggio nella memoria prenderà forma tra le serre che un tempo appartenevano all’ospedale psichiatrico e che oggi sono diventate simbolo di riscatto, inclusione, rinascita. Nello stesso luogo che un secolo fa avrebbe potuto ospitare lo smemorato, oggi si accoglie la sua storia trasformata in arte. Un capovolgimento potente, che racconta più di ogni discorso ufficiale quanto lontano sia arrivato, in questi decenni, il cammino contro lo stigma e l’emarginazione.

Lo smemorato

Il calendario — realizzato con la collaborazione della cooperativa Il Margine e con il sostegno di Sanitalia — intreccia dodici immagini ibride, ricavate dalla documentazione fotografica conservata presso il Centro di Documentazione sulla Psichiatria dell’ASL TO3. Dodici mesi per dodici frammenti di una vicenda che tra il 1926 e il 1931 travolse non solo l’Italia, ma anche la stampa internazionale. Tutti volevano sapere chi fosse quell’uomo ritrovato senza documenti vicino a Torino, incapace di dire il proprio nome, il proprio passato, la propria origine. Le autorità diffusero la sua fotografia, e fu allora che iniziò il caos: due famiglie, due storie, due verità in lotta tra loro.

Una prima famiglia giurò che quello fosse Giulio Canella, un professore di filosofia scomparso nella Prima guerra mondiale. Sua moglie, Giulia, lo riconobbe senza esitazioni: in quell’uomo vedeva suo marito perduto, miracolosamente tornato. Una seconda famiglia, quasi agli antipodi sociali, sosteneva invece che si trattasse di Mario Bruneri, tipografo torinese, latitante e ricercato. Due identità incompatibili, due mondi che non si toccano ma che improvvisamente si contendono lo stesso corpo, lo stesso viso, la stessa vita.

Il caso divenne un vortice mediatico. Tribunali, periti, giornali, fotografi, folle curiose: tutti coinvolti in una disputa che sembrava parlare dell’Italia intera. Chi è un uomo? Cosa definisce un’identità? È la memoria? È il riconoscimento degli altri? È la verità giudiziaria o è il bisogno emotivo di credere che qualcuno sia tornato? Gli anni trascorsero mentre la vicenda riempiva pagine e pagine di quotidiani nazionali e stranieri. Solo nel 1931 la Corte di Cassazione pose un punto fermo — almeno dal punto di vista legale — stabilendo che l’uomo fosse Mario Bruneri. Ma la vicenda, anziché chiudersi, si trasformò. Lo smemorato visse parte della sua vita in Brasile insieme a Giulia Canella, pubblicando articoli e saggi come Giulio Canella. Morì a Rio de Janeiro nel 1941, portando con sé un enigma che neppure le analisi del DNA degli anni Duemila sono riuscite a sciogliere completamente.

Perché questo mistero attraversa ancora il nostro immaginario? Perché lo “smemorato” non è solo un caso giudiziario: è una metafora universale. Essere senza radici, senza memoria, senza passato significa trovarsi in una terra di nessuno dell’identità. Significa confrontarsi con domande che non riguardano solo lui ma ciascuno di noi: chi sono? Da dove vengo? Cosa resta di me se nessuno può più riconoscermi? È per questo che da quasi cent’anni la storia dello Smemorato di Collegno non smette di essere raccontata. Ha ispirato libri, commedie, articoli, spettacoli teatrali e perfino un film del 1962 con Totò e Macario, diventando parte della cultura popolare italiana e trasformando il nome di Collegno in un simbolo. Ancora oggi, dire “fare lo smemorato di Collegno” significa evocare una smemoratezza ironica, quasi teatrale, ma che affonda le radici in una vicenda umana di profonda vulnerabilità.

Oggi quella storia ritorna non per alimentare un mistero, ma per suggerire una riflessione. La Città di Collegno sta predisponendo un calendario di eventi che, dal marzo 2026, coinvolgerà amministrazione, cittadini e associazioni. Una comunità che guarda alla propria storia non per celebrarla come qualcosa di lontano, ma per leggerla alla luce del presente: una memoria che non divide più, ma unisce. Una memoria che cura. Proprio come l’Orto che cura, che un tempo era parte di un sistema di esclusione e che oggi rappresenta un percorso di autonomia, lavoro, dignità.

La cooperativa Il Margine, che da quasi cinquant’anni si impegna nel superamento di ogni etichetta e nello sviluppo di percorsi inclusivi, vede in questo progetto un tassello prezioso del proprio cammino: trasformare gli spazi del passato in luoghi di libertà, raccontare una storia non per giudicarla ma per comprenderla, far respirare un’identità collettiva che nasce dalla consapevolezza e non dalla rimozione.

Durante la presentazione del calendario interverranno il sindaco di Collegno Matteo Cavallone, l’assessora alla cultura Clara Bertolo, il fotografo Michele D’Ottavio e la vicepresidente della cooperativa Il Margine Simonetta Matzuzi. Voci diverse, unite da un filo comune: la volontà di restituire allo Smemorato ciò che non ha mai avuto — non una verità assoluta, ma un posto nella memoria condivisa.

Forse il mistero non verrà mai risolto. Forse non sapremo mai se quell’uomo fosse Canella o Bruneri. Ma, a distanza di un secolo, abbiamo compreso qualcosa di più importante. La memoria non serve solo a ricordare chi eravamo: serve a costruire chi vogliamo essere. E in questo, lo Smemorato di Collegno continua a parlarci. Continuerà a farlo anche nel 2026, e ogni volta che qualcuno sfoglierà quel calendario e si troverà davanti a quel volto sospeso nel tempo, che ancora ci guarda e silenziosamente ci chiede di riconoscerlo.

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